servizi pubblici digitali

Un “welfare di comunità” per il futuro della Sanità (digitale): l’idea

La vera sfida dell’Agenda Digitale italiana oggi è il passaggio da un welfare statalistico in crisi finanziaria a un welfare di comunità, dove più forze e più risorse (pubbliche, private, volontarie e delle famiglie) concorrono a creare una nuova rete di protezione sociale e di limitazione delle disuguaglianze. Vediamo come

Pubblicato il 10 Ott 2019

Mauro Moruzzi

Dipartimento Trasformazione Digitale-Presidenza del Consiglio dei Ministri, Scuola di Welfare Achille Ardigò

sanità digitale

Oggi, la vera sfida della trasformazione digitale è quella di rendere la comunità parte attiva del cambiamento, soprattutto quando si tratta di welfare e quindi di Sanità, partendo da un processo di innovazione che metta il cittadino al centro.

La cultura Citizen Centered e la tecnologia di comunità rompono infatti gli schemi degli ecosistemi verticali, burocratici, portando la tecnologia a vincere sulla tecnica.

Il momento attuale potrebbe essere propizio: la costituzione del nuovo Ministero per per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione, che dovrà occuparsi della trasformazione digitale dell’Italia, è un’occasione da non perdere per definire una chiara strategia e riordinare gli strumenti operativi nel confuso mondo della dematerializzazione italiana.

Peraltro il Ministro Paola Pisano è persona competente, docente di Gestione dell’Innovazione all’Università di Torino ed è stata Direttore del Centro di innovazione tecnologica multidisciplinare dell’ateneo piemontese. Quindi esistono condizioni ottimali per un ripensamento complessivo dell’Agenda Digitale Italiana. L’Italia non può restare, nell’indice DESI, ai penultimi posti della classifica europea.

Le previsioni di Marshall McLuhan

Ma soprattutto gli amministratori italiani, con il supporto del mondo scientifico e industriale, devono appropriarsi della nuova dimensione della ‘cultura dell’immateriale’: quel passaggio di medium dall’atomo al bit (e poi a particelle sempre più immateriali come i quanti, i fotoni, ecc.) che costituisce la chiave di volta di un’epocale trasformazione economica e sociale già intravista con chiarezza da Marshall McLuhan quando pubblicò, nel lontano nel 1964, ‘Gli strumenti del comunicare’. Già allora l’autore di Galassia Gutenberg scriveva : “Oggi, dopo oltre un secolo di impiego tecnologico dell’elettricità, abbiamo esteso il nostro stesso sistema nervoso centrale in un abbraccio globale che, almeno per quanto concerne il nostro pianeta, abolisce tanto il tempo quanto lo spazio”. Poi, ricomponendo il discorso sul ‘cambio del medium’, Mcluhan afferma che “lo stesso film (contenuto) visto alla televisione o al cinema (medium) ha un effetto diverso sullo spettatore. Di conseguenza la struttura della televisione e la struttura del cinema hanno un impatto particolare nella società e sugli individui che deve essere colto e analizzato attentamente.” Non era ancora iniziato il terzo cambio epocale di medium, dopo la stampa del libro e la televisione, quello di Internet e delle reti socio-tecniche.

Una diagnosi rilasciata in modo cartaceo (la ricetta tradizionale su foglio) ha un impatto radicalmente diverso se inserita in una CCE e in FSE e, attraverso questi, in flussi elettronici di informazioni lungo il percorso spaziale e temporale di presa in carico dell’utente con una patologia cronica.

Nel secondo caso – con la dematerializzazione delle informazioni in reti sociali – si ha una socializzazione delle informazioni in una comunità di operatori con il ‘cittadino al centro’ (sottolineo: in reti sociali condivise, perché anche la burocrazia si è avvalsa per cinquant’anni dell’informatica, della tecnologia digitale, senza alcuna condivisione sociale).

È quello che porta McLuhan a dire che ’ogni medium ha caratteristiche che coinvolgono gli spettatori in modi diversi’. E nei servizi gli spettatori sono certamente gli utenti, gli assistiti, ma anche gli operatori e i medici che sono coinvolti nel processo assistenziale in maniera frammentaria, in una situazione di segmentazione della macchina dei servizi.

Una sanità digitale col cittadino al centro

Il primo riscatto culturale di una nuova governance nazionale è quindi quello chiaramente indicato, in forma compiuta, dall’ultima sessione dell’Osservatorio dell’Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano (maggio 2019): il cittadino è al centro dei processi di trasformazione digitale e con lui la ricostruzione ‘citizen centered’ delle sue informazioni (del suo corpo, della sua identità, del suo contesto spaziale e sociale) e della sua domanda di servizi in una dimensione spazio-tempo dinamica (connected care). Un riscatto anti-burocratico, dopo vent’anni di ‘Carta di Lisbona’, dove l’Agenda Digitale europea (eGovernment) era in funzione di una burocrazia manageriale pubblica che si autoproclamava innovativa.

Il secondo riscatto culturale della governance nazionale digitale riguarda quello che sempre McLuhan chiama ‘stato narcisistico-tecnologico’: “una totale immersione nelle logiche mediali può condurre, inconsapevolmente, l’uomo ad una condizione di ‘idiota tecnologico’, ovvero una sorta di narcosi ed intorpidimento in grado di far perdere di vista la realtà. Se non abbiamo gli anticorpi intellettuali adatti, questo capita appena ne veniamo in contatto, e ci porta ad accettare come assiomi assoluti, le assunzioni non neutrali intrinseche in quella tecnologia. Se invece riusciamo a evitare di esserne fagocitati, possiamo guardare quella tecnologia dall’esterno, con distacco, e a quel punto riusciamo non solo a vedere con chiarezza i principi sottostanti e le linee di forza che esercita, ma anche i mutamenti sociali diventano per noi un libro aperto, siamo in grado di intuirli in anticipo e (in parte) di controllarli”.

Ora ciò accade quando i tecnologi si degradano a tecnici, i quali non potrebbero esistere senza i primi (vi immaginate un tecnico di radiologia senza un medico?) e rivolgono un’attenzione pressoché esclusiva alla rete come fatto materiale (server, data center, cavi, connettività, sensori, ecc.) e non virtuale. Visto dal lato del cittadino, che dovrebbe ‘stare al centro’, tutto questo è assurdo.

I tre stadi della struttura della rete

La struttura della rete è notoriamente composta da tre stadi:

  • quello materiale delle infrastrutture,
  • quello di Back Office del SW e delle norme,
  • quello di Front Office o Front End.

Il cittadino e l’operatore dei servizi – il tecnologo, non importa se medico o assistente sociale o operatore ambientale – si rapportano esclusivamente al terzo stadio, quello della comunicazione virtuale; mentre l’organizzazione del Front Office e tanto più delle infrastrutture è lasciata alle componenti tecniche di service operation management e di software.

Si pensi alla presenza di ognuno di noi su un qualunque social, ad esempio su Facebook: ci siamo noi e un certo numero di ‘amici’ collegati nel ‘primo cerchio’; poi il popolo della rete come ‘sottofondo’. Ci avvaliamo di una piattaforma tecnologica (B.O.) e di reti di connettività fisiche o spaziali che sono del tutto estranee al nostro orizzonte pratico e culturale e che appartengono a un mondo ‘tecnico’ vicino a noi non più di quello che ha prodotto il motore della nostra automobile e che mai tenteremo di guardare come è fatto.

La focalizzazione della discussione politica sulle reti, sui data center e sulle caratteristiche del cloud è non meno assurda di quella sulla produzione di motori d’auto dove ci si limita, giustamente, a legiferare sui livelli di inquinamento; così come si formulano leggi a tutela della privacy che server e cloud dovranno rispettare.

Per le infrastrutture, i software e la connettività c’è fortunatamente, in Occidente e perfino in Oriente, il mercato. Quando il pubblico si sostituisce alle imprese industriali combina solo dei guai. Abbiamo ancora qualche ricordo dell’informatica di stato e dei costi che ci ha fatto pagare.

Sul terzo stadio invece val la pena avere una strategia politica. Qui è pienamente coinvolto il sistema delle nostre in-house ict regionali e centrali (associate nel Networks AssinterItalia). Sempre meno in concorrenza con il mercato, le in-house potrebbero essere, come in parte si propongono, le articolazioni territoriali di un sistema a architettura citizen centered e connected care, garantendo una ‘fascicolatura elettronica’ (lo so che il termine non è chic, ma ormai abbiamo il Fascicolo Elettronico) a livello individuale di tutti i dati di interazione tra Stato e Cittadino. Dati a tutt’oggi trattenuti dallo Stato e solo in pochi casi ‘restituiti’ all’utente (con il FSE, però di lenta diffusione nazionale, e con qualche best practices in casa INPS e poco altro) . Quante tasse dirette e indirette abbiamo pagato in un anno e in una vita? Quanti contributi previdenziali? Quante ore di scuola e con quali valutazioni abbiamo frequentato? Quali indagini e sentenze giudiziarie sono state fatte e concluse a nostro carico? Quante automobili abbiamo usato e quanti litri di carburante consumato? Ecc., ecc., fino a tutti i bit degli esami e delle visite del nostro corpo.

Il fascicolo del cittadino restituisce i dati al proprietario naturale

In una architettura citizen centered, il ‘fascicolo del cittadino’ è una riappropriazione globale di dati individuali che lo Stato impropriamente, anche se non illegalmente, detiene per sé in forma pressoché esclusiva e che in una democrazia avanzata vanno ‘restituiti’ al proprietario naturale. Ovviamente anche tutto il sistema delle organizzazioni economiche, a partire dai grandi provider di rete, dovrebbero, a richiesta, restituire alla persona i dati di interazione.

I fascicoli elettronici sono anche la base dati per personalizzare i servizi pubblici e privati. Ciò avviene attraverso una interazione tra eData organizzativi (delle istituzioni) e eData personali esposti dal cittadino. Se mi approprio di tutti i miei dati di prenotazione delle visite ed esami di un servizio Cup e li espongo alla prossima richiesta di un esame del sangue, il sistema mi proporrà come prima opzione quell’ambulatorio dove mi sono quasi sempre recato negli ultimi dieci anni. Ma il concetto non è diverso se applicato alla spesa on line.

Nelle interazioni di Back End si potrebbe inserire una vasta produzione di servizi on line personalizzati e virtualizzati che soltanto in parte sono pubblici (come quelli del SSN, dell’INPS, della fatturazione fiscale o dei Comuni). La quasi totalità proviene dalla galassia dell’offerta di mercato. Potrebbero esserci delle ‘porte discrezionali’ di accesso ai dati del fascicolo individuale. Il sistema non è molto diverso dalle App e dalle Api che entrano nel mio iPad. La principale diversità consiste nel fatto che il mio iPad ha soltanto un sistema di identificazione (e protezione) digitale, per giunta privato; mentre il Fascicolo del Cittadino, modello FSE, dovrebbe avere, oltre l’identificazione, la storia delle informazioni dematerializzate della mia vita. Utilizzata in forma estrema, questa base di eData mi permetterebbe di viaggiare a occhi chiusi per la città con un’auto a guida automatica.La Smart City, secondo un ordine di index prestabilito, è un campo formidabile di interazione con le basi di eData personalizzati dei singoli cittadini.

I Big Data sono il terzo grande fattore di riferimento tra eData fascicolati, personali e eData organizzativi-istituzionali: una triangolazione, Io – lo Stato (il sistema organizzato) – Tutti. I dati della mia salute confrontati con quelli di tutti (se tutti stanno peggio di me allora io sto quasi certamente bene), con l’offerta di servizi di salute (pubblici e privati) e con la soddisfazione che queste offerte hanno generato (sentiment analysis).

Ma queste interazioni chi le fa (chi gestisci e crea gli algoritmi)? Chi le garantisce, chi stabilisce le best practices? Certo il mondo scientifico, ma non da solo; poi c’è quello industriale e infine quello istituzionale. Da qui la necessità di un confronto che ha portato le in-house a proporre – il 3 ottobre a Bologna – la costituzione di un Centro Nazionale di Competenza per l’utilizzo dei Big Data nel rifacimento dei corredi informativi, individuali e di governance, per il welfare.

I servizi on line che non funzionano nella PA

Ritornando ai servizi online della Pubblica amministrazione molti osservano che stentano a decollare sia in termini di diffusione sia in termini di accettazione da parte dell’utenza e della stessa PA. Ce lo dice l’indice Desi. Sulle pagine di Agendadigitale.eu è stato scritto, giustamente, che i servizi online della PA non devono essere tendenzialmente come quelli del privato, perché c’è una asimmetria evidente: i primi tendono alla norma (della PA); gli altri al business (sono ‘Amazon-oriented’).

C’è un diretto collegamento tra questa constatazione e quanto ho cercato di esporre sopra: la PA ha una funzione diversa; potrebbe garantire ‘Fascicoli’ su cui si innesta la personalizzazione dei servizi on line e delle App di mercato. Ancora una volta il Fascicolo del Cittadino, FdC (estensione olistica del FSE) è il punto di riferimento architetturale.

La PA è impegnata in un gigantesco processo di dematerializzazione che dura da decenni (informatizzare tutto!) che è in sé una buona pratica elogiata universalmente, ma che serve è che è servita a scopi radicalmente diversi nei diversi periodi temporali e tuttora. Principalmente:

  • per il controllo (fiscale e di fatturazione, del consumo farmaceutico, della sicurezza con sensori, ecc.). Il controllo è naturalmente il campo di lavoro della burocrazia;
  • per gestire i processi manageriali (semafori, paghe, incassi, ..)
  • per gestire le informazioni in funzione di una ricostruzione dei corredi informativi digitali per la produzione (curare, migliorare l’ambiente, la mobilità, ecc.);
  • infine per una governance e personalizzazione dell’offerta di servizi alla persona in una filosofia citizen centered di interazione cittadino-professionista- manager.

Per attuare quest’opera di dematerializzazione, che sempre più si identifica nei programmi della Agenda Digitale nazionale e locale, sono state create piattaforme tecnologiche (PagoPA, Spid, fatturazione elettronica, ecc.), ecosistemi verticali dematerializzati (sanità, scuola, fisco). Ancora su queste colonne qualcuno ha osservato che tutto ciò non ha ancora prodotto un ‘domicilio digitale’ pubblico a 14 anni di distanza dall’emanazione del CAD; mentre recapiti certificati e firme digitali hanno vissuto e convissuto in un discreto caos. Intanto è arrivata l’App pubblica IO. Ma è per ora un’App vuota, dove forse domani posso scaricare il mio certificato di nascita, cosa per altro inutile perché tutti sanno che sono nato; come per altro è inutile un’App vuota (e chi mai la scaricherà?). Sta inoltre nascendo la Piattaforma Digitale Nazionale dei Dati (PDND) che è un ennesimo tentativo, difficilmente utile, di risolvere una situazione concettualmente caotica accentrando in un unico ‘posto’ (parola vaga ai tempi di Internet) le informazioni digitali degli italiani.

Teorie e pratiche di buona governance digitale

È difficile delineare una teoria della trasformazione digitale. Pochi ci sono riusciti nonostante i tanti tentativi iniziati con il colossale lavoro di Manuel Castells alla fine degli anni ‘90. Conviene, come sempre suggerire un misto di buone pratiche, roadmap di orientamento, senza rinunciare a qualche consiglio ‘sociologico’:

  • Mantenere un ‘approccio costante agli indicatori’ (come il DESI-Digital Economy and Society Index). Questi indicatori ci faranno scoprire che un’iniziativa considerata ‘collaterale’ nell’Agenda Digitale italiana, come la realizzazione del FSE, è stata l’unica vera innovazione a dare originalità europea al nostro sforzo digitale nel campo dei servizi (anche la diffusione dei CUP, sempre in sanità, per tanto tempo sottovalutata ha avuto questa originalità).
  • Ragionare in termini di architetture digitali non disgiunte dalle teorie (sociologiche) dei sistemi: aiuta la mente a capire dove siamo e dove possiamo andare. Le teorie dei sistemi applicate alla Rete sono alla base di ogni impianto architetturale dell’alta comunicazione di Internet. Un sistema sociale – ad esempio la sanità o la scuola – è costituito da due fondamentali aggregati: le organizzazioni e il mondo vitale delle persone i quali sono, dagli stessi sistemi ‘specificate’ come utenti. La comunicazione tra questi due emisferi è sconvolta dal web, dai social e dalle potenzialità dalla Rete. Nella storia recente non era pensabile che un utente accedesse ‘da casa’ al registro elettronico di un figlio studente o alla sua cartella clinica elettronica. Tanto meno che potesse condividere ‘orizzontalmente ‘ informazioni in rete tra utenti. La teoria dei sistemi ci consente quella ‘riduzione di complessità’ necessaria per capire questa dialettica comunicazionale sistema-ambiente. E quindi di progettare reti virtuali di comunità per abbattere secolari barriere burocratiche.
  • Progettare e co-progettare queste reti di alta comunicazione pensando a delle ‘comunità dialoganti’, come nuova forma di socializzazione delle informazioni. L’informatizzazione di un ospedale (progetto eHealth), per fare un esempio, non è dato dalla CCE e dai software dipartimentali e nemmeno da un moderno data warehouse. La base di tutto è una comunità in rete di medici e operatori sanitari che assieme cambiano il medium (ancora McLuhan!) e coinvolgono direttamente i pazienti. È la comunità in rete che fa la differenza, non i nuovi PC.
  • Un project (innovativo) dei sistemi di rete è cosa diversa da un project tradizionale. È una co-progettazione di comunità , altrimenti non funziona e dopo un anno la cartella clinica elettronica o il FSE sono un ingombro, diventano burocrazia elettronica. Matrici di progetto e Road Map di cambiamento vanno condivise. La co-progettazione e il concetto di ‘comunità che gestisce il cambiamento’ (del medium) devono essere parte della cultura digitale nella sanità, nell’assistenza, nella scuola, nella Smart City. Il progetto digitale non può prescindere dalla comunità di riferimento. E prima non era così.

Un Welfare di comunità per l’Agenda Digitale

Oggi la sfida principale dell’Agenda Digitale italiana è il passaggio da un welfare statalistico in crisi finanziaria a un Welfare di Comunità, dove più forze e più risorse (pubbliche, private, volontarie e delle famiglie) concorrono a creare una nuova rete di protezione sociale e di limitazione delle disuguaglianze, in particolare per ragazzi e anziani fragili. Progetti rivolti alla Silver Economy e al Welfare integrativo per famiglie a basso reddito, necessitano di presa in carico in modalità eCare e Connected Care; soluzioni tecnologiche in grado di interconnettere il paziente e tutti gli attori coinvolti nell’intero percorso di cura e di assistenza.

In sanità le nuove tecnologie sono il mezzo per sviluppare le modalità di relazione e di servizio tra assistito e operatori sanitari lungo tutte le fasi del percorso di salute. Dall’accesso ai dati sanitari, alla fruizione dei servizi, fino ad arrivare al monitoraggio dello stato di salute, delle terapie e degli esiti, generando comportamenti preventivi e predittivi basati su Big Data analytics. La Rete digitale è il fondamento di una medicina collaborativa, personalizzata e sicura, grazie alla reale condivisione dei dati clinici e diagnostici e la loro accessibilità, fondata sulla collaborazione fra clinici, operatori sanitari e cittadini-pazienti. Una rivoluzione dolce, comunitaria che incrementi l’accuratezza della diagnosi e la qualità delle cure migliorando la sostenibilità del SSN estendibile a tutto il welfare di comunità.

La sfida della nuova governance digitale in Italia potrebbe diventare un progetto della comunità nazionale che partecipa al cambiamento.

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