Lo sapevate che, attraverso il monitoraggio di oltre 1.000 dati puntuali al secondo, ricercatori canadesi hanno sbalordito intere équipe mediche dimostrando che i bambini nati prematuri con segni vitali stranamente stabili hanno alte probabilità di sviluppare alte febbri nel giorno successivo al parto? È stata una scoperta che ha permesso ai medici stessi di prendere adeguate contromisure e così salvare molte vite al loro sbocciare.
Inoltre, incrociando analisi dei dati e rilevazioni dei sensori marini che monitorano moti ondosi, correnti e altri dati provenienti dal mondo liquido degli oceani, altri ricercatori stanno sviluppando modelli di previsione degli tsunami e di altri disastri naturali, al fine di salvare altre migliaia di vite – di adulti come di bambini, stavolta – che, vivendo nelle zone costiere, sono altamente minacciati da questi fenomeni. Modelli su cui si stanno basando anche le grandi compagnie assicurative per adeguare la propria offerta ai rischi che minacciano l’umanità del XXI secolo.
Cos’hanno in comune i due esempi qui sopra? Semplice, la parola più ricorrente nel discorso: i dati. Oggetto di questa riflessione, i dati digitali – e i software che ce li rendono disponibili ogni giorno – ci offrono costantemente le risposte di cui abbiamo bisogno per risolvere i problemi più vari della nostra vita quotidiana, da quelli di lavoro (e in qualsiasi settore esso si svolga, ormai) alle previsioni del tempo per il week end, ai posti ancora prenotabili per il concerto che volevamo tanto vedere.
Sono dati digitali che oggi aiutano le compagnie aeree a migliorare le prestazioni e la sicurezza dei voli, a prevedere le turbolenze e ad individuare i difetti del motore prima che si manifestino avarie, le municipalità a migliorare la gestione del traffico e ridurre gli odiati tempi che in ogni grande città tutti noi passiamo in coda, a combattere le malattie del nostro corpo e quelle che danneggiano i raccolti agricoli e così via.
In quanto strumento di risoluzione dei problemi, l’innovazione dei dati è ora fuor d’ogni dubbio un fenomeno assolutamente globale: ogni giorno vengono create nuove e soluzioni software in grado di trarre le risposte utili ai nostri scopi, che si celano all’interno di quantità sempre più enormi di dati, circa 2,5 quintilioni ogni giorno (ossia 2,5 miliardi di triliardi, come dire 2530!). Per farci un’idea della velocità a cui si muove questo mondo, che si stima raddoppi nel giro di due anni, basti pensare che il 90% dei dati oggi disponibili globalmente sono stati creati nel corso dell’ultimo anno, il che significa che tutti i dati raccolti dall’umanità dalle origini della scrittura al 2014 non superano il 10% del totale!
Per cui la sfida oggi è organizzare tali colossali moli di dati per renderli fruibili e significativi ai nostri occhi: infatti, oggigiorno vengono raccolti dati dai più disparati sensori su milioni di dispositivi, macchine, veicoli, perfino da nuovi modelli di lampioni. Mantenere simili quantità di dati una volta era tecnicamente complesso e soprattutto molto costoso, ma oggi le capacità di stoccaggio sono cresciute e i relativi costi calano costantemente, rendendo i dati praticamente una “risorsa rinnovabile”. Quindi, le nostre attuali capacità di riutilizzo e riorganizzazione dei dati ci consentono di continuare ad analizzare e trasformare questi ultimi in modi sempre nuovi che ci offrono nuove e preziose prospettive in ogni area dello scibile umano, che ci fanno risparmiare tempo, denaro, o addirittura vite umane, nei casi di applicazioni sanitarie come sopra esemplificato.
Raccogliere, archiviare, analizzare e tradurre tali dati in informazioni è naturalmente la mission delle software house di tutto il mondo, per produrre preziosi strumenti che aiutano le persone e le imprese a capire meglio i dati stessi. In questi giorni, la ricerca di BSA “Perché i dati sono così importanti?” (What’s the Big Deal With Data?) presenta alcuni dei numerosissimi modi attraverso cui ogni giorno i dati rivoluzionano ogni aspetto della nostra vita in ogni angolo del mondo.
Pensate solo che se il settore medicale cui s’è accennato in apertura riuscisse ad utilizzare i dati più efficacemente di ora, incrementando efficienza e qualità, si stima che potrebbe risparmiare più di 300 miliardi di dollari l’anno riducendo i costi di un bell’8%. Allo stesso modo, un incremento nell’efficienza del trasporto aereo, ottenuta con un intelligente impiego del mezzo terabyte di dati raccolti dai sensori di un aeroplano durante ogni volo, porterebbe l’intero settore a risparmiare circa 30 miliardi di dollari in consumi di carburante annui a livello globale. Anche nell’edilizia si possono effettuare grandi economie: per esempio, negli Emirati Arabi Uniti vengono oggi impiegati nuovi strumenti per raccogliere dati e progettare il primo edificio al mondo a “energia positiva”, ossia in grado di autoalimentarsi energeticamente, producendo anzi più energia di quanta ne consumi per il proprio funzionamento quotidiano. Se l’esperimento si estendesse su scala mondiale, gli “smart building” potrebbero portare l’umanità a risparmiare circa 25 miliardi di dollari in consumi energetici.
Anche gli sforzi per combattere la congestione del traffico attraverso i dati stanno ormai “decollando”: infatti, nella lungimirante Stoccolma sono stati installati 1600 GPS sui taxi per raccogliere informazioni sul traffico. Quindi i dati raccolti sono stati analizzati da un software per mostrare in che modo è possibile decongestionare la viabilità. Il risultato è stato una diminuzione del 20% nel traffico complessivo nella capitale svedese e una riduzione del 50% nei tempi di spostamento intraurbani; anche le emissioni delle automobili sono diminuite del 10%. Del resto, le moderne automobili ospitano sensori che generano fino a 25 gigabyte di dati all’ora e contengono più di 10 milioni di linee di codice per processarli. Questi dati vengono usati per migliorare i sistemi di sicurezza e per evitare incidenti, il che potrebbe avere un impatto paragonabile a quello che hanno avuto le cinture di sicurezza in passato, ovvero ridurre le ferite e i decessi fino al 50%. Case come Toyota, Fiat, e Nissan hanno tutte ridotto i tempi di sviluppo di un nuovo modello dal 30 fino al 50% attraverso l’uso collaborativo dei dati e le tecniche di modellazione.
Ma i dati hanno anche un importante valore finanziario, il cui potenziale può rappresentare un notevole impulso all’efficienza economica e del lavoro globali: secondo altre ricerche, il 71% dei mercati creditizi e finanziari utilizza informazioni ed analitiche ormai fondamentali per il vantaggio competitivo di qualsiasi player in quei settori. Insomma, investire sui dati paga “lauti dividendi”: per esempio, una società attiva nel campo delle carte di credito ha stimato che le analitiche dei dati possono contribuire ad evitare circa due miliardi di dollari di frodi sulle carte l’anno.
Anche per questo, persino i più prudenti fra gli economisti stimano che se solo un migliore sfruttamento dei dati riuscisse a produrre piccoli guadagni in termini di efficienza, diciamo almeno di un 1%, il PIL mondiale crescerebbe di circa 15 trilioni (ossia 15.000 miliardi) di dollari entro il 2030.
Ecco perché nell’attuale economia dell’innovazione i policy maker hanno un ruolo cruciale nell’aiutarci a conseguire i progressi possibili appunto raccogliendo, stoccando, analizzando e trasformando le preziosissime informazioni che i dati ci servono su un piatto d’argento. A tal fine, i legislatori a livello globale hanno la responsabilità di definire regole chiare riguardanti la privacy degli utenti, che agevolino l’investimento in risorse umane specializzate nell’IT e promuovano il libero flusso dei dati attraverso i confini nazionali, che a propria volta potenzia i mercati e favorisce l’innovazione da parte delle aziende.
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Traduzione di Mario Gazzola