La riflessione

Bertelè (Polimi): “Adottare la Big Bang Disruption”

C’è un profondo processo di trasformazione dell’economia, in Italia non ancora completamente visibile nella sua ampiezza. Un processo che ha effetti devastanti sulle imprese incumbent in diversi comparti. la riforma della PA rimane basilare, ma è altrettanto importante uno sforzo collettivo per sposare questa discontinuità

Pubblicato il 11 Dic 2013

Umberto Bertelè

professore emerito di Strategia e chairman degli Osservatori Digital Innovation Politecnico di Milano

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“Sia che tu stia comprando o vendendo beni di largo consumo, energia, cure mediche, istruzione o servizi finanziari, il potenziale effetto disruptive dei prodotti e servizi digitali mira esattamente al tuo business. (..) Nessun settore industriale rimarrà incolume, nessuna supply chain riuscirà a evitare stravolgimenti, nessun piano strategico rimarrà inalterato.

(..) Alcuni business avranno il tempo di reagire, altri molto meno. Ma ogni impresa dovrà confrontarsi con alternative migliori e meno costose delle tecnologie che sono attualmente core per il business, e che forse lo sono state sin dalla nascita della specifica attività. È per questo ogni business, oggi, deve essere considerato un business digitale”.

Nel loro libro “Big Bang Disruption: Strategy in the Age of Devastating Innovation”, in uscita a breve, Larry Downes e Paul Nunes offrono un affresco affascinante – ma anche terrificante – dei profondi cambiamenti in atto in molti comparti dell’economia a causa dell’effetto combinato di “dispositivi mobili (smartphone e tablet) + app + cloud computing + broadband”.

I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Le macchine fotografiche digitali compatte, che avevano sostituito le analogiche tradizionali, sono sempre più colpite dalla concorrenza (involontaria) degli smartphone, che – per promuovere se stessi – offrono una qualità in continua crescita: nel secondo trimestre 2013 sono ad esempio calate del 26 per cento, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, le vendite mondiali di Canon e del 30 quelle di Nikon, delle due imprese cioè che controllano quasi la metà del mercato complessivo. È iniziata qualche anno prima la crisi degli orologi, sostituiti dai cellulari come “misuratori del tempo”: con l’eccezione di quelli vissuti come gioielli o di quelli in grado di adempiere ad altre funzioni (quali ad esempio la misura delle prestazioni sportive). I navigatori portatili, dopo un felice decennio di crescente espansione, hanno trovato sulla loro strada le app – molto più economiche (quando non gratuite) e continuamente aggiornate – e una sorte simile si prospetta per le console portatili per videogiochi, insidiate dagli smartphone; ma anche le ultime versioni della PlayStation o di Xbox risultano penalizzate nelle vendite rispetto ai livelli di qualche anno fa, nonostante le rilevanti innovazioni introdotte, dalla concorrenza dei tablet. Gli sms, grande fonte di reddito delle società telecom, stanno vistosamente arretrando per il crescente ricorso – gratuito o quasi – alle chat.

Sono da qualche anno in profonda crisi i quotidiani e i periodici, che hanno grosse difficoltà a recuperare via web o mobile la caduta – nelle copie vendute e nella pubblicità – del cartaceo e che trascinano le edicole nella caduta. Sono in profonda crisi le librerie, non sono negli US (ove è fallita la seconda catena del Paese ed è in difficoltà la prima) ma anche in Italia, a causa prima dello sviluppo impetuoso del canale alternativo dell’ecommerce e poi della nascita dell’ebook. È da molti anni in crisi l’industria discografica: all’inizio a causa della pirateria, ora per gli alti margini che deve concedere agli OTT per il download e più di recente per lo streaming. E una situazione simile si ha per l’industria cinematografica. Si possono spedire soldi con una email, utilizzando una recente app di Square, e tutto il sistema dei pagamenti nei punti di vendita appare destinato a cambiamenti profondi – con l’uso dello smartphone al posto delle carte di credito o della moneta – nel giro di qualche anno. I social network come Alibaba e gli operatori nel search come Tencent stanno attaccando in Cina il sistema bancario tradizionale, alla ricerca di risparmi da gestire. Il nostro sistema bancario, a sua volta, vede ogni giorno crescere il livello di sottoutilizzo dei dipendenti e delle filiali, essendosi ormai una parte prevalente delle operazioni spostatasi in rete. E la lista è ben lungi dall’essere completa.

È in atto in altri termini un profondo processo di trasformazione dell’economia, in Italia non ancora completamente visibile nella sua ampiezza. Un processo che ha effetti devastanti sulle imprese incumbent in diversi comparti – da cui il termine Big-Bang Disruption – e che, pur lasciando in vita i competitori, modifica più o meno radicalmente le regole del gioco in altri. Un processo che tocca soprattutto le imprese B2C, ma che può colpire anche le B2B: ad esempio quelle che operano nelle supply chain delle B2C. Un processo che ovviamente apre anche nuove rilevanti opportunità a chi sappia coglierle e che dovrebbe essere guardato con grande attenzione nell’ambito dell’Agenda Digitale.

Le operazioni che Francesco Caio sta cercando di portare avanti (l’identità digitale e la totale intercomunicabilità fra banche dati pubbliche) sono importantissime, la riforma della PA – enorme macigno sulla strada della ripresa e della capacità di attrarre investimenti esteri – rimane basilare, ma ritengo che altrettanto importante sia uno sforzo collettivo

– per accrescere, nelle nostre imprese (soprattutto nelle PMI) e nei nostri imprenditori e manager, la coscienza della discontinuità in atto e rendere disponibili strumenti (culturali e nei limiti del possibile finanziari) atti a favorire gli aggiustamenti opportuni e – ove necessari – i cambi di rotta;

– per accrescere, fra i nostri giovani e meno giovani, la voglia di intraprendere per sfruttare le opportunità che la disruption offre: la voglia di lanciare start-up, possibilmente di respiro internazionale, che generino (creando un ciclo virtuoso) un interesse per l’Italia dei fondi di venture capital e delle grandi imprese ICT internazionali.

È quanto sta accadendo nella Corea del Sud, dove il governo ha recentemente creato una struttura – denominata Ministero per il Futuro – che vuole aiutare le start-up operanti nel software a uscire da una logica locale e a vedere come proprio mercato di riferimento il mondo: preceduto in questo da Google, che da due anni aiuta alcune giovani imprese a sprovincializzarsi, e dai fondi internazionali di venture capital, che hanno aperto un fondo riservato alle start-up sudcoreane.

Umberto Bertelè ha appena pubblicato il libro “Strategia”, edito da Egea e disponibile anche nel formato e-pub e come app per Apple e Android

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