Le norme che regolano il sistema sanzionatorio della fattura elettronica devono essere riviste per risultare adeguate e coerenti a obblighi e adempimenti.
Quanto più c’è distanza – anche temporale – tra essi, tanto più la loro applicazione risulta complessa, talvolta impossibile. Questo ci costringe quotidianamente a contorsionismi finalizzati a ricondurre nell’alveo di regolarità condotte che sono sostanzialmente corrette ma che violano qualche precetto nato per regolamentare fattispecie ben diverse.
Dobbiamo quindi utilizzare tutta l’elasticità e il buon senso possibili nell’interpretare le norme, ma dobbiamo anche far fronte comune nel chiedere interventi legislativi idonei ad adeguare l’impianto normativo alla digitalizzazione dei processi amministrativi e aziendali.
Attribuire alla violazione un nuovo significato
L’avvio della fatturazione elettronica ha fatto emergere la presenza di errori da parte dei contribuenti, dovuti alla (naturale) asincronia tra il momento in cui si compila e si trasmette la fattura elettronica e quello in cui la stessa viene elaborata dal sistema di interscambio, che la scarta in presenza di errori formali, ovvero la acquisisce al Sistema, recapitandola – se possibile – al destinatario. In questo primo periodo di applicazione della normativa siamo impegnati in una costante attività di ricerca di circostanze attenuanti o esimenti per fattispecie in cui il contribuente ha cercato di fare il possibile per rispettare le regole poste dal legislatore, salvo poi – per banali errori o dimenticanze – trovarsi con una fattura registrata alcuni mesi fa, considerata nelle sue liquidazioni IVA, ma di cui si accorge di non aver mai effettuato alcuna trasmissione al sistema di interscambio, oppure di averla effettuata ed aver ricevuto una notifica di scarto dovuta alla presenza di errori bloccanti.
La situazione è resa ancor più complessa dalla circostanza che l’Agenzia delle Entrate, custode e postino delle fatture elettroniche, è in grado di rilevare in tempo reale tutti i ritardi nella compilazione e nella trasmissione dei documenti, per cui il contribuente che si trova in una situazione di “non conformità” avverte l’esigenza di porre immediatamente rimedio prima che venga avviata l’attività di controllo e possano essere irrogate sanzioni. In tutta onestà l’Agenzia delle Entrate ha manifestato sin dall’inizio una notevole tolleranza per i ritardi e gli inadempimenti formali, ad oggi non mi risultano emessi provvedimenti sanzionatori “automatici”, ma questa situazione metti tutti a disagio: i controllori, ai quali il legislatore non ha concesso alcuna discrezionalità nella applicazione delle sanzioni, e i controllati, che, traumatizzati dalla note difficoltà di far valere le proprie ragioni in sede pre-contenziosa, sono alla ricerca della corretta sanzione applicabile.
Il nostro tessuto produttivo e gli Organi di controllo non possono sprecare tempo in “bagatelle”, per inseguire violazioni in cui non vi è mai stata né la volontà del contribuente né il rischio per l’Erario di non incassare le imposte nel modo corretto. Dovremmo quindi avere il coraggio di procedere ad un urgente revisione delle sanzioni per la fattura elettronica, sia per tranquillizzare coloro che sono incappati in errori, sia per evitare che i contribuenti che si avvieranno – per riduzione delle fasce di esenzione o per volontà di non avvalersi degli esoneri – alla fatturazione elettronica, non si trovino in un sistema normativo che assomiglia molto ad una giostra medievale, che riporta alla memoria la performance dell’atletico Richard Gere[1]. Questo comporta la necessità di una completa revisione del concetto di “violazione”.
Ritardo e omissione non sono uguali
La rivoluzione operata con l’avvio della fatturazione elettronica si basa su due mosse decisive:
- la fattura elettronica si considera emessa solo quando supera il controllo del sistema di interscambio, altrimenti si ha per non emessa, nonostante le buone intenzioni e la volontà del contribuente;
- la fattura elettronica sostituisce qualsiasi annotazione nei registri IVA in quanto costituisce, in maniera nativa, una annotazione nel Sistema di Interscambio dell’Agenzia delle Entrate. Questo è sancito dall’articolo 1, comma 3-ter, del Decreto Legislativo 127/2015 che così dispone: “I soggetti obbligati alla comunicazione dei dati delle fatture emesse e ricevute ai sensi del comma 3 del presente articolo sono esonerati dall’obbligo di annotazione in apposito registro, di cui agli articoli 23 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”.
Questa evidenza pone inevitabilmente sotto scacco tutti coloro che hanno emesso fatture elettroniche non andate a buon fine (quindi non trasmesse o scartate dal SdI) e le hanno annotate nei registri IVA e hanno liquidato in maniera corretta l’imposta. Per questa fattispecie c’è concorrenza tra due norme che potrebbero soccorrere i malcapitati, che differiscono tra loro per la interpretazione della natura della violazione: formale o “meramente” formale? La prima norma di riferimento è il comma 5-bis nell’articolo 6 del Decreto legislativo 472/1997, secondo cui “non sono inoltre punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo”. La norma citata rappresenta la declinazione della previsione di carattere generale contenuta nell’articolo 10, comma 3, della Legge 212/2000, meglio nota come “Statuto dei Diritti del Contribuente”, che statuisce la non applicabilità delle sanzioni ai comportamenti che si traducono in una “mera violazione formale senza alcun debito d’imposta”.
L’Agenzia delle Entrate, con la Circolare 77/E del 3 Agosto 2001, ha fornito la sua interpretazione del perimetro applicativo del comma 5-bis, affermando che “La natura meramente formale é più spesso ravvisabile nelle violazioni di norme tributarie punibili con sanzioni amministrative stabilite in misura fissa, non legata cioè all’ammontare del tributo. In relazione a tali violazioni, è stato posto il problema circa l’individuazione del momento in cui occorre stabilire se esse siano state o meno di ostacolo all’esercizio del potere di accertamento. In altre parole, se il giudizio sulla natura meramente formale della violazione debba essere compiuto in astratto (vale a dire a priori sulla sola base delle caratteristiche proprie di un fatto illecito) ovvero in concreto (vale a dire a posteriori in base all’effettiva incidenza dell’illecito sulla determinazione del tributo o sull’attività di controllo)”, lasciando agli Uffici la discrezionalità di “valutare in concreto (a posteriori), nei singoli casi specifici, se gli illeciti commessi abbiano determinato pregiudizio all’esercizio dell’azione di controllo”.
La seconda norma che potrebbe essere invocata – in via gradatamente subordinata – è il comma 1 dell’articolo 6 del DPR 471/1997, secondo cui “Chi viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto ovvero all’individuazione di prodotti determinati è punito con la sanzione amministrativa compresa fra il novanta e il centoottanta per cento dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio. Alla stessa sanzione, commisurata all’imposta, è soggetto chi indica, nella documentazione o nei registri, una imposta inferiore a quella dovuta. La sanzione è dovuta nella misura da euro 250 a euro 2.000 quando la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo”, che tuttavia deve essere coniugata col disposto del successivo comma 4, secondo cui “Nei casi previsti dai commi 1, primo e secondo periodo, 2, primo periodo, 3, primo e secondo periodo, e 3-bis la sanzione non può essere inferiore a euro 500″.
Ritengo che tra le due sopra indicate previsioni normative sia da privilegiare l’interpretazione che attribuisce al ritardo nella trasmissione della fattura elettronica – quantomeno nelle ipotesi in cui il ritardo non abbia avuto ripercussioni nelle liquidazioni e nei versamenti periodici- la natura di violazione meramente formale. Accedendo a questa tesi non sarebbe applicabile alcuna sanzione, mentre in caso contrario la sanzione dovrebbe essere di Euro 500, ridotta ad 1/9 se il ravvedimento è effettuato entro 90 giorni dalla omissione/errore, ovvero 1/8 entro un anno dalla omissione/errore[2].
Concorso di violazioni e continuazione
Sempre in tema di sanzioni, sarebbe infine opportuno approfondire le modalità applicative dell’articolo 12 del decreto legislativo 472/1997 (Concorso di violazioni e continuazione) alla materia della fatturazione elettronica. Qualora il ritardo nella emissione (quindi: trasmissione) delle fatture elettroniche fosse “elevato” al rango di violazione non “meramente” formale, quindi, sanzionabile, dovrebbe trovare applicazione il disposto del citato articolo 12, secondo cui “E’ punito con la sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio, chi,
- con una sola azione o omissione, viola diverse disposizioni anche relative a tributi diversi ovvero commette, anche con più azioni od omissioni, diverse violazioni formali della medesima disposizione (comma 1);
- anche in tempi diversi, commette più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell’imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo (comma 2).
L’Agenzia delle Entrate, nella circolare 180 del 10 luglio 1998 ha sostenuto il principio secondo cui “ai fini del ravvedimento, le singole violazioni non possono essere cumulate giuridicamente secondo le regole sul concorso di violazioni e sulla continuazione di cui all’art. 12 del dlgs n. 472, per l’assorbente rilievo che le disposizioni contenute nello stesso possono essere applicate solo dagli uffici o enti impositori, in sede di irrogazione delle sanzioni”, orientamento confermato anche nella circolare 42/E/2016, al paragrafo 3.1.1.. Ritengo che tale impostazione non sia condivisibile. La fatturazione elettronica è l’ambito in cui l’istituto sopra indicato calza a pennello, perché spesso le violazioni non sono singole, né in senso orizzontale (perché per esempio si ritarda la trasmissione di un intero lotto di fatture), né in senso verticale (perché non trasmettendo una fattura elettronica nei termini si potrebbero violare anche norme sulla registrazione, liquidazione e pagamento dell’IVA). Negare la possibilità in sede di ravvedimento di applicare l’Istituto del concorso di violazioni e della continuazione significherebbe indurre i contribuenti ad attendere le irrogazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate, quindi, svuotare di significato e di efficacia la norma. Anche su questo punto, sarebbe auspicabile un intervento dell’Agenzia delle Entrate, magari accompagnato dalla predisposizione di esemplificazioni della “autoliquidazione” delle sanzioni, in modo da agevolare i contribuenti.
Le proposte
Il vero problema sta nel metterci d’accordo su quali siano le violazioni che non arrecano “pregiudizio alle azioni di controllo” e nel prendere atto che una cosa è il ritardo, altra cosa è la omissione. Ma anche nella ipotesi di omissione, non vi è ragione per non applicare istituti di attenuazione delle sanzioni anche in sede di ravvedimento. De jure condito direi che una possibile via d’uscita potrebbe consistere nel riconoscimento da parte dell’Agenzia delle Entrate
- che in tutti i casi in cui l’IVA sia stata liquidata in maniera corretta e/o il tentativo di trasmissione della fattura elettronica non sia andato a buon fine e la fattura sia stata successivamente trasmessa prima dell’avvio di accessi, ispezioni o verifiche (nei confronti del cedente/prestatore o del cessionario/committente), ci troviamo in presenza di una violazione meramente formale, non sanzionabile;
- della possibilità di avvalersi degli istituti del concorso di violazioni e della continuazione previsti dall’articolo 12 del Decreto Legislativo 472/1997 in sede di ravvedimento, magari predisponendo modelli di calcolo che possano agevolare i contribuenti.
De jure condendo si potrebbe chiedere al legislatore di agire su due versanti:
- Riconoscere che nei casi in cui la fattura sia stata trasmessa (per la prima volta) entro un certo termine[3], e ovviamente a condizione che non siano iniziati accessi, ispezioni o verifiche (nei confronti del cedente/prestatore o del cessionario/committente), si renderebbe applicabile il limite minimo quantitativo previsto dall’articolo 1, comma 1, ultimo periodo, Decreto Legislativo 471/1997 (250 Euro), senza l’aggravante posta dal comma 4;
- uniformare il termine per la trasmissione delle fatture, sia immediate che differite, a “n” giorni dalla fine del mese di effettuazione della operazione, non dal giorno di effettuazione della operazione, posto che il giorno in cui è effettuata la operazione serve solo ad individuare il più ampio periodo (mese o trimestre) di riferimento per il calcolo del debito IVA.
Questi accorgimenti sono urgenti non solo per restituire serenità a una platea di contribuenti che hanno commesso o potranno commettere qualche errore, ma soprattutto per evitare che l’ingresso di nuovi soggetti “marginali” nella fatturazione elettronica possa generare più problemi rispetto ai benefici che l’istituto si è prefissato di generare. Non ultimo, gli interventi sopra indicati sarebbero opportuni anche per indirizzare l’azione di controllo dell’Agenzia delle Entrate verso obiettivi reali, e non verso “falsi positivi”.
Note
- Nella interpretazione di Lancillotto nel noto film “Il primo cavaliere” ↑
- Non sembra applicabile la riduzione della sanzione ad 1/10 posto che il comma 1, lettera a) dell’articolo 13 fa riferimento esclusivamente ai “casi di mancato pagamento del tributo o di un acconto”. ↑
- Per esempio entro il giorno 12 del mese di gennaio dell’anno successivo a quello di effettuazione della operazione ↑