Impresa 4.0

Fondo Nazionale Innovazione, perché è un primo passo nella direzione giusta

Il Fondo Nazionale Innovazione entra nell’operatività creando le premesse per un approccio organico allo sviluppo degli ecosistemi di innovazione. I dati dello European Innovation Scoreboard 2019, come prima il DESI, e il rapporto sulle start up innovative italiane indicano chiaramente i punti prioritari su cui intervenire

Pubblicato il 03 Set 2019

Nello Iacono

Esperto processi di innovazione

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Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto di istituzione del Fondo Nazionale Innovazione (FNI), il “fondo dei fondi” di venture capital, e la contemporanea acquisizione da parte di Cassa Depositi e Prestiti del 70% del capitale sociale detenuto nella società di gestione del risparmio Invitalia Ventures SGR, si avvia operativamente l’attuazione della strategia definita dal MISE per il sostegno all’investimento verso le imprese.

Gli investimenti sono effettuati dai singoli Fondi del FNI in modo selettivo, in funzione della capacità di generare impatto e valore sia per l’investimento sia per l’economia nazionale. Allo stesso tempo prende forma il “voucher per i manager dell’innovazione”, con l’avvio delle candidature per la costituzione dello specifico registro. Insieme ad altre iniziative previste dal decreto crescita, queste certamente si distinguono perché affrontano due delle principali carenze del contesto delle PMI, come anche evidenziano alcuni dati sul fronte innovazione e start-up per quanto riguarda investimenti e competenze per innovare.

Venture Capital

Lo European Innovation Scoreboard, che vede l’Italia in progresso ma sempre nel gruppo degli innovatori Moderati (come la Spagna, mentre davanti a noi i gruppi dei “forti innovatori”, che include Francia e Germania, e dei “leader”, con i paesi scandinavi e i Paesi Bassi), ci posiziona per l’indicatore “Venture Capital”molto al di sotto della media europea, e con un rapporto rispetto al PIL (0,06 dato 2017) che è la metà di quello spagnolo e meno di un terzo di quello francese.

Certamente questo è uno dei fattori chiave per lo sviluppo degli ecosistemi di innovazione e la spinta pubblica diventa necessaria per sostenere una crescita di investimenti che inizia a manifestarsi con importanti evidenze. Il rapporto 2018 di Bebeez per P101 Ventures, dedicato al Venture Capital in Italia evidenzia un dato positivo: startup e scaleup italiane (o fondate da italiani) hanno infatti annunciato round (fasi di raccolta del capitale) per ben 480 milioni di euro su 177 aziende, per un totale di oltre 633 milioni raccolti dall’inizio della loro operatività. Questi dati tengono conto non solo degli investimenti dei fondi di venture ma anche di business angel e altri investitori, oltre che dei round di equity crowdfunding.

Il fatto più interessante è che se si considerano i round annunciati dalle sole startup o scaleup che hanno tra i loro azionisti fondi di venture capital, il dato in valore non cambia molto. Secondo il rapporto, infatti,sono 414 milioni di euro relativi a 55 aziende, in netto aumento rispetto ai 144 milioni del 2017 su 52 operazioni. Inoltre, dai dati complessivi emerge anche che è aumentato in particolare il numero delle operazioni a supporto delle startup di più grandi dimensioni e delle scaleup, cioè delle startup che sono cresciute tanto da riuscire ad attrarre investimenti di dimensioni significative, almeno per il mercato italiano, con round da 3 milioni di euro in su”.

Se continua a rimanere basso e comunque non in crescita il dato relativo all’utilizzo del Fondo di Garanzia da parte di startup e PMI innovative, la tendenza positiva sull’attrazione di capitale e di capacità di crescita delle startup innovative è confermato anche dal rapporto basato sull’analisi del registro delle startup innovative, relativo al primo semestre 2019.

Il numero di startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese (decreto legge 179/2012) è pari a 10.426, in aumento di 351 unità (+3,48%) rispetto a fine marzo, con una densità (in rapporto alle nuove società di capitali) molto più elevata in Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia. Quest’ultima non a caso è anche l’unica regione italiana inclusa nel gruppo di regioni “Strong Innovators” nel Regional Innovation Scoreboard della Commissione Europea.

La presenza di una regia pubblica di investimento secondo le logiche del Venture Capital è quindi un fattore di assoluta rilevanza e pone le premesse per elevare i fondi a disposizione per lo sviluppo delle imprese innovative.

Competenze e cultura dell’innovazione

Mentre dai dati sugli investimenti emerge una tendenza positiva, anche se non ancora sufficiente, che testimonia comunque un’attenzione in crescita rispetto alle startup e alle scaleup, ci sono altri segnali, in ambito di competenze e cultura dell’innovazione, che non sono positivi e su cui l’iniziativa dei “voucher per i manager dell’innovazione” rischia di essere inefficace se non inserita in un contesto di interventi di sistema con più ampio spettro e maggiori risorse. Ne riassumo tre, a mio avviso emblematici:

  • dal citato rapporto di Infocamere sulle startup innovative emerge che meno del 20% sono a “prevalenza giovanile (under 35)” e quelle a “prevalenza femminile” (quindi con capitale sociale in maggioranza posseduto da donne) sono il 13,5%. Entrambi sono dati che non testimoniano né particolare dinamismo né profondo cambio culturale, oltre che inferiori (pur non di molto) a Paesi come Francia e Spagna secondo, ad esempio, il rapporto 2018 “Eu Startup monitor”;

  • nel rapporto DESI 2019 della Commissione Europea, per quanto riguarda la situazione dell’Italia viene sottolineato che “solo il 10 % delle PMI vende online (ben al di sotto della media UE pari al 17 %), solo il 6 % effettua vendite transfrontaliere e solo l’8 % circa dei loro ricavi proviene da vendite online”. La posizione italiana, sull’area della digitalizzazione delle imprese, è la 23a, stabile rispetto agli ultimi due anni;

  • nello “European Innovation Scoreboard” 2019 l’Italia riporta un valore molto elevato per l’indicatore relativo al numero di PMI che dichiarano di aver effettuato iniziative innovative esclusivamente con risorse interne (circa il 39%, quinta dietro Portogallo, Finlandia, Belgio e Grecia) e molto basso per le PMI che dichiarano di collaborare per le iniziative di innovazione con soggetti pubblici e privati (5%, rispetto al 13% della Francia, davanti soltanto a Lettonia, Polonia, Bulgaria, Malta e Romania), in sostanza di muoversi in un contesto innovativo, nell’ambito di un ecosistema di innovazione.

In questa situazione l’iniziativa del voucher per i manager dell’innovazione è certamente un segnale importante dal punto di vista culturale, di fatto affermando che innovare significa operare una discontinuità per cui sono necessarie competenze nuove (e il decreto entra pure in una utile elencazione), che le PMI devono acquisire aprendosi a professionalità ed esperienze esterne. Rischia di essere poco efficace dal punto di vista del reale impatto su una carenza che è molto diffusa in tutto l’universo di PMI, data la dimensione limitata dell’intervento (lo stanziamento di 25 milioni annui può realisticamente coprire non più di un migliaio di richieste).

Investire per lo sviluppo degli ecosistemi

Nel rapporto DESI 2019, rispetto all’Italia si invocano più volte strategie ed interventi di sistema. In particolare, nell’area sulla digitalizzazione delle imprese si afferma “Al fine di rafforzare la trasformazione digitale dell’economia italiana, è importante accrescere la consapevolezza della rilevanza della digitalizzazione nelle PMI. Quello di rifocalizzare alcuni incentivi sulle PMI è un passo nella giusta direzione, ma sono necessari ulteriori sforzi sistemici per elevare il loro livello di digitalizzazione a quello dei principali concorrenti delle aziende italiane.”

Sforzi sistemici significa, ad esempio, agire sul forte ritardo dell’Italia sull’area delle competenze professionali, sia nei laureati su materie STEM che sulla presenza di specialisti ICT, oltre che nel divario di genere su questi due ambiti, sapendo che riduzione di divario di genere e sviluppo della maturità digitale sono driver fondamentali per la crescita. In altri termini, sviluppare una strategia nazionale di investimenti di sistema, che riconosca centralità al sistema educativo e all’abilitazione all’innovazione, partendo dalle iniziative che si sviluppano spesso con grande qualità, ma in modo spesso frammentario. Una strategia che, come suggerito al momento dell’istituzione del FNI, è bene sia articolata territorialmente e segua un approccio organico agli ecosistemi di innovazione, in cui i centri di competenza e i poli di innovazione digitale previsti dal piano Impresa 4.0, in fase di costruzione e diffusione, giocano certamente un ruolo importante, così come le iniziative di venture capital e di investimento pubblico su ricerca e sviluppo, ma insieme a sistema educativo, sistema della ricerca e i contesti infrastrutturali di supporto.

L’auspicio è che l’impegno su questo fronte sia valutato strategicamente come prioritario, “missione” del settore pubblico, con una consapevolezza di necessità che consenta di mantenerne l’intensità anche durante il periodo di crisi di governo che si profila. Perché non sia una ennesima occasione perduta.

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