La protezione dei dati appare, ogni giorno di più, come un baluardo fondamentale per la democrazia. Lo si vede con chiarezza crescente nelle fasi politiche di maggiore polarizzazione, come quella che stiamo vivendo: dove campagne di propaganda diffuse (e gestite spesso da attori istituzionali) possono – anche con notizie false o tendenziose – influenzare l’opinione pubblica. E persino le intenzioni di voto.
Ebbene, queste campagne sono così efficaci solo se ben mirate. E per essere ben mirate devono utilizzare i dati che permettono di definire i nostri interessi e profili socio-demografici. Di qui l’importanza della protezione degli stessi dati.
La privacy, da problema etico a questione di sicurezza
Nell’era della sostituzione della guerra dichiarata con i conflitti asimmetrici, dell’elevata competizione tra organismi-Paese e della cyber-threat, l’informazione digitalizzata è diventata la risorsa principale di ogni motore politico ed economico.
Non è una novità che l’informazione sia elemento costitutivo del potere e fattore fondamentale della strategia così come non sono una recente novità le azioni belliche non militari, dell’uso del soft power per piegare i competitor senza subire gli inevitabili costi dello scontro frontale, particolarmente se di natura militare.
Tuttavia, con l’ultima rivoluzione digitale, l’efficienza nello sfruttamento della risorsa informativa su larga scala è aumentato esponenzialmente. Il binomio big data/algoritmi ha rappresentato nel campo della competizione (militare, politica, economica) ciò che, probabilmente, la fusione nucleare rappresenterà nel campo delle risorse energetiche, quando verrà perfezionata e resa fruibile su larga scala.
Ciò che chiamiamo – in modo ormai obsoleto – privacy, dunque, è rapidamente mutato da problema etico e individuale a problema di sicurezza privata e pubblica.
Considerando il tema delle fake news, che agita ormai da qualche anno ricercatori, politici ed istituzioni di ogni livello, è facile notare come il problema non stia tanto nella natura del fenomeno in sé.
Inutile ricordare che la disinformazione è uno strumento noto dalla notte dei tempi e tutt’altro che inutilizzato. Dalla semplice calunnia personale, alle evocative locandine apparse sui quotidiani nei periodi di guerra in Europa illustrate in quasi ogni libro scolastico di storia passato nelle nostre mani, fino alle articolate campagne di disinformazione e contro-informazione che hanno percorso l’intera guerra fredda in entrambi i blocchi, il fenomeno è infatti noto e consolidato.
La discontinuità delle fake news nel contesto della disinformazione
La fake news, però, viene percepita come qualcosa di nuovo, e ciò è dovuto principalmente alla magnitudine dei suoi effetti potenziali.
Come osservato dal generale Carlo Jean su un recentissimo articolo pubblicato dalla rivista Formiche, infatti, il mutato contesto tecnologico e geopolitico ha dato vita ad un teatro di competizione in cui, al contrario di quanto previsto dagli schemi più classici della teoria strategica, l’attacco ha un vantaggio intrinseco maggiore a quello della difesa.
L’impossibilità di identificare tempestivamente e con certezza l’autore o il mandante di una campagna di disinformazione (che può ridursi anche ad un semplice “video virale”), la conseguente impossibilità di intuirne schemi logici, relazioni di interesse ed obiettivi, è sicuramente un primo fattore di differenza sostanziale, pur su un piano forse solo quantitativo, tra disinformazione classica e utilizzo delle fake news.
Ma è su un secondo piano, questa volta qualitativo, che si radica la maggior discontinuità rispetto al passato. Infatti, rispetto alla disinformazione o alle campagne di condizionamento classico, è oggi possibile veicolare messaggi manipolatori sotto forma di notizie di cronaca in maniera targettizzata, confezionandole nel modo più idoneo a vincere le difese dei bersagli, sfruttando le loro specifiche paure, lacune formative o informative, aspirazioni.
L’importanza della protezione dei dati
Qui entra in gioco la protezione dei dati.
Infatti, presupposto dell’azione appena descritta è il possesso, da parte dell’agente disinformatore, delle informazioni relative ai target ai quali somministrare le fake news. La platea di destinatari deve essere, cioè, debitamente segmentata sulla base di una accurata profilazione. Quest’ultima è possibile solo se si è in possesso di informazioni sulle abitudini, sulle azioni e sugli interessi che la suddetta platea ha manifestato mediante la navigazione, la fruizione di servizi, l’interazione su social network.
Sono i dati relativi ai like, agli acquisti, alle ricerche e così via, insieme ad una miriade di metadati, a consentire di tracciare un profilo dell’utenza, clusterizzarla e organizzare campagne efficaci ed efficienti (anche in ottica di allocazione di risorse economiche a disposizione), basate sulle fake news.
Elaborare soluzioni giuridiche e tecniche utili ad evitare che queste informazioni possano uscire dalla sfera di controllo degli interessati o dei soggetti che, in prima battuta, le raccolgono per finalità diverse da quelle malevole di cui si tratta qui, è quindi un problema che impatta direttamente sulla sicurezza nazionale. Se i dati di milioni di utenti, che sono poi elettori e cittadini, vengono raccolti laddove ciò non sia necessario o vengono trattati in modo non sicuro o, ancora, diffusi in maniera leggera, è lo stesso equilibrio democratico ad essere in pericolo.
Ciò anche alla luce di una riflessione meno operativa, ma ben più strutturale.
Il nostro sistema è interamente fondato sul presupposto che le dinamiche sociali siano fondate su un comportamento filtrato dalla razionalità degli individui (e, conseguentemente, delle loro forme aggregate). La stessa forma democratica degli ordinamenti statali e sovranazionali occidentali, nell’attribuire – mediante la centralità dei passaggi elettorali – la sovranità al popolo, assume come presupposto che il popolo prenda decisioni che, pur non potendo essere del tutto prive di componenti irrazionali, siano filtrate dalle sovrastrutture e dalla razionalità individuale. Certo, la declinazione rappresentativa del sistema democratico inserisce, nel processo di formazione della volontà collettiva, dei contrappesi e dei filtri volti ad assicurare che si evitino derive plebiscitarie e, comunque, si sia meno facilmente vittime di orientamenti collettivi frutto di abbagli o contingenze estreme. Tuttavia, la centralità dell’espressione della volontà dei cittadini resta indiscutibile e fondamentale.
I pericoli per il modello democratico
Così, è importante che queste scelte (in particolar modo quelle elettorali, ma non solo) siano operate secondo senso critico e ponderatezza. In sintesi, la massa a-critica, tanto più se orientata da volontà imprevedibili in grado di manipolarne le scelte, mina alla base la stessa validità del modello democratico.
Per questa ragione, quel filone giuridico e tecnico-informatico, che vede il suo baricentro nella normativa sulla data protection e protagoniste le Autorità garanti dei diversi Stati (in particolare di quelli membri UE), focalizzato sulla neutralizzazione delle minacce conseguenti all’utilizzo improprio dei dati a finalità commerciali, politiche o informative, è oggi il fulcro delle dinamiche geopolitiche tra organismi politici e imprese, interne agli stati o internazionali.
La consapevolezza diffusa dei rischi che comporta per ogni persona la cessione di quote della propria libertà in cambio di servizi o beni, l’estrema attenzione delle istituzioni (a proposito, è urgente la nomina da parte del Parlamento dei nuovi commissari del Garante italiano per la privacy!), la lotta ai nuovi monopoli digitali, sono le colonne portanti di una strategia efficace a presidio dei valori e del funzionamento degli ordinamenti fondati sulla libertà e sui diritti fondamentali dell’essere umano.
Anche in questo campo il “nuovo Umanesimo” più volte solennemente invocato dal Presidente del Consiglio deve trovare applicazione, nella ricerca di soluzioni ponderate a presidio di un’architettura sociale volta a trovare nella dialettica e sintesi tra argomenti razionali e interessi contrapposti il senso delle azioni politiche e l’orizzonte della sicurezza collettiva, invece di abbandonarle a tendenze tecnologiche e politiche fondate sul richiamo ad argomenti trascendenti ed arbitrari o a moti “virali” conseguenti allo sfruttamento interessato di pulsioni irrazionali di massa.