Il futuro di internet dipende, oramai, dalla nostra capacità di regolamentare i social media. Ne è convinto Freedom House, think tank americano, che nel suo ultimo report dal titolo “Freedom on the net 2019”, fornisce diverse raccomandazioni a tal proposito, anche a fronte dei risultati emersi in fatto di libertà su internet a livello globale, tutt’altro che rassicuranti.
Libertà in rete è in drammatico calo
Da nove anni il livello della libertà su Internet continua a diminuire. Secondo il report “Freedom on the net 2019” sempre più governi a livello globale utilizzano i social media come strumento per manipolare le elezioni e sorvegliare i cittadini. Assistiamo ad azioni di censura, oscuramento di siti internet, chiusura di piattaforme social, utilizzo di “individui” da parte dei governi per diffondere propaganda “inquinante” online e promuovere azioni di ingerenza sui social media quali Facebook, Instagram e YouTube, soprattutto in prossimità di elezioni politiche, come accaduto in Sudan, in Kazakistan e in Brasile.
E’ sempre utile ricordare la pubblicazione di Larry Diamond dal titolo “The Threat of Post Modern Totalitarism” che metteva in guardia dalle minacce alla democrazia che possono derivare dall’utilizzo dei social media evidenziando e sottolineava come il “lato oscuro” di Internet, unitamente alle sue infinite potenzialità, può diventare un’arma pericolosa contro cui le democrazie devono lottare, affinché la Rete continui ad essere uno spazio libero, sicuro e non un’arena globale di sorveglianza e di manipolazione – come descritto da George Orwell nel suo romanzo “1984” – ossia una forma di “totalitarismo postmoderno”.
I risultati del Report
L’Italia, in questo contesto, come vedremo, non è una “bad country”, ma ha molto da fare per raggiungere livelli rassicuranti. Il primo premio in fatto di “innocenza telematica governativa” spetta all’Islanda che risulta essere il Paese dove è meglio garantita la libertà su Internet: nessun caso di censura rivolta agli utenti dei social media.
“Freedom on the net 2019” è stato condotto in 65 Paesi, copre circa l’87% della popolazione che utilizza Internet e rivela luci ed ombre della libertà sulla Rete a livello globale; si sintetizza in una classifica sul livello della libertà in Internet, senza tralasciare i trend a livello globale delle azioni di censura che i governi applicano ai social media, nel tentativo di limitare le “voci” di cittadini dissidenti, con ricadute negative sulle democrazie.
Dei 65 Paesi monitorati, 33 registrano un declino della libertà su Internet rispetto al giugno 2018 (in particolar modo Sudan, Kazakistan, Brasile, Bangladesh e Zimbabwe), mentre solo 16 registrano un miglioramento nello stesso periodo.
La Cina ha la maglia nera della classifica: per il quarto anno consecutivo si conferma come il paese “meno libero”. La censura, soprattutto nell’ultimo anno, ha raggiunto livelli altissimi nel Paese che, in occasione dell’anniversario del massacro della Piazza Tienanmen e nel tentativo di contrastare le dimostrazioni antigovernative di Hong Kong e arginare ogni forma di dissenso, ha chiuso decine di migliaia di account sulla popolare piattaforma WeChat.
Anche gli Usa non sembrano essere immuni al declino della libertà su Internet registrando, per il terzo anno consecutivo, un trend negativo. Inoltre, la disinformazione nell’ambito della discussione politica on-line continua dilagare: i contenuti vengono spesso manipolati ingaggiando individui per fare propaganda politica sui social, pregiudicando in questo modo il processo democratico ed alimentando i timori ulteriori di divisionismi a livello sociale.
La sorveglianza tramite i social media
Il report di Freedom House rivela che molti dei paesi monitorati – 15 dei quali in Asia – hanno istituito programmi di sorveglianza sui social media utilizzando artificial intelligence per identificare minacce e silenziare le manifestazioni di protesta; in 47 Paesi tali forme di controllo si sono tradotte in mandati di arresto a fronte di “contenuti problematici” online di natura politica, sociale o religiosa non gradita ai governi autoritari.
Preoccupante il fatto che tali forme di controllo si stiano diffondendo anche in paesi democratici – dove tradizionalmente si difende la libertà di espressione – quali, ad esempio, Regno Unito e USA.
Nel Regno Unito la polizia ha monitorato ben 9.000 attivisti, alcuni dei quali senza alcun precedente penale, utilizzando programmi di geolocalizzazione e analytics in grado di analizzare dati ed espressioni “sensibili” presenti su Facebook, Twitter o altre piattaforme.
Negli Usa, a luglio di quest’anno, l’FBI ha annunciato di voler raccogliere più informazioni dai social media in modo da monitorare gruppi terroristici, minacce interne, attività criminali ed individui che hanno manifestato proteste pacifiche o critiche al governo, ecc. dimostrando come un’agenzia governativa può arrivare a sorvegliare gli utenti in nome della salvaguardia della “sicurezza” del paese.
La situazione della libertà in internet in Italia
Lo abbiamo già anticipato: stabile la situazione dell’Italia, che ha mantenuto il suo punteggio invariato, cioè 75/100 rispetto al 2018, e l’ottavo posto nella classifica e rientrando in quei paesi in cui la libertà su internet è libera.
Ma analizziamo meglio la composizione del punteggio assegnato al nostro Paese. Per cominciare, risulta che in termini di accesso alla rete il punteggio è di 21/25. In altre parole, l’Italia risulta tra i paesi europei in cui c’è il minore accesso alla Rete.
In quanto a limitazioni dei contenuti e ad azioni di censura, il punteggio non è brillante: 30/35.
Infine, in termini di violazione dei diritti dell’utente il punteggio è di 24/40 e, se non siamo ancora più in basso in graduatoria, lo dobbiamo all’impegno dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) e dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali.
Tanto per cominciare, in materia di diritti costituzionali, non possiamo avere la coscienza a posto con quel tasso di 30/35 di “interventi” limitativi, che rischiano spesso di oltrepassare, anche non intenzionalmente, i limiti del garantismo che sono spesso cugini della censura.
Dando un’occhiata ai dati che ci riguardano è quindi facile dedurne che non basta invocare la repressione degli abusi. La vittoria ha altri volti: per cominciare, far salire quel deprimente 21/25 di accesso alla rete in tutto lo stivale, un’operazione che è la base per l’alfabetizzazione mediatica degli utenti e una conseguente solida cultura telematica diffusa, a sua volta fonte di autotutela, ma soprattutto di autoresponsabilizzazione.
La crisi della libertà su internet
Internet risulta essere sempre meno libero e il suo uso “spregiudicato” rappresenta una minaccia alla tenuta delle istituzioni democratiche e alla libertà politica, convertendosi in uno “strumento” utilizzato, a breve raggio, per colpire (quando per non imprigionare) giornalisti, attivisti e oppositori; e a largo raggio, attraverso i social media, per raccogliere e analizzare grandi quantità di dati su intere popolazioni al fine di attuare forme di repressione delle libertà fondamentali.
Compito della società “sana” è quello di contrastare gli usi dei media a scopi eversivi, violenti e criminali e, al contempo, individuare “rimedi ed antidoti”.
Raccomandazioni
Appare chiaro, quindi, come il futuro di Internet dipenda, oramai, dalla nostra capacità di regolamentare i social media. “Freedom on the net 2019”, a tal proposito, fornisce diverse raccomandazioni, tra cui:
- maggiore trasparenza e controllo della pubblicità politica on-line;
- monitoraggio delle interferenze nelle elezioni e falsa propaganda;
- regolamentazioni più severe per l’utilizzo di strumenti di sorveglianza sui social media e raccolta dati da parte di agenzie governative e forze dell’ordine;
- rafforzamento delle norme in termini di privacy e protezione dei dati degli utenti e governance democratica;
- normative antimonopolistiche più efficaci per arginare il potere dei social media e della rete a salvaguardia i diritti fondamentali degli utenti.
Non c’è più tempo da perdere, soprattutto se consideriamo il fatto che tecnologie avanzate come la biometria avanzata, l’intelligenza artificiale e il 5G lanceranno un’ulteriore sfida alle libertà fondamentali.
Mi piace ricordare un avvertimento, che ritengo basilare, dovuto a Giovanni Pitruzzella, ex presidente dell’Antitrust (che definiva Internet come un “Giano bifronte”, allo stesso tempo fautore e minaccia per la democrazia): “Nella nostra tradizione politico-costituzionale siamo abituati alla tutela delle libertà nei confronti del potere pubblico. Ma, di fronte all’emersione di poteri privati che, per forza e diffusione, possono attentare alla libertà del singolo, la rule of law va applicata anche ad essi, per mantenere la ricchezza della Rete evitando l’abuso”.