Il nuovo Governo, nato sotto un segno digital più forte (con la ministra all’innovazione Paola Pisano), dovrà comunque tenere conto di una cosa successa, un po’ in sordina, quest’estate.
Il 12 luglio 2019 ha visto la luce sulla Gazzetta Ufficiale l’accordo tra Stato e Regioni per l’interoperabilità. Il titolo esatto è Accordo, ai sensi dell’articolo 9, comma 2, lettera c) del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le regioni e gli enti locali concernente l’adozione di moduli unificati e standardizzati per la presentazione delle segnalazioni, comunicazioni e istanze (Repertorio atti n. 28/CU).
Il provvedimento apre a una serie di riflessioni se combinato con l’approvazione della strategia 2019-2021 con il quale il Governo, le Regioni, le Province, le Città metropolitane e i Comuni puntano a una politica di riforma della burocrazia. Ma si ha l’impressione che tutto questo arrivi dopo oltre un decennio di tentativi di armonizzare la burocrazia e il funzionamento, efficiente ed efficace, dell’organizzazione pubblica dai livelli locali fino a quelli nazionali. Cercando anche di arginare gli eccessi dei localismi che non hanno favorito quanto in realtà era previsto e auspicato dal Legislatore, già nel lontano 2005.
Il contenuto dell’accordo
Facciamo un passo indietro e vediamo cosa dice l’accordo menzionato all’inizio del nostro articolo. Di fatto si tratta di una serie di moduli predefiniti che lo Stato centrale raccomanda agli enti locali. Parliamo fondamentale delle procedure amministrative legate al SUAP e a quel mondo delle imprese che da sempre soffre o dichiara di soffrire a causa della burocrazia pubblica. L’allegato 1 riporta questa serie di istruzioni e ammonimenti:
Le amministrazioni comunali, alle quali sono rivolte domande, segnalazioni e comunicazioni, hanno l’obbligo di pubblicare sul loro sito istituzionale entro e non oltre il 28 agosto 2019 i moduli unificati e standardizzati, adottati con il presente accordo e adattati, ove necessario, dalle Regioni in relazione alle specifiche normative regionali entro il 31 maggio 2019 (con le modalità previste dall’articolo 1). L’obbligo di pubblicazione della modulistica è assolto anche attraverso il:
- Rinvio (link) alla piattaforma telematica di riferimento.
- Rinvio (link) alla modulistica adottata dalla Regione, successivamente all’accordo e pubblicata sul sito istituzionale della Regione stessa.
La mancata pubblicazione dei moduli e delle informazioni indicate sopra entro il 28 agosto 2019 costituisce illecito disciplinare punibile con la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da tre giorni a sei mesi (articolo 2, comma 5, decreto legislativo n. 126 del 2016). Per le ulteriori istruzioni operative si rinvia a quelle relative alle attività commerciali e assimilate allegate all’accordo del 4 maggio 2017.
Questa serie di moduli standard sono il frutto del Patto tra Stato e Regioni, menzionato in uno dei quattro punti strategici, anzi il punto 4 come ci ricorda l’avvocato Mario Montano nel suo articolo. Andrebbe ricordato l’art. 12 del Codice dell’amministrazione digitale nella sua interezza che prescrive ancora oggi una serie di principi e di azioni assolutamente necessarie e sottolinea:
Le pubbliche amministrazioni adottano le tecnologie dell’informazione e della comunicazione nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati, con misure informatiche, tecnologiche, e procedurali di sicurezza, secondo le regole tecniche di cui all’articolo 71.
E nel comma 5: Le pubbliche amministrazioni utilizzano le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, garantendo, nel rispetto delle vigenti normative, l’accesso alla consultazione, la circolazione e lo scambio di dati e informazioni, nonché l’interoperabilità dei sistemi e l’integrazione dei processi di servizio fra le diverse amministrazioni nel rispetto delle regole tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 71.
Tutto questo nel lontano 2005, quando il legislatore si preoccupò di sottolineare l’importanza non solo di dotarsi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ma anche e soprattutto di interoperare tra le diverse amministrazioni.
E chi lavora nei processi di digitalizzazione della PA e soprattutto ha cercato di operare quel change management necessario nel settore del SUAP, sa bene che tutto questo si è impaludato tra vari enti pubblici con piani di sviluppo non coordinati. Quando nell’art. 12 si parla di “integrazione dei processi”, è evidente che tutto quell’universo di “pareri” o di controlli di enti esterni, che compongono gli endoprocedimenti, avrebbero dovuto integrarsi secondo vari workflow informatici che dovrebbero consentire una pesante semplificazione dei tempi di intervento della PA.
Le indicazioni del CAD
Anche l’art.14 del CAD rinforzava questi auspici normativi ricordando l’art. 117 della Costituzione:
In attuazione del disposto dell’articolo 117, secondo comma, lettera r), della Costituzione, lo Stato disciplina il coordinamento informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale, dettando anche le regole tecniche necessarie per garantire la sicurezza e l’interoperabilità dei sistemi informatici e dei flussi informativi per la circolazione e lo scambio dei dati e per l’accesso ai servizi erogati in rete dalle amministrazioni medesime.
Tutto questo lungo preambolo per sottolineare che in questi quattordici anni c’erano tutti i presupposti perché diversi enti pubblici, quelli identificati nel D.lgs 165 del 2001, art. 1, comma 2, trovassero occasioni per fornire alle imprese servizi integrati, efficienti ed efficaci, che completassero la ratio normativa della 241 del 1990, vero spartiacque tra una PA di stampo monarchico e una moderna. Ricordiamo anche un articolo del CAD, molto caro agli archivisti, che fornisce disposizioni fondamentali per una corretta gestione della interoperabilità, ma anche della corretta formazione del fascicolo e del funzionamento del procedimento amministrativo che riguardino, nel nostro caso specifico, quei servizi alle imprese auspicati dal piano strategico di cui sopra.
Parlo dell’art. 41 del CAD che afferma:
Procedimento e fascicolo informatico 1. Le pubbliche amministrazioni gestiscono i procedimenti amministrativi utilizzando le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nei casi e nei modi previsti dalla normativa vigente. 2. La pubblica amministrazione titolare del procedimento può raccogliere in un fascicolo informatico gli atti, i documenti e i dati del procedimento medesimo da chiunque formati; all’atto della comunicazione dell’avvio del procedimento ai sensi dell’articolo 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241, comunica agli interessati le modalità per esercitare in via telematica i diritti di cui all’articolo 10 della citata legge 7 agosto 1990, n. 241.
“Da chiunque formati”, una espressione così chiara e universale che poteva, ma lo può ancora, consentire di avviare accordi e piattaforme di collaborazione tra enti diversi, nel caso del SUAP tra comuni e camere di commercio per citare due enti importantissimi per le attività produttive e contenitori di informazioni, dati e competenze specifiche.
Obiettivi e criticità
Va quindi apprezzato il lavoro costante portato avanti dall’AgiD in questi anni per fornire indicazioni puntuali sulle tecnologie e le metodologie di conservazione, produzione dei documenti e quell’incessante lavoro, molto sotterraneo, fatto dai suoi funzionari per aiutare le Regioni italiane a dotarsi di tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Il problema forse è stato proprio locale e territoriale, dove investimenti non pianificati coinvolgendo gli stakeholder, hanno impedito di concretizzare quanto era indicato nel CAD.
Per complicare ulteriormente la situazione e pensando forse di favorire la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, di recente il governo Conte, dimissionario, ha pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, del 26 agosto, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 19 giugno 2019 che istituisce il Dipartimento per la trasformazione digitale. Il Decreto ricorda nelle premesse che l’art. 8, comma 1-ter, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, prevede che «a decorrere dal 1° gennaio 2020, al fine di garantire l’attuazione degli obiettivi dell’Agenda digitale italiana, anche in coerenza con l’Agenda digitale europea, le funzioni, i compiti e i poteri conferiti al commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale dall’art. 63 del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 179, sono attribuiti al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro delegato che li esercita per il tramite delle strutture della Presidenza del Consiglio dei ministri dallo stesso individuate».
Onestamente per chi scrive, si fa sempre più difficoltà a capire perché non si potenzi l’AgID e non si usi questa agenzia come strumento attuativo delle politiche di digitalizzazione, ma si creino team, dipartimenti o altro intasando già i complessi labirinti della struttura statale della Repubblica.
Conclusione
Rimane la sensazione che la digitalizzazione della PA in Italia rimanga in capo alle Regioni che cercano di dare concretezza alle esigenze dei cittadini. Così non possiamo non ricordare regioni come l’ Emilia-Romagna, la Toscana, l’Umbria per citarne alcune che hanno cercato di concretizzare la ratio del CAD e costruire piattaforme digitali utili per le imprese. Ora il passaggio successivo, sicuramente facilitato dal piano strategico Stato-Regioni e Accordi come quello menzionato, è di rendere ogni dato e ogni informazione raccolta in queste banche dati o gestite dai workflow dei procedimenti amministrativi, veramente interoperabili.
È imprescindibile per garantire l’interoperabilità, prospettata dal piano strategico, la uniformità dei dati raccolti e l’impegno delle varie agenzie locali, società in house e le imprese coinvolte nel dover concretizzare questo processo di integrazione, ma non può essere portato a termine se non si affrontano diverse problematiche:
- la corretta gestione degli endoprocedimenti e la partecipazione di soggetti fondamentali, ma poco coinvolti, come ASL, ARPA, uffici periferici dei ministeri…
- affrontare in modo più strutturato la modellazione dei dati raccolti dagli enti pubblici e definire una strategia nazionale sulle banche dati e sui big data, che vada oltre il semplice censimento.
Ma soprattutto ricordare quanto indicava l’art. 1, comma 1 della 241 del 1990: L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario.