la riflessione

Facebook chiude Casapound, perché se sei democratico non devi esserne (troppo) contento

Sì, sono pagine d’odio. Ma Facebook dimostra ancora una volta di dettare legge, da sola, in uno spazio pubblico. La soluzione è in authority sopranazionali che possano in qualche modo imporsi e regolamentare spazi digitali così ampi

Pubblicato il 10 Set 2019

Andrea Lisi

Coordinatore Studio Legale Lisi e Presidente ANORC Professioni, direttore della rivista Digeat

casapound

Casapound: sono personalmente felice se vengono eliminati da Facebook e Instagram profili e pagine che incitano palesemente all’odio. Del resto, azioni del genere sono state sviluppate in passato da Zuckerberg & C. anche nei confronti di altre organizzazioni nazi-fasciste, non solo in Italia.

Ma se da una parte l’azione di pulizia è culturalmente corretta sulla base della mia personale sensibilità, dall’altra parte non si può non riflettere sul fatto che siamo in presenza di una sorta di azione di autotutela collettiva decisa e portata avanti da un’organizzazione privata in uno spazio che rimane poco controllabile e poco controllato dal diritto (e quindi inevitabilmente soggetto a pressioni politiche).

I pericoli delle scelte Facebook

È vero anche  che Facebook (come Google) rimane un incredibile servizio offerto “gratuitamente” da multinazionali private che quindi si muovono in un raggio d’azione da loro regolamentato sulla base di sensibilità più o meno condivise a livello mondiale anche con i governi che in qualche modo li “ospitano” nei loro confini territoriali; essi si muovono quindi in un meta-stato di dimensioni nazionali e questo rende il loro raggio d’azione estremamente libero e quindi anche molto soggettivo.

Per tale ragione, non è possibile essere totalmente contenti e tranquilli quando lo Stato di diritto non arriva a tutelare spazi ormai di dimensioni enormi così (più o meno) liberi e indipendenti, nei quali ormai si vive con proprie identità digitali. Del resto oggi se non sei su Google, Instagram, Facebook (etc…) non esisti e quindi l’azione di cancellazione perpetrata in un ambito privatistico, se pur in questo specifico caso umanamente corretta, ha ripercussioni pesantissime sulla vita dei soggetti nei confronti dei quali è rivolta.

Noi giuristi dovremmo riflettere su queste nuovi dimensioni sociali non presidiate totalmente dal diritto pubblico e affidate ad una autoregolamentazione imposta da chi detiene un potere incredibile che non può non avere per tali motivi ripercussioni pubblicistiche.

Quali soluzioni

Come agire? Forse ci dovremmo auspicare una concertazione internazionale tra Stati finalizzata alla costituzione di forme di Authority sopranazionali che possano  in qualche modo imporsi e regolamentare spazi digitali così ampi. Insomma arrivare a un nuovo ius mercatorum che possa regolamentare questi spazi dai poteri altrimenti  illimitati. I singoli Stati o anche la sola Unione Europea poco possono fare, se non stare a guardare e timidamente imporre la tutela di certi diritti fondamentali come con il GDPR.

Ci attende un futuro sempre più complesso e forse lo stesso diritto deve misurarsi oggi con nuovi strumenti in un ambito che rimane un Far Web e, nel Far Web, gli sceriffi usando i propri metodi assicurando la giustizia. Ma il senso della giustizia oggi colpisce chi effettivamente ha abusato della sua libertà di esprimersi, ma domani potrebbe colpire spensieratamente e semplicemente il dissidente social di uno Stato con cui la multinazionale ha un accordo economico. E questo non può non farci paura

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