Ambiente

Serve più digitale contro i cambiamenti climatici: ecco perché

Dopo l’accordo di Parigi, è necessario sfruttare meglio il ruolo del digitale contro l’inquinamento. Vediamo come. Due aspetti però restano aperti e richiedono ulteriori ricerche: il prelievo di minerali rari dal sottosuolo (le cosiddette “terre rare” necessarie per la produzione dei dispositivi elettronici) non potrà continuare all’infinito; il crescente problema dei rifiuti elettronici e’ ancora irrisolto.

Pubblicato il 15 Dic 2015

Norberto Patrignani

Politecnico di Torino

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Le promettenti notizie dell’accordo sul clima di Parigi permettono finalmente di mettere i combustibili fossili da parte e finalmente di pensare al risparmio energetico e alle energie rinnovabili per lasciare alle future generazioni un pianeta vivibile.

Al cuore di questa trasformazione si trova sicuramente l’Information & Communication Technology (ICT): una sapiente miscela di energia e informazione ci permettera’ di rivedere molti dei processi attuali nella produzione, nella mobilita’, etc. nella convinzione che i bit saranno meno inquinanti degli atomi. Una domanda pero’ inizia ad emergere da qualche anno: ma l’ICT stessa che impatto ha sull’ambiente?

Dal 2013, ad esempio, si tiene una conferenza internazionale dedicata al tema, ICT for Sustainability (ict4s.org). Uno degli studi piu’ recenti conferma il contributo positivo dell’ICT nell’aiutarci ad affrontare il problema climatico: una saggia applicazione dell’ICT permette di abbattere la CO2 su scala globale di circa 10 GtCO2 al 2030 (gesi.org). Infatti, se da una parte la ICT stessa contribuisce all’immissione di CO2 nell’atmosfera a causa dell’energia elettrica consumata dai nostri dispositivi elettronici (0,59 GtCO2), delle reti voci e dati (0,3 GtCO2), e dai giganteschi data center del cloud computing (0,3 GtCO2), dall’altra l’ICT promette di abbattere la CO2 attraverso la de-materializzazione e la digitalizzazione di molti processi. Infatti le stime danno un abbattimento della CO2 di circa 12 GtCO2 grazie all’ICT: nella generazione dell’energia e distribuzione, smart-grid, etc. (1,8 GtCO2), nei trasporti e nella mobilita’ sostenibile (3,6 GtCO2), nel manufatturiero (2,7 GtCO2), negli edifici (2,0 GtCO2), e nell’agricoltura (2,0 GtCO2). Il bilancio dunque e’ incoraggiante: l’ICT stessa contribuisce all’immissione di CO2 nell’atmosfera ma, grazie alla diffusione dell’ICT stessa ci permettera’ di dimuire gli stessi gas serra di una quantita’ circa dieci volte superiore.

Due aspetti pero’ restano aperti e richiedono ulteriori ricerche: il prelievo di minerali rari dal sottosuolo (le cosiddette “terre rare” necessarie per la produzione dei dispositivi elettronici) non potra’ continuare all’infinito; il crescente problema dei rifiuti elettronici e’ ancora irrisolto. Forse, nel bilancio totale della CO2 dell’ICT e per la sostenibilita’ a lungo termine dell’ICT stessa, dovremmo iniziare ad inserire anche questi due problemi enormi, oltre a pensare a come rallentare il ritmo di consumo dell’ICT rinunciando a cambiare smart-phone ogni 12 mesi, a pensare di progettare i dispositivi in modo da allungare la loro vita, riparabili, e recyclable-by-design. Ovviamente senza dimenticare le condizioni di lavoro nelle fabbriche del sud-est asiatico.

Fortunatamente iniziano ad esserci esperienze promettenti anche in questa direzione come Fairphone.com. Una ventina di giovani hanno fondato un’impresa sociale ad Amsterdam con l’obiettivo costruire una tecnologia più giusta, a partire da uno smart-phone: un “fairphone“.

Adottano un approccio di assoluta trasparenza nei confronti dell’intera catena dei fornitori, dalla provenienza dei minerali usati, alla progettazione, alla produzione e all’intero ciclo di vita, inclusa la gestione dei rifiuti elettronici. L’obiettivo è quello di spiegare le connessioni tra le persone, i prodotti che usano e l’ambiente, adottando un approccio etico all’industria ICT in tutte le sue fasi: estrazione di minerali (usando materiali che supportano le economie locali e che non provengono da paesi in guerra), progettazione (concentrata sulla longevità dei prodotti e sulla loro riparabilità, sulla modularità, rendendo semplice aprire e riparare le parti guaste più comuni; fornendo manuali per la riparazione, condividendo la conoscenza e basandosi sui pricipi del software libero), produzione (assicurando giuste condizioni di lavoro nelle fabbriche, anche attraverso la creazione di un Worker Welfare Fund per migliorare la sicurezza e la qualità degli ambienti di lavoro e per la formazione delle persone), ciclo di vita (massimizzando l’uso, il riuso e il riciclo in condizioni sicure), imprenditoria sociale (focalizzandosi sui valori sociali dell’impresa e sulla trasparenza nei confronti dei consumatori: anche se la giustizia sociale assoluta non è possibile, essi dimostrano però di muoversi nella giusta direzione). Fairphone ha già venduto più di 60.000 “fairphones”.

Un buon esempio di approccio Slow Tech: un’informatica buona, pulita, e giusta.

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