La trasformazione digitale ha sparigliato le carte e innescato una serie di radicali cambiamenti di processo. In primis il mondo dell’informazione è stato stravolto fino alle sue radici. Un mezzo originariamente nato con intenti ludici è diventato, forse non volendo, il mezzo attraverso cui fruiamo di più le informazioni, dibattiamo e ci formiamo un’opinione sui fatti del mondo. In un contesto in cui un uovo è l’immagine con più like su Instagram, c’è chi ancora si stupisce che “la verità” non sia al centro del sistema informativo.
Sappiamo benissimo che gli utenti online cercano le informazioni che più aderiscono alla loro visione del mondo e usano tali informazioni per consolidare la loro narrazione. Questa ricerca mirata avviene in un contesto che favorisce l’aggregazione di gruppi di persone intorno a narrative condivise che tendono a radicalizzare, e quindi polarizzare il dibattito. Lo vediamo continuamente anche nella dialettica politica.
La questione della verità contro le bugie si rivela un modo sbagliato di inquadrare un cambiamento radicale nei processi di comunicazione e di fruizione dell’informazione. Più praticamente, l’idea che si debba contrastare una deriva di sfiducia profonda avvalendosi della spada della verità a suon di titoli, la dice lunga sulla comprensione del momento storico che stiamo vivendo.
Ovviamente anche chi si imbarca in questa corrente purista è pur sempre umano con il suo groviglio di valori, idee, pensieri, convinzioni, interessi, necessità. Tutti, infatti, interpretiamo e leggiamo le cose in modo che ci torni utile, che ci dia sicurezza, che ci illuda di poter avere il controllo. Resta comunque il fatto che i nuovi mezzi di comunicazione hanno aperto la porta a nuove possibilità. Prima le informazioni erano filtrate, prendevamo quelle accessibili tramite i giornali o le prendevamo dagli amici. Oggi invece, attraverso l’internet, possiamo accedere facilmente a fonti che parlano di cose per noi interessanti e così come succede per noi succede anche per tanta altra gente. La lingua che si parla su Internet si è adeguata alle nostre capacità di attenzione. È un gergo veloce, che serve per parlare a gruppi di amici e sodali, è basato su immagini e cerca le emozioni di pancia come la risata o l’indignazione.
A ognuno la sua versione dei fatti
E siccome nessuno ascolta più, invece di abbracciare il cambiamento (come altri hanno cominciato a fare) ecco che c’è chi ha bisogno dell’hostis e se la prende con i troll russi, le fake news, le manipolazioni dell’opinione pubblica, gli analfabeti funzionali. È il grido del guru che si abbatte contro un muro sordo di chi non lo riconosce più (e si fida ancora meno). Lo stesso guru è comunque pronto a dare retta allo stregone di turno quando c’è da portare avanti la propria causa, come nel caso dei troll russi (salvo però poi fare grossa confusione sui concetti base dell’analisi, ma questa è una storia lunga).
Ora ognuno si fa la propria versione dei fatti e si fa fatica ad accettare versioni che piovono dall’alto di una qualche autorità. Succede che spesso ci facciamo prendere la mano e ci facciamo idee radicali anche su cose abbastanza articolate di cui non afferriamo perfettamente il senso, ma ugualmente ci sentiamo forti e sicuri del nostro.
Se qualcuno ci dice “guarda che non hai capito niente, le cose stanno così, torna a studiare”, ci arrabbiamo. C’è voglia di cambiamento. Non ascoltiamo più, ci fidiamo poco.
E si va per totem. La dinamica che si innesca è quella tribale.
Succede qualcosa che spacca l’opinione pubblica e il portabandiera di turno (che sia a proposito del cambiamento climatico o per i diritti dei minatori) viene esaltato da un lato e denigrato dall’altro. Dopo due giorni il portabandiera è un meme e viene assorbito come un’opera d’arte Dada nel mare magnum che è Internet.
Un’analisi sul tema dell’immigrazione
L’immigrazione è un argomento molto sentito che polarizza fortemente l’opinione pubblica sia sui social che fuori. Per questo motivo abbiamo deciso di andarci dentro, di analizzarlo, con un progetto che ha coinvolto in partnership il nostro laboratorio all’Università Ca’ Foscari di Venezia, il Corriere della Sera e la London School of Economics (LSE). Il risultato di tale lavoro è stato un report, ‘Journalism in the Age of Populism and Polarisation: Lessons from the Migration Debate in Italy’, disponibile sul sito della LSE. Ci siamo occupati di investigare in che modo gli utenti Facebook percepissero gli articoli pubblicati dal Corriere della Sera sul tema dell’immigrazione[1]. Abbiamo cercato di capire quali contenuti e tecniche giornalistiche rafforzassero o riducessero determinati atteggiamenti polarizzanti espressi dagli utenti.
Analizzando il numero di like, commenti e condivisioni agli articoli del Corriere della Sera, ci siamo accorti di come il tema fosse realmente uno dei più scottanti e dibattuti. Abbiamo infatti registrato un coinvolgimento maggiore degli utenti su tale tema, rispetto agli altri, nel biennio 2017-2018. L’estate 2018 è stato il momento più caldo in materia di immigrazione. La politica dei porti chiusi del Ministro degli Interni Salvini e i casi delle navi Aquarius e Diciotti hanno fatto sì che il dibattito crescesse notevolmente, come si evince anche dal repentino incremento del numero di commenti agli articoli del Corriere sul tema tra Giugno e Settembre 2018 (figura 1).
Col nostro progetto, abbiamo provveduto al monitoraggio di 114 articoli – pubblicati dal Corriere della Sera sulla propria pagina Facebook – che divergessero per contenuti e tecniche giornalistiche adottate. Abbiamo poi esaminato circa 210 mila commenti a tali articoli con l’aiuto di tre studenti assunti dalla LSE. Di tali commenti è stato annotato: se esprimessero un’opinione esplicitamente a favore o contro il fenomeno migratorio, se contenessero un linguaggio esplicitamente tossico, se fossero esplicitamente critici nei confronti del Corriere della Sera.
Nei commenti abbiamo riscontrato una preponderanza degli utenti avversi al recente fenomeno migratorio, rispetto a chi, invece, si dimostrava a favore. Un po’ ce lo aspettavamo. Ciò non necessariamente indica che tale opinione sia preponderante ma che, probabilmente, chi possiede tale opinione sia più propenso a farsi sentire.
Spunti più interessanti sono emersi dall’aggregato di quei commenti che criticano apertamente il Corriere della Sera per la propria linea editoriale.
Ci siamo accorti che, a livello contenutistico, gli articoli più visivi e multimediali sembrano attrarre il minor numero di critiche. “Se non vedo non credo”. Il meccanismo sembra essere quello. Difficilmente ci può essere mancanza di fiducia quando si portano prove visive. La tipologia più criticata è invece quella del quiz, che tenta di sfatare alcuni miti circa i numeri che circolano sul recente fenomeno migratorio. L’atteggiamento qui sembra essere di “challenge avoidance”: se c’è il rischio che le mie convinzioni possano rivelarsi sbagliate, non accetto la sfida ma anzi critico espressamente chi la pone.
Figura 3, percentuale commenti critici per tipo di contenuto.
Tra le varie tecniche giornalistiche esaminate, gli utenti sembrano nutrire maggior fiducia nei confronti di quelle caratterizzate dal fatto di essere più imparziali e dettagliate (News Report e Article with Context) (evidenze simili nel Reuters Report sul giornalismo online, Ndr.). Gli articoli dove sembra emergere un’opinione netta invece – come quelli che si basano su dati, gli articoli di giornalismo costruttivo o gli articoli più emotivi – sembrano convogliare le maggiori critiche. Senza dubbio, il pregiudizio di conferma gioca un ruolo in tutto questo. Si accettano opinioni in accordo con il proprio credo e non ci si fida di chi lo mette in dubbio. Inoltre, articoli troppo soggettivi sembrano non essere graditi dall’utente. Corrono il rischio infatti di essere percepiti come un’interferenza emotiva non richiesta.
Figura 4, Proporzione commenti critici per tecnica giornalistica adottata.
Più in generale, dal lavoro è emerso come riportare un dibattito, come quello dell’immigrazione, alla realtà dei fatti potrebbe contribuire a lenire il sentimento di sfiducia.
In questo modo, anche i recenti fenomeni di disinformazione, che proliferano in ambienti fortemente polarizzati, potrebbero ridursi. Tanto rimane ancora da fare. La speranza è che si esca dall’ottuso approccio dicotomico “vero-falso” e che si affronti il problema nella sua complessità.
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