emergenze

Il ruolo di robot e droni nelle catastrofi: i principali casi internazionali

Vediamo cosa possono fare veramente robot e droni in situazioni di emergenza, come possono rendersi utili, cosa hanno fatto ad Amatrice e a Mirandola o in altri scenari di emergenza. Negli Usa e in Giappone

Pubblicato il 02 Gen 2017

Fiora Pirri

Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

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Robot e droni possono formare un’accoppiata vincente a supporto dei soccorsi e delle ricostruzioni dopo un disastro. In Italia l’esempio più innovativo è probabilmente datato settembre 2016, quando un team di robot e droni guidati dai ricercatori del laboratorio ALCOR dell’Universitá di Roma, La Sapienza, finanziato dal progetto Europeo TRADRi, arriva ad Amatrice, una settimana dopo il terremoto del 24 agosto, per fare rilievi all’interno delle chiese di San Francesco e di Sant’Agostino. I primi di luglio del 2012 lo stesso team era entrato nella zona rossa di Mirandola, dopo il terremoto dell’Emilia del 29 Maggio 2012, per fare rilievi nella chiesa di San Francesco, dove è sepolto Pico della Mirandola, e nella Cattedrale. Questa volta il team era finanziato dal progetto Europeo NIFTiii.

I primi robot ad essere utilizzati per esplorare zone inaccessibili alle persone e per riportare informazioni utili sullo stato delle cose furono i robot che entrarono al World Trade Center l’11 Settembre 2001. Questi robot erano stati inviati dal centro che poi è diventato il CRASAR (Center for Robot assisted Search and Rescue), attualmente diretto dalla prof. Robin Murphy. Da allora droni e robot sono stati utilizzati in moltissime missioni per monitorare lo stato delle cose in disastri ambientali come incidenti in miniere, alluvioni, tifoni e terremoti.

Cosa possono fare effettivamente i robot e come possono essere di aiuto? Prima dei disastri del Golfo del Messico e di Fukushima la convinzione popolare era che la tecnologia robotica dovesse essere sviluppata per costruire robot amici, robot da compagnia, un pó come R2D2 o come c3PO in star wars. Il motivo era che anche dopo il World Trade Center si aveva paura di allarmare la gente parlando di robot addestrati ad intervenire in caso di gravi calamitá causate dall’intervento umano . Con il grave incidente del golfo del messico e il terremoto e maremoto di Fukushima la mancata preparazione di robot in gradodi intervenire ha fatto riflettere governi e media. Cosí una nuova visione sulla preparazione necessaria ai robot per affrontare situazioni in cui mandare delle persone in avanscoperta puó essere troppo rischioso, o addirittura impossibile, sta piano piano emergendo.

Ricordiamo l’esplosione il 20 aprile del 2010 dell’impianto di perforazione della Deepwater Horizon, che causó la perdita di 4.9 milioni di barili di petrolio prima che un ROV (remotely operated underwater vehicle) riuscisse, dopo quasi 100 giorni a fermare la perdita di petrolio. L’altro grave disastro fu l’11 Marzo del 2011 causato dal terremoto di Tohoku dove i reattori della centrale nucleare Daiichi (numero uno) di Fukushima si spensero automaticamente ma il maremoto che seguí il terremoto distrusse i generatori di emergenza che raffredavano i reattori. Si ebbero cosi’ varie esplosioni e il rilascio di materiale radioattivo il 12 e 15 Marzo.

Questi sono stati i primi episodi in cui la necessitá di utilizzare i robot fu richiesta dai governi, agenzie e popolazione, per risolvere i gravi danni ambientali causati da una piattaforma di perforazione in un caso e dai reattori nucleari nell’altro.

Parliamo in particolare del disastro di Fukushima. L’interno dei reattori è abbastanza complesso per un robot data la presenza di scale, e un dedalo di corridoi, e purtroppo al tempo non c’erano robot in grado di coniugare autonomia con adeguata mobilitá per affrontare le scale. All’inizio furono usati i PackBot, sviluppati da iRobot Corporation. Infatti la Honda mando’a dire al governo Giapponese, alla TEPCO (Tokyo Electric Power Company, Inc.) e alla gente, che gli scriveva su facebook, che Asimo non era in grado di esplorare l’interno del reattore. Il PackBot è un robot teleoperato giá utilizzato per disinnescare bombe per l’esercito degli Stati Uniti. Tuttavia nel reattore fallirono perche’non erano in grado di comunicare con l’esterno a causa dei muri di cemento del reattore, estremamente spessi. TEPCO e il governo giapponese contattarono il Chiba Institute of Technology, diretto dal Prof. Satoshi Tadokoro che si affrettó a modificare il suo robot Quince capace di affrontare sia scale che detriti, per mandarlo nei reattori. Quince fu dotato di due fotocamere, un dosimetro e un cavo di alimentazione e di comunicazione che si estendeva per centinaia di metri. Infatti, Quince fu in grado di esplorare i piani superiori del reattore dell’unità 2, riuscendo a misurare le dosi di radiazioni nell’aria, prendendo foto ad alta risoluzione, riuscí a trasmettere misure sulla polvere contaminata nell’aria, ma alla fine rimase avvolto nel suo cavo e non fu piú recuperato.

I giapponesi si chiesero come mai nessuno al mondo e, in particolare, come mai proprio loro che avevano sviluppato una notevole tecnologia con Asimo, non erano in grado di spedire un robot autonomo a prendere dati nei reattori.

In effetti il prof. Satoshi Tadokoro, aveva fondato la robocup rescue nel 1999, dopo il terremoto di Kobe del 17 Gennaio 1995, in cui morirono piú di seimila persone, dunque come mai non era pronto? La robocup rescue è una competizione internazionale per misurare il grado di avanzamento tecnologico dei robot, provenienti da tutto il mondo, in attivitá di soccorso in caso di disastri ambientali di ogni genere. Tuttavia la robocup rescue è stata divisa per molti anni in tre categorie, la categoria di soccorso in simulazione, la categoria di soccorso con robot mobili autonomi, e la categoria di soccorso con tracked robot teleoperati, cioé robot cingolati in grado di affrontare terreni dissestati e scale, ma non autonomi. Un pó come dire da una parte robot imbranati e intelligenti e dall’altra robot sportivi ma incapaci di agire da soli.

Dunque il tragico evento di Fukushima cambió la percezione di quale dovesse essere la funzione dei robot, e infatti in una recente statistica fatta dalla European Robotics League, emerge che la gente oggi pensa che i robot siano utili per tutte quelle attivitá rischiose o particolarmente stressanti per le persone, ma non davvero, almeno per ora, come amici o come badanti o infermieri. Forse la gente comincia ad abituarsi all’idea che i disastri ci sono purtroppo, e cercano nei robot un valido aiuto.

Ma cosa possono fare veramente robot e droni in situazioni di emergenza, come possono rendersi utili, cosa hanno fatto ad Amatrice e a Mirandola o in altri scenari di emergenza.

I droni sono molto popolari e si possono acquistare a poco prezzo, ma ovviamente quelli commerciali non sono autonomi e devono essere guidati a vista. Inoltre possono portare un payload leggero e dunque piccole telecamere e in genere una piccola piattaforma inerziale. I droni per il soccorso sono piú avanzati di quelli commerciali e possono trasmettere dati, in particolare la loro posizione, e dunque non hanno bisogno di essere teleoperati a vista. Sono molto utili per fornire una visione d’insieme e una ricostruzione 3D di tutti gli ambienti che visitano, cioé un modello tridimensionale che puo’ essere utilizzato per una analisi approfondita della logistica. Sono molto utilizzati anche per l’ispezione di impianti nucleari, per ispezionare incendi, per la pulizia di grandi impianti industriali, per ispezionare vulcani, slavine, insomma in moltissime circostanze, ma di fatto sono solo dei sensori mobili benché estremamente flessibili.

D’altro canto i robot, e in particolare i robot cingolati che possono affrontare qualunque terreno, sono estremamente utili per raggiungere zone interne o per esplorare da vicino aree che non possono essere raggiunte dai droni. I robot cingolati possono caricare un payload significativo cioé possono essere dotati di braccia, scanner, telecamere RGBD o stereo, e sopratutto possono avere a bordo computer e anche capacitá di calcolo parallelo, e quindi possono essere dotati di intelligenza ed autonomia. Possono quindi usare un braccio per prendere campioni, per girare manopole, per spegnere interruttori o per attivare qualcosa, o per rimuovere detriti. Possono pianificare percorsi come richiesto dai Vigili del fuoco e dagli operatori di soccorso, possono visitare zone irrangiungibili dalle persone in totale autonomia e anche in assenza di comunicazione, e riportare informazioni quando lo ritengono piú utile. Attenzione peró che anche se possono verificare la posizione di una vittima non possono toccarla, poiché a tutt’oggi ció è considerato rischioso per la vittima che, sopravissuta al disastro, muore di crepacuore nel vedere un robot cingolato avanzare d solo.

Il team ALCOR dell’Universitá La Sapienza di Roma, che è intervenuto a Mirandola nel 2012 e ad Amatrice il 1 Settembre 2016 ha usato sia i droni che i robot per produrre delle ricostruzioni 3D molto precise, e molto dense, sia in esterno che negli interni delle chiese, fatte fondendo i dati presi con gli scanner a bordo dei robot e con le camere a bordo di robot e droni.

Nel futuro ovunque ci sia rischio o fatica o stress per le persone, vedremo sempre piú robot e sempre piú intelligenti, sia su terra che in mare, grazie sopratutto alla ricerca finanziata dall’Europa.

i TRADR e’ l’acronimo che sta per Long-Term Human-Robot Teaming for Disaster Response

ii NIFTi e’l’acronimo per Natural human-robot cooperation in dynamic environments

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