Diciamolo subito: essere sui social non è un obbligo, ma chiunque si occupi di comunicazione o offra servizi farebbe bene a pensarci. Perché è su quegli spazi virtuali che ci si propone, si afferma la propria presenza, si costruisce una propria identità digitale che, si spera, dovrà essere il più possibile coerente con quella reale. In questo approfondimento riflettiamo sulle strutture sanitarie: come organizzare la propria presenza sui social media?
I numeri, del resto, parlano chiaro: sono 35 milioni gli italiani che nel 2018 hanno avuto accesso quotidianamente ai social media, con un incremento del +2,9% rispetto all’anno precedente. Di questi, ben 31 milioni di persone sono attive su queste piattaforme da dispositivi mobili, in crescita del 3,3% rispetto al 2017 (Fonte: We Are Social).
Ma costruire la propria presenza digitale implica in primis porsi delle domande:
- a chi ci rivolgiamo?
- che cosa vogliamo ottenere?
- cosa vogliamo comunicare?
- chi se ne occuperà?
Domande necessarie a cui spesso non si pone la dovuta attenzione. Costruire la propria presenza digitale necessita infatti di tempo, impegno, risorse che non sempre sono disponibili. Andando per ordine, proviamo a dare delle risposte.
A chi ci rivolgiamo?
Quali sono i nostri pubblici di riferimento? Essi possono essere molto ampi e dai contorni sfocati (ad es. la cittadinanza in senso ampio), oppure molto specifici. Per esempio, nella nostra struttura sanitaria potremmo rivolgerci a gruppi diversi per tipologia ed età: potremmo cioè voler parlare a donne in gravidanza per proporre di effettuare i necessari esami, così come a uomini adulti al di sopra di una specifica età per effettuare un check-up completo. Individuare uno o più gruppi di soggetti ci permetterà di delineare in modo più efficace i messaggi da comunicare e gli strumenti ad hoc.
Cosa vogliamo ottenere con i social in Sanità?
- Quali sono gli obiettivi che vogliamo raggiungere?
- A cosa serve la nostra presenza sui social?
Un obiettivo da porsi dovrebbe essere quello di acquisire “brand reputation”, cioè costruire attorno al marchio una vera e propria aurea di affidabilità e sicurezza che incida in modo positivo sulla qualità percepita da parte dell’utenza. Ci possono poi essere altre ragioni più operative quali ad esempio portare traffico al sito, raccogliere lead (cioè contatti, nominativi) e più, in generale, farsi conoscere.
Altri obiettivi possono essere:
- informare i propri follower con campagne di prevenzione e sensibilizzazione;
- vendere servizi per portare utenti verso la struttura;
- fidelizzare i clienti per mantenere la relazione nel tempo;
- offrire assistenza alle persone, attraverso un canale di comunicazione diretto;
- fissare appuntamenti con i propri potenziali clienti (quest’ultimo è peraltro uno degli ultimi strumenti attivati sul social network);
- ascoltare il proprio pubblico di riferimento.
Cosa vogliamo comunicare?
Questa domanda è il fulcro centrale della costruzione del piano editoriale che decideremo di seguire. Il punto di partenza non può basarsi esclusivamente sulla presentazione dei propri servizi. Può essere utile lavorare su ulteriori direzioni, quali:
- presentare il personale con interviste o immagini, con l’obiettivo di superare la distanza tra personale e utenza e stabilire un clima di fiducia tra le parti;
- costruire un blog per presentare approfondimenti su stili di vita e salute, con l’obiettivo di accrescere la brand awareness – la conoscenza del brand – forte della propria conoscenza scientifica del tema e, conseguentemente, della propria autorevolezza;
- creare eventi a tema, quali ad esempio “il mese della prevenzione della patologia xy” su cui costruire differenti contenuti e promozioni;
- effettuare una rassegna stampa con news e articoli esterni. Le persone sono sui social anche per informarsi e intrattenersi. Dunque, una buona rassegna stampa può essere uno strumento per attrarre utenti con fonti qualificate e informazioni potenzialmente in linea con gli interessi di chi segue;
- presentare dei casi, le storie delle persone, dei pazienti.
Chi se ne occuperà?
Non meno importante è individuare e definire le risorse (umane, economiche, strumentali) necessarie per costruire la propria identità online. Molto spesso, infatti, si tende a sottovalutare l’esigenza di ingaggiare professionisti pensando che basti una buona dimestichezza con le nuove tecnologie o, peggio ancora, la giovane età di chi ci mette mano. Niente di più sbagliato. Come in qualsiasi ambito, anche per i social è necessario affidarsi a professionisti, che siano esterni o interni. In questo secondo caso è necessario valutare se tra i propri dipendenti sono presenti le competenze per sostenere questo sforzo.
Quali possono essere le figure professionali utili?
Diamo delle coordinate:
- Un social media strategist: colui che sviluppa la strategia e stabilisce la distribuzione dei contenuti e l’eventuale advertising da mettere in atto;
- Un social media manager: colui che si occupa di condividere, operativamente, il contenuto sul social media;
- Un copywriter: qualcuno che sappia scrivere i contenuti (in particolar modo i “lanci” dei contenuti) per il web, con capacità di sintesi e individuazione dei corretti hashtag;
- Un community specialist: la persona che si occupa di rispondere ai commenti e di “gestire” la comunità;
- Un videomaker: colui che si occupa di creare video;
- Un grafico, per la cura estetica dei contenuti visivi condivisi.
Difficile, quasi impossibile, avere un team composto da (almeno) sei elementi diversi, ma avere idea delle diverse competenze utili per essere vincenti sul web è importante per capire cosa si vuole ottenere dalla propria presenza digitale. Avere chiarezza delle diverse anime che compongono un team digitale può essere utile anche per comprendere le diverse posizioni da ricercare sul mercato: per esempio, se non si ha interesse a pubblicare contenuti video non è necessario ricercare un videomaker.
Quali social presidiare?
Escluse le piattaforme di instant messaging (Whatsapp e Messenger) in Italia i social network con il maggior seguito da parte degli utenti sono YouTube, Facebook, Instagram e Twitter, ciascuno dei quali ha i propri linguaggi e specificità.
Individuato il team, gli obiettivi, e i pubblici che si vogliono raggiungere, la domanda da porsi è: su quali piattaforme investire le proprie energie? Molte strutture sanitarie scelgono Instagram come canale privilegiato su cui affacciarsi, privilegiando l’impatto estetico e visivo, la rapidità nella pubblicazione dei contenuti, l’immediatezza dei messaggi: ma è davvero il canale più appropriato? Vediamo qualche esempio.
Il network ospedaliero Spectrum Health ha una presenza online molto accurata su vari canali. Sul canale Facebook creato come magazine della struttura, la programmazione è varia e ricca di immagini suggestive, con un’ottima videocopertina iniziale che permette al primo impatto di comprendere cosa fa il brand in oggetto. I contenuti maggiormente presenti sulla pagina sono i link al sito del network, con l’obiettivo dunque di portare traffico all’esterno della pagina. Non mancano però anche videointerviste e foto con le storie dei pazienti.
Su Instagram, invece, si segue una programmazione che prevede la pubblicazione di tre contenuti per volta: l’obiettivo è quello di creare uno storytelling in cui la notizia viene narrata con tre contenuti diversi.
Infine, YouTube: qui il canale viene utilizzato con video professionali per raccontare con interviste e fotografie le storie di cure e ricovero dei propri pazienti.
Un altro ottimo esempio è quello del Dana-Farber Cancer Institute. Su Instagram il tone of voice (cioè il tono di voce con cui comunica il brand) è molto positivo e ottimista: il punto di forza è la gran varietà dei contenuti visivi presenti all’interno, che raccontano storie diverse dei pazienti senza ricorrere all’utilizzo di hashtag, ma anzi catalogando con cura tutte le stories in cartelle in evidenza.
E in Italia? Un esempio virtuoso è quello di Humanitas Research Hospital di Milano, struttura che nella propria pagina Facebook seguita da quasi 600.000 follower inserisce molti link ma prevede anche la pubblicazione di diversi video volti a sensibilizzare gli utenti a versare il 5×1000 alla struttura.
Se, come detto in precedenza, si vuole investire sull’utilizzo di questi canali per sensibilizzare gli utenti a stili di vita sani, un ottimo esempio proviene dal profilo Twitter dell’American Heart Association, nel quale con un tono di voce molto positivo si dispensano videoricette, storie di pazienti “virtuosi”, consigli per esercizi da fare a casa con l’obiettivo di fare prevenzione con un tono leggero ma autorevole.
E LinkedIn? Il social network dedicato principalmente alla professione, trova una delle sue eccellenze nel profilo del Boston Children Hospital: sull’account vengono narrate storie dei pazienti, articoli scientifici su nuove cure e scoperte, ma è anche un modo per poter visualizzare i profili dei dipendenti che lavorano presso la struttura (per esempio, per avere un’idea del curriculum professionale prima di una visita) e condividere eventuali offerte di lavoro.
La coerenza, prima di tutto
Come si evince, sono molte le domande da porsi quando si tratta di far partire un’attività sui social. Più di tutto, però, è importante mantenere una coerenza tra il modo in cui ci si racconta e quello in cui si è effettivamente: dare una falsa rappresentazione di sé attraverso il web è il modo migliore per perdere clienti, prima dei follower. Decisamente più utile è utilizzare questi canali per raccogliere i feedback degli utenti, ascoltare le conversazioni di chi ha scelto di seguirci per migliorarsi.