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Fibra ottica negli edifici, è caos delle regole: ecco come risolvere

Come sbloccare l’impasse che blocca le opportunità legate alla copertura in fibra degli edifici? Una soluzione semplice sarebbe quella di spostare il concetto di “punto terminale di rete” dalla borchia di casa al Centro Servizi Ottici d’Edificio così da delegare la gestione delle colonne montanti al condominio. Vediamo come

Pubblicato il 29 Nov 2019

Luca Baldin

project manager smart building italia

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Un caotico insieme di provvedimenti, allo stato delle cose, impedisce di sfruttare le importanti occasioni legate alla copertura in fibra ottica degli edifici.

Anche l’Agcom ha sospeso ogni decisione riguardo la regolamentazione delle tratte verticali, eppure la soluzione ci sarebbe, anche abbastanza semplice, e permetterebbe di abbattere tutti quei fattori che rappresentano oggi il vero collo di bottiglia all’innovazione in ambito home, building e city, accelerando sull’adozione della banda ultra larga.

Ma andiamo con ordine.

FTTH e operatori di edificio, una questione intricata

Con la recente delibera 82/19/Cons, l’autorità garante nelle telecomunicazioni è tornata ad occuparsi di procedure di passaggio dei clienti finali da un operatore ad un altro nel caso in cui vengano utilizzate reti FTTH (Fiber to the home) di operatori wholesale diversi da quello dominante.

L’autorità garante nel regolamentare i rapporti tra le Telco sulle tratte orizzontali della rete non ha incontrato grandi difficoltà, mentre si è fermata quando si è trattato di regolamentare quelle verticali, ovvero i montanti in fibra ottica interni agli edifici che, a rigor di legge, possono essere di proprietà di un operatore terzo che non abbia come attività principale o prevalente la fornitura di connettività, quale ad esempio un condominio.

Di fronte a questa oramai annosa questione, Agcom ha sospeso ogni decisione rimandando ad un costituendo “tavolo di confronto” tra i soggetti interessati, che, in realtà, su questo tema dibattono da ormai circa un anno ad un altro “tavolo tecnico” aperto presso il Ministero dello Sviluppo Economico, senza trovare ancora soluzioni condivise.

Una cosa tuttavia Agcom l’ha già decisa sulla base del testo approvato, ovvero che chiunque operi su qualsiasi tratta della rete, quindi anche i segmenti verticali, debba essere un soggetto “autorizzato” ai sensi dell’art. 25 del Dlgs n. 259/2003.

Questo elemento che in linea teorica “apre” ad una possibile discussione sul tema del cosiddetto “Operatore d’edificio” – figura regolamentata per esempio nella vicina Francia – per altro verso pone una serie di questioni irrisolte in merito all’applicazione del noto art. 135 bis del T.U. dell’edilizia (DPR 6 giungo 2001 n. 380). Questo articolo, inserito ex novo dall’art. 6 ter della Legge 164/2014, lo ricordiamo, pone in essere alcuni obblighi in capo alla proprietà di edifici nuovi o pesantemente ristrutturati in merito alla loro predisposizione alla ricezione a Banda larga, quali, in primis, la realizzazione di una infrastruttura multiservizio passiva in fibra ottica dotata di adeguati punti di accesso. Con tutte le eccezioni del caso, vale inoltre anche per questi impianti la regola di buon senso che i singoli tratti di rete non debbano essere duplicati, bensì aperti agli operatori che ne facciano richiesta a condizioni eque e non discriminatorie.

Si tratta evidentemente di impianti proprietari che per la parte di dorsale appartengono, come ogni parte comune, al Condominio e, quindi, sono gestiti dagli amministratori condominiali. Ora, è evidente a tutti che ci troviamo di fronte ad una proprietà e ad un gestore che non hanno alcun interesse ad essere iscritti al ROC, eppure si trovano comunque nella condizione di gestire impianti che prevedono questa iscrizione. Inoltre, consentendo il passaggio agli operatori, come qualsiasi operatore wholesale dovrebbero applicare quelle condizioni “eque e non discriminatorie” che tuttavia attendono ancora di essere definite in modo univoco e non interpretabile.

Le conseguenze negative della confusione normativa

Una indeterminatezza e una confusione che ha molte conseguenze negative: dal fatto che in molti casi gli operatori hanno deliberatamente scelto di scansare il problema semplicemente rifiutando di utilizzare gli impianti realizzati a norma di legge e duplicandoli (e qui si può parlare appropriatamente di danno e di beffa per il consumatore finale); fino alla resistenza all’applicazione della norma stessa da parte di chi dovrebbe realizzarli alla luce del fatto che “non servono” perché gli operatori non li utilizzano.

Varrà la pena al riguardo sottolineare che stando ai dati relativi alle nuove autorizzazioni edilizie rilasciate dal luglio 2015 ad oggi (ovvero dalla entrata in vigore dell’obbligo di realizzazione dei verticali condominiali in fibra ottica), possiamo tranquillamente affermare che manchino all’appello non meno di 100.000 impianti, con un danno per la filiera produttrice e per l’indotto stimabile in non meno di un miliardo di euro.

Va poi considerato il fatto che questo provvedimento dell’autorità garante, un po’ paradossalmente, esclude tendenzialmente dalla possibile tenuta in manutenzione degli impianti gli stessi tecnici che li hanno realizzati, che certamente non godono della considerazione degli operatori Telco, ma che pur tuttavia realizzano impianti “a regola d’arte” così come prevede la norma e come tali rispondenti ai criteri richiesti dagli operatori in termini prestazionali.

Quindi, per riassumere: lo Stato impone ai cittadini di dotare i loro edifici nuovi o ristrutturati di impianti in fibra ottica idonei alla banda larga, ma non obbliga gli operatori ad usarli; impone viceversa che chi ci mette le mani sia un operatore iscritto al ROC che tuttavia non ha realizzato l’impianto e quindi, presumibilmente incontrerà qualche difficoltà nel gestirlo. Sempre lo Stato, inoltre, autorizza i tecnici a realizzare quegli impianti ma, chissà perché, non a tenerli in manutenzione.

Ma le telco non hanno colpe

Uno potrebbe pensare che alle spalle di tutto ciò ci sia il “grande fratello”, ovvero la cupola delle Telco, ma nemmeno questo è corretto, perché sentiti al riguardo alcuni dei maggiori operatori, le posizioni sono diverse e differenziate: ovvero c’è chi l’impianto multiservizio è lieto di trovarlo realizzato e lo sfrutta al massimo e chi viceversa nella stessa circostanza dà KO.

Da più parti è venuto l’invito pressante a rimettere mano all’insieme dei provvedimenti che hanno generato questo caos che non permette al mercato di cogliere le occasioni che si si stanno creando e di rinnovare le infrastrutture d’edificio che oggi costituiscono il vero collo di bottiglia all’innovazione in ambito home, building e city, accelerando sull’adozione della Banda ultra larga.

Una soluzione semplice semplice

Molti si sono convinti che il problema sarebbe facilmente risolvibile spostando il concetto di “punto terminale di rete” dalla borchia di casa al Centro Servizi Ottici d’Edificio (CSOE), che la norma CEI 306/22 colloca, a ragion di logica, alla base dell’edificio, analogamente ai contatori elettrici e delle altre commodity, delegando al condominio e ai suoi tecnici la gestione delle colonne montanti.

Condominio che, d’altra parte, essendo un’entità giuridica che non ha come oggetto principale della propria attività i servizi di comunicazione elettronica, potrebbe entrare di diritto nella fattispecie delle eccezioni previste da Agcom nella DEL 102/03/CONS e non essere considerato fornitore di un servizio pubblico di telecomunicazioni e, quindi, essere esonerato dall’applicazione degli obblighi per gli operari di TLC, al pari di bar, tabaccherie, alberghi e ristoranti.

Una soluzione semplice, forse troppo semplice per piacere a tutti.

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