i consigli

Sharenting, i rischi sottovalutati della genitorialità nell’era della condivisione

Una serie di raccomandazioni per aiutare i genitori/caregiver a districarsi nel web e a acquisire maggiore consapevolezza delle conseguenze della sovraesposizione di bambini e adolescenti sulle piattaforme digitali

Pubblicato il 18 Feb 2020

Stefania Piantoni

psicopedagogista logopedista esperta di formazione on line e di organizzazione e processi

Sharenting: la proposta dell'Authority infanzia e adolescenza sul tavolo del ministero di Giustizia

Non è mai esistito nella storia dell’umanità e dell’infanzia un fenomeno paragonabile allo sharenting: le “impronte digitali” dei bambini (ecografie, pappe, bagnetto), si imprimono in rete prima che questi imparino a camminare.

Il fenomeno  descrive la tendenza dei genitori a sovraesporre i bambini e gli adolescenti sulle piattaforme digitali e, per intenderci, non è la pubblicazione di post con le foto dei bambini una volta ogni tanto, ma  l’abitudine a farlo in maniera ripetitiva e compulsiva: il problema legato allo sharenting, insomma, non è condividere in se, ma l’incapacità di stabilire i confini, di sapere cosa e quanto condividere.

I genitori e le altre figure di riferimento devono perciò acquisire la consapevolezza delle conseguenze, serie, di questa compulsività. Per questo, alla fine di questa riflessione proviamo a fornire una sorta di decalogo per aiutare a gestire adeguatamente le informazioni condivise online.

Se Tom Sawyer fosse vissuto ai giorni nostri

Un libro molto interessante per comprendere meglio le diverse sfaccettature dela questione è ”Why We Should Think before We Talk about Our Kids Online di Leah Plunkett, che si chiede cosa sarebbe successo a un personaggio come Tom Sawyer se fosse vissuto ai giorni nostri.

Tom Sawyer è un irrequieto e fantasioso ragazzo rimasto orfano e costretto vivere con la zia Polly e il fratellastro Sid nella città di St. Petersburg, lungo il fiume Mississippi. Tom marina la scuola, si azzuffa con un bambino appena arrivato in città, scoperto scappa, torna a casa molto tardi, ha i vestiti strappati. Nell’America dei nostri giorni si sarebbero attivati gli insegnanti della scuola, i servizi sociali e la polizia, sarebbe stato monitorato in rete. E, nel caso in cui si fosse arrivati alle vie legali, Tom avrebbe fornito tutte le prove necessarie per essere definito un delinquente, raccontando le sue avventure su Instagram, Snapchat e altre piattaforme digitali: in pratica lo stesso Tom avrebbe fornito le prove contro se stesso. Invece Tom Sawyer, nel libro, viene scoperto dalla zia Polly la quale, vedendo i suoi vestiti strappati, lo rimprovera e gli infligge una severa punizione corporale.

La Plunkett, però, non si vuole concentrare su Tom Sawyer, il focus è la zia Polly. La figura della zia Polly, ci consente di riflettere sulle trasformazioni di ruolo di chi educa, cresce, accompagna i bambini nelle fasi dello sviluppo. Zia Polly è una “sharent”. Oggi avrebbe scritto su Facebook: “Tom!!! Luci blu che lampeggiano davanti alla finestra della mia stanza da letto. Stanotte i poliziotti mi hanno svegliato di nuovo”. In sostanza avrebbe esposto pubblicamente le sue angosce, senza riflettere sulle conseguenze che possono esserci, nel narrare le disavventure del nipote, condividendole in rete. Non sapendo che condividere informazioni di un minore potrebbe condizionarne l’identità che ricordiamo, è un processo in divenire.

Questa storia ci invita a riflettere su come i genitori, insegnanti e altri caregiver pubblicano, trasmettono e memorizzano dati digitali sui bambini e adolescenti, non rispettando la loro privacy, mettendone a rischio le potenzialità attuali e future, così come la loro capacità di sviluppare il proprio senso di sé. Possedere un “locus”, un nostro rifugio senza che ci siano interventi o interruzioni indebite sono una conditio sine qua non, affinché i bambini costruiscano la loro identità.

I rischi sottovalutati della sovraesposizione

L’infanzia e l’adolescenza sono le fasi di vita in cui il gioco è essenziale: esplorare e sperimentare sono basilari per lo sviluppo e l’autonomia. I bambini e gli adolescenti dovrebbero avere spazio per giocare e per poter sbagliare. Fare e imparare dagli errori non solo è inevitabile, ma è addirittura benefico. Soprattutto nei primi anni, quando i confini tra l’immaginario e il reale sono labili.
Dobbiamo lasciare ai più giovani una maggiore libertà, per consentire il viaggio verso la scoperta di se stessi.

Al contrario, nel sovraesporre i bambini, di fatto, si abbatte la barriera tra pubblico e privato, offrendo ad una moltitudine di sconosciuti, le loro emozioni, i loro ricordi. In questo modo non solo si fa un danno, minando lo sviluppo armonico nel presente, ma si rischia che i bambini, una volta cresciuti, possano non gradire la loro precedente esposizione mediatica. I genitori dovrebbero rispettare i confini riguardo a quali tipi di post possono essere condivisi, con che frequenza e con chi. Inoltre, dovrebbero chiedere il permesso prima di pubblicare post sui propri figli.

Non si afferma qui che i genitori agiscono per produrre consapevolmente un danno alla prole, piuttosto si vuole proporre una riflessione sulla genitorialità. I genitori hanno il piacere di condividere le foto dei loro figli con familiari, amici e conoscenti ed è molto più immediato per loro utilizzare uno strumento di diffusione così ampiamente adottato, che peraltro genera un senso di accettazione e appartenenza al gruppo; probabilmente il bambino è semplicemente un veicolo per la rappresentazione dei genitori.

La famiglia adolescente

In che modo incide lo stile genitoriale? Che tipo di condivisione si pratica in famiglia? come ci dice Massimo Ammanniti: “ La condivisione dei luoghi,delle abitudini, degli argomenti, ha reso la distinzione fra genitori e figli molto più sfumata di una volta. Condividiamo con i figli i modi di vestire, i gusti, i comportamenti, Genitori che faticano a diventare adulti e figli che faticano a crescere, tutti insieme formano la famiglia adolescente” . Nella condivisione dovrebbe essere implicita la capacità di fare scelte individuali in relazione a se e ai propri figli invece sembra che sia i genitori che i figli siano soli, chiusi in se stessi, abbiano perso l’idea dell’alterità della dimensione sociale del vivere, e questo li spinge, per mostrarsi, ad apparire, ad essere visibili. I social network diventano lo strumento elettivo del rappresentarsi.

Sembra che il condividere abbia sostituito il processo del divenire tipico del percorso di sviluppo della vita di un bambino, si è persa quella intimità che è la base per lo sviluppo armonico dell’identità. La rete diventa il luogo del qui e ora un eterno presente. Siamo ormai orientati a pensare solo a quello che potrebbe succedere nei prossimi momenti, ore, o giorni, ma ci sfuggono gli anni e il medio – lungo periodo.

Inoltre quando si pubblica online, mamma e papà pensano che non ci sia nulla da nascondere, non sono consapevoli di quali e quante informazioni si condividono né di chi possa essere interessato a quei dati, con che fini e quali possano essere le conseguenze: come i pesci della storiella raccontata da David Foster Wallace, essi nuotano nel mare ma non sanno cos’è l’acqua.
Quando usiamo i social network ci serviamo di loro gratuitamente, o meglio pagando con i nostri dati, siamo utenti di un servizio e non clienti, cioè accettiamo delle condizioni d’uso, ma non firmiamo un contratto e di fatto le loro responsabilità sono fortemente limitate.

Come si contrasta il fenomeno dello sharenting?

La responsabilità genitoriale dovrebbe invece rimanere ben salda mantenere il controllo dei dati che riguardano i propri figli. Non si dovrebbero cedere informazioni preziose dei propri cari, pensando che comunque i servizi siano gratuiti, anche perché in realtà i provider utilizzano i dati in una logica di profitto.

C’è una frase che riassume come gestire queste situazioni: non condividere online nulla che non condivideresti pubblicamente.

Pertanto a questo punto, ci dobbiamo chiedere come si contrasta il fenomeno dello sharenting? In prima istanza i genitori dovrebbero utilizzare le piattaforme digitali con maggiore consapevolezza e conoscere i principi giuridici fondamentali che incidono sul funzionamento della rete.

In particolare, a riguardo, si forniscono una serie di raccomandazioni per aiutare i genitori/caregiver a districarsi in questo panorama e gestire adeguatamente le informazioni che condividono online:

I genitori

  • dovrebbero conoscere meglio le politiche sulla privacy dei siti in cui condividono le informazioni,
  • dovrebbero impostare notifiche per avvisarli quando il nome del loro bambino appare nei motori di ricerca (ad es. Avvisi di Google),
  • dovrebbero usare le dovute cautele prima di condividere la posizione geografica o il nome completo dei propri figli,
  • non dovrebbero condividere informazioni sui problemi di salute o sulle malattie dei propri figli trattando tali temi in forma anonima,
  • dovrebbero dare ai propri figli “potere di veto” sulle informazioni online,
  • non dovrebbero condividere foto che mostrano i loro figli in qualsiasi abbigliamento come ad esempio le foto durante il bagnetto,
  • dovrebbero considerare l’effetto che la condivisione può avere sullo stato attuale e futuro dei propri figli.

Porre attenzione alle informazioni che si condividono online, sui bambini, questo è un modo per prendersi cura di loro, e favorirne il sano sviluppo. Bisogna premere pausa per un momento prima di pubblicare, scorrere, scansionare o caricare qualsiasi cosa che riguarda i minori. Internet deve dimenticare. Noi dobbiamo ricordare.

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Bibliografia

Leah Plunkett ,Why We Should Think before We Talk about Our Kids Online,MIT Press, 2019

Massimo Ammaniti, La famiglia adolescente, Laterza, 2015

Highfield, T &Leaver, T.. A methodology for mapping Instagram hashtags, 2015

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