La Legge di bilancio 2020 deve rappresentare l’occasione per mettere ordine nel complesso e talvolta contraddittorio (oltre che inefficace) quadro normativo rivolto al contrasto dell’evasione fiscale. Tuttavia, nuove misure e vecchie disposizioni si scontrano creando confusione nei professionisti e nei contribuenti, specialmente in relazione all’omesso versamento delle imposte e alle sanzioni da affrontare. La situazione offre uno spunto di riflessione.
La lotta all’evasione nella bozza di manovra 2020
I provvedimenti che il Governo ha di recente adottato non sembrano coerenti con gli obiettivi di recupero dell’evasione. Sono state abbassate le soglie di punibilità per gli omessi versamenti e sono state inasprite le sanzioni nei casi di emissione di fatture per operazioni inesistenti, omissioni e infedeltà delle dichiarazioni. C’è una ingiustificabile approssimazione che si manifesta anche nella confusione terminologica che si fa nei dibattiti tra omessi pagamenti di imposte regolarmente dichiarate ed evasione.
Le obiezioni che si muovono sono sostanzialmente due. La prima è che non si può fare confusione tra evasione ed omesso versamento di imposte dichiarate, soprattutto a ridosso della entrata in vigore del Codice della crisi e dell’insolvenza, approvato col Decreto Legislativo n.14 del 12 gennaio 2019, che ha posto ulteriori vincoli e sanzioni per gli amministratori che, in caso di crisi dell’impresa, non pongano in essere le azioni e i rimedi previsti dalla Legge. La seconda è che le misure repressive non sono in grado di fronteggiare un problema che deve essere affrontato in maniera scientifica e selettiva, attribuendo da un lato certezza delle pene ma garantendo un adeguato e reale diritto di difesa dei contribuenti.
Omessi versamenti sopra soglia: il quadro normativo
Il Decreto legislativo 74/2000 è stato arricchito nel tempo da fattispecie (articoli 10-bis, 10-ter) che hanno introdotto la pena della reclusione da sei mesi a due anni per l’omesso versamento di ritenute e di IVA. I limiti inizialmente previsti come soglia per la commissione del reato erano 50 mila per ritenute ed IVA, poi elevati a 150 mila; infine la soglia IVA fu stata elevata a 250 mila Euro. La manovra 2020 ha ridotto la soglia di rilevanza penale a 100 mila Euro per le ritenute e a 150 mila Euro per l’IVA . L’articolo 12-bis, inserito nel Decreto legislativo 74/2000 a far tempo dal 22/10/2015, tra ha reso le norme sopra citate ancora più invasive, avendo introdotto la confisca in capo all’autore del reato (quindi in capo all’Amministratore della società) dei beni personali per un importo corrispondente a quello dell’omesso versamento sopra soglia. La confisca è spesso preceduta dal sequestro preventivo, sempre sui beni dell’Amministratore.
L’introduzione del reato per omesso versamento di ritenute ed IVA è apparsa sin dalla sua nascita in contraddizione con le norme del Codice civile in materia di privilegi e con la Legge Fallimentare. I debiti che vengono contratti nel corso delle attività di impresa sono infatti differenziati in funzione della loro “causa” (artt. 2745 e seguenti C.C.). Questa differenziazione resta sostanzialmente irrilevante sino all’eventuale fallimento dell’impresa, ma, verificatosi ciò, una delle prima attività che deve compiere il Curatore è accertarsi se l’imprenditore, nell’effettuare i pagamenti nel corso degli ultimi mesi della vita dell’impresa, abbia rispettato le “precedenze” dettate dal Codice Civile.
In caso contrario, deve relazionare al Giudice al fine di evidenziare la violazione dell’art. 216, comma III, della Legge Fallimentare, e dell’art. 322 del Codice della Crisi e dell’insolvenza, che prevedono “…la reclusione da uno a cinque anni” a carico del fallito “…che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione”. Vero è che nel caso in cui l’imprenditore pagasse l’Erario e non i dipendenti “lo scopo di favorire” non sarebbe frutto di una sua scelta ma una imposizione di legge, ma è alquanto originale che un paese civile possa coniare norme che, di fatto, vanno di fatto a porsi in maniera così subdola in contrasto con l’ordine dei privilegi posto dal Codice Civile: se l’imprenditore in difficoltà finanziarie dovesse scegliere di pagare i dipendenti piuttosto che l’Erario commetterebbe il reato previsto dagli articoli 10-bis e 10-ter sopra citati, salvo poi difendersi in sede penale, con tutte le difficoltà insite in una difesa che avrà come mezzo di prova a suo discarico il non semplice esame delle scritture contabili.
Non appare né plausibile né giustificabile che il legislatore consideri che la omissione del versamento dei tributi abbia come causa esclusiva, sino a prova contraria, la colpa o il dolo dell’amministratore, senza valutare che, generalmente, la omissione potrebbe non essere conseguenza dell’evasione ma della difficoltà finanziaria dell’imprenditore, circostanza che può portare, eventualmente, ad effettuare i pagamenti in maniera non perfettamente coerente col disposto del Codice Civile in tema di privilegi, ma che non necessariamente costituisce sintomo di evasione. A quanto sopra c’è da aggiungere che:
- all’articolo 2476 del Codice Civile è stato inserito un sesto comma che così recita: “Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.”;
- all’articolo 2486 del Codice Civile è stato inserito il terzo comma che così recita: “Quando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all’articolo 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione.”
Emerge quindi come la Legge fallimentare e il Codice della Crisi e dell’insolvenza contengano sufficienti contromisure idonee a dissuadere e sanzionare gli imprenditori che omettono i pagamenti dei tributi anteponendone altri, e come si sia realizzato, con norme emanate senza la necessaria attenzione, un concorso di fattispecie delittuose e di misure finalizzate al ristoro del danno subìto dai terzi sproporzionato ed ingiusto. Sotto questo profilo, le sanzioni previste dagli articoli 10-bis e 10-ter appaiono incoerenti e ridondanti.
Le sanzioni
L’inasprimento delle sanzioni dovuto all’abbassamento delle soglie di rilevanza penale avviene peraltro in un contesto molto diverso rispetto a quello in cui furono inseriti nel Decreto Legislativo 74/2000 gli articoli 10-bis e 10-ter. L’introduzione della trasmissione dei dati delle liquidazioni periodiche IVA, l’avvento della fatturazione elettronica e l’applicazione generalizzata dell’obbligo di trasmissione telematica dei corrispettivi hanno posto l’Amministrazione finanziaria in condizione di conoscere quasi in tempo reale la presenza di eventuali ritardi o omissioni nei versamenti. Incrociando i dati del Sistema di Interscambio con quelli relativi ai versamenti con gli F24 è possibile per l’Amministrazione Finanziaria avere quasi in tempo reale la esistenza di situazioni anomale, per cui essa è nelle condizioni di intervenire in un tempo pressoché adiacente a quello in cui l’imprenditore ha omesso il versamento. L’intervento immediato è opportuno sia al fine di individuare le cause che hanno generato i ritardi o le omissioni, sia al fine di limitarne la eventuale reiterazione, posto che la possibilità di recupero delle imposte non versate diminuisce esponenzialmente col passar del tempo.
Considerato che in caso di fallimento l’Amministratore della società sarebbe soggetto anche alle azioni di responsabilità, ai sensi dei novellati articoli 2476 e 2486 C.C., ecco che si profila un fuoco di fila contro le imprese in difficoltà. Tutto ciò appare ingiusto, ingiustificato e inopportuno.
I piani di rateizzazione
C’infine da considerare che il legislatore ha disciplinato la possibilità di rateizzare le somme dichiarate e non pagate in modo da favorire i contribuenti in difficoltà. Ciò può avvenire sia al momento in cui viene notificato il c.d. preavviso di irregolarità, che attribuisce al contribuente la possibilità di rateizzare quanto dovuto all’Erario beneficiando della riduzione delle sanzioni di 1/3[1]. Nella ipotesi di iscrizione a ruolo, la possibilità di poter accedere alla rateizzazione per importi superiori a 60 mila Euro è peraltro subordinata alla congruità di due parametri: l’indice di liquidità e l’indice Alfa. Il primo è determinato dal rapporto tra la liquidità (immediata e differita) e le passività correnti, il secondo è dato dal rapporto tra il debito di cui si chiede la rateizzazione e il valore della produzione (eventualmente rapportato ad anno). La dimensione dell’indice di liquidità determina la ammissibilità o meno della rateizzazione, posto che l’accesso è consentito solo nel caso di indice inferiore a 1, mentre l’indice Alfa determina il numero di rate concedibili, secondo una formula che attribuisce il diritto alla rateizzazione da 12 a 72 rate, secondo una funzione crescente in misura direttamente proporzionale alla rilevanza del debito rispetto a valore della produzione. In casi di estrema difficoltà il piano può essere ampliato sino a 120 rate.
In sostanza, quanto più l’impresa è in difficoltà e quanto più il debito tributario è rilevante, tanto maggiore è la possibilità di ottenere un piano di rateizzazione lungo. Appare poco comprensibile la volontà politica che c’è dietro questo coacervo di norme palesemente contraddittorie: si abbassano le soglie di punibilità per le omissioni dei versamenti in un contesto normativo in cui si agevola la rateizzazione per coloro che versano in difficoltà. Anzi, quanto maggiore è la difficoltà tanto maggiore è la durata della rateizzazione, di guisa che si crea una ingiustificata disparità di accesso alla rateizzazione, con qualche dubbio di legittimità costituzionale delle norme interessate.
Le contraddizioni da risolvere
Le contraddizioni vanno risolte: a maggiori poteri dello Stato devono corrispondere maggiori e più efficienti diritti di difesa. Resta irrisolta la comprensione del motivo per cui il legislatore abbia previsto che un soggetto che ha omesso il pagamento, per un’unica annualità, di 199.000 euro, suddivise 49.500 per ritenute e 149.500 per IVA, non abbia commesso alcun reato, ed invece un soggetto che, con un debito di 199.000 euro di IVA ne ha omesso il versamento abbia commesso un reato.
È anche evidente la progressiva divaricazione tra il potere della Amministrazione finanziaria, spinto dalla esigenza di produrre risultati anche a costo di non andare troppo per il sottile in quanto a prova della evasione, e la efficacia della Giustizia Tributaria, che oltre la lunghezza dei tempi dei processi, subisce anche la crescente insofferenza del legislatore nei confronti delle liti tributarie. L’avvio dei procedimenti penali e la riscossione anticipata in pendenza di giudizio realizzano una tempesta perfetta, in cui i malcapitati che saranno coinvolti ne usciranno con le ossa rotte, con le imprese distrutte e con un chiaro messaggio: l’Italia non è un paese per i giovani e per gli imprenditori.
Conclusione
Il reato previsto dagli articoli 10-bis e 10-ter del Decreto Legislativo 74/2000 si perfeziona rispettivamente il 31 ottobre dell’anno X+1 per l’omesso versamento delle ritenute Irpef e il 27 dicembre dell’anno X+1 per l’omesso versamento dell’IVA. Il reato è definito “a consumazione istantanea” attesocchè l’illecito trova la sua attuazione alle scadenze sopra citate. L’articolo 39 del Decreto Legge 124 del 26 ottobre 2019, comma 3, prevede che le modifiche che riguardano l’abbassamento della soglia di punibilità per il reati di omesso versamento ritenute ed IVA “hanno efficacia dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del presente decreto”. Il termine per il versamento delle ritenute Irpef è già spirato il 31 ottobre scorso, ma quello per il versamento dell’IVA scadrà il 27 dicembre. Posto che la conversione del Decreto dovrebbe avvenire intorno al Natale di quest’anno, si potrebbe verificare che molti contribuenti, facendo affidamento sul limite di 250 mila Euro, possano trovarsi spiazzati ed impossibilitati a rientrare in qualche giorno al di sotto della nuova soglia di 150 mila Euro.
Ci auguriamo che il legislatore torni sui suoi passi e si renda conto della assurdità delle predette misure, ma se ciò non dovesse accadere sarebbe comunque il caso di evitare ai contribuenti la sorpresa di vedersi posta una scadenza che non saranno in grado di rispettare. A tal fine, occorre considerare che l’articolo 3 della Legge 212/2000 (statuto del contribuente) prevede che “in ogni caso, le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell’adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti”. Una interpretazione sistematica della norma dovrebbe impedirlo, di ciò il legislatore dovrebbe tenerne debito conto.
Note
- Quindi la sanzione per gli omessi versamenti diventerebbe assolutamente paragonabile ai costi di un finanziamento bancario, senza però essere soggetti alla istruttoria di meritevolezza. Il contribuente può comunque attendere la iscrizione a ruolo e chiedere la rateizzazione dei carichi, perdendo il beneficio della riduzione delle sanzioni, soggiacendo agli oneri di riscossione, ma potendo contare su un arco temporale di rateizzazione che può addirittura arrivare a 10 anni ↑