La Corte di Giustizia Ue ha chiarito che non è necessario il consenso dei condomini per istallare un sistema di videosorveglianza nelle parti comuni di un condominio al fine di garantire la sicurezza e la tutela delle persone e dei beni. L’uso di tale sistema di sorveglianza può considerarsi giustificato dal perseguimento di un legittimo interesse, qualora il trattamento di dati personali effettuato mediante il sistema di videosorveglianza soddisfi tutte le condizioni enunciate nell’articolo 6(1)(f) del GDPR. Vediamo quali sono queste condizioni.
Il caso sottoposto allo scrutinio della Corte (Caso C-708/18)
La recente sentenza della Corte di Giustizia Ue commentata in questo articolo è stata pronunciata in seguito ad una domanda di pronuncia pregiudiziale presentata nell’ambito di una controversia tra l’associazione dei condòmini di un immobile situato in Romania ed uno dei condòmini dell’immobile. Tale controversia ha ad oggetto la richiesta da parte del condomino di rimuovere il sistema di videosorveglianza installato dall’associazione in questione nelle parti comuni del condominio. Secondo il condomino, l’installazione di tale sistema di videosorveglianza costituirebbe una violazione del diritto al rispetto della vita privata garantito dal diritto Ue.
Visto il richiamo al diritto dell’Unione, il giudice rumeno investito del giudizio ha deciso di richiedere alla Corte di Giustizia Ue di chiarire se, alla luce del diritto Ue, sia consentito installare un sistema di videosorveglianza nelle parti comuni di un immobile ad uso abitativo al fine di perseguire legittimi interessi consistenti nell’assicurare la sicurezza e la tutela delle persone e dei beni, senza il consenso dei condòmini.
Tenuto conto della data dei fatti di causa, le norme del diritto Ue su cui è stato richiesto un chiarimento alla Corte di Giustizia sono quelle della Direttiva 95/46/CE (ovvero la normativa previgente al GDPR), in particolare le norme contenute negli articoli 6(1)(c) e 7(f) della Direttiva. Tuttavia, dato che le norme interpretate si ritrovano pressoché invariate nel GDPR (articoli 5(1)(c) e 6(1)(f)), l’interpretazione fornita dalla Corte rimane rilevante anche nel contesto del mutato quadro normativo.
Il legittimo interesse come base giuridica del trattamento
La questione centrale del caso sottoposto allo scrutinio della Corte riguarda il legittimo interesse come base giuridica del trattamento (articolo 6(1)(f) GDPR). L’utilizzo di tale base giuridica è soggetto a tre condizioni cumulative:
- il perseguimento di un legittimo interesse da parte del titolare del trattamento o di terzi cui vengono comunicati i dati;
- la necessità e proporzionalità del trattamento dei dati personali per la realizzazione del legittimo interesse perseguito;
- e l’esigenza che i diritti e le libertà fondamentali dell’interessato non prevalgano sul legittimo interesse perseguito.
Le condizioni per l’istallazione di sistemi di videosorveglianza fissate dalla Corte
Nel caso di specie, la Corte ha applicato i criteri di cui sopra all’installazione di un sistema di videosorveglianza.
In primo luogo, la Corte ha ritenuto che l’istallazione del sistema di videosorveglianza rispondeva ad un legittimo interesse del titolare (ovvero l’associazione dei condòmini dell’immobile). Difatti, secondo la Corte, l’interesse perseguito dal titolare con l’istallazione del sistema di videosorveglianza, vale a dire la protezione dei beni, della salute e della vita dei condòmini di un immobile, è suscettibile di essere qualificato come “legittimo interesse” ai sensi dell’articolo 7(f) della Direttiva 95/46/CE (oggi articolo 6(1)(f) GDPR). Tuttavia, la Corte ha precisato che questo interesse deve essere effettivo ed attuale alla data del trattamento e non deve in quel momento essere puramente ipotetico. A parere della Corte, nel caso in commento la condizione attinente al sussistere di un interesse effettivo ed attuale sembra essere soddisfatta, in quanto prima dell’installazione del sistema di videosorveglianza si erano verificati furti, violazioni di domicilio e atti di vandalismo, e ciò malgrado l’installazione, nell’atrio dell’immobile, di un sistema di sicurezza composto da un citofono e da una carta magnetica di accesso.
In secondo luogo, la Corte ha ritenuto il trattamento effettuato mediante il sistema di videosorveglianza sostanzialmente necessario e proporzionato. Ciò in quanto, prima di installare il sistema di videosorveglianza, sono state messe in atto misure alternative, consistenti nel suddetto sistema di sicurezza installato nell’atrio dell’immobile, le quali si sono rivelate però insufficienti. Inoltre, il dispositivo di videosorveglianza installato è limitato alle parti comuni dell’immobile e alle vie di accesso a quest’ultimo. La Corte ha però sottolineato come la proporzionalità del trattamento dei dati mediante un dispositivo di video sorveglianza vada valutata “tenendo conto delle concrete modalità di attuazione e di funzionamento di tale dispositivo, le quali devono limitare l’incidenza del medesimo sui diritti e sulle libertà delle persone interessate, garantendo al tempo stesso l’efficacia del sistema di videosorveglianza in questione”. Ad esempio, andrà verificato se “sia sufficiente che la videosorveglianza funzioni soltanto di notte oppure al di fuori delle ore di lavoro normali e bloccare o sfuocare le immagini prese in zone in cui la sorveglianza non è necessaria”. La Corte ha però delegato tale verifica effettiva al giudice rumeno.
In terzo luogo, la Corte ha ricordato che l’articolo 7(f) della Direttiva (cosi come l’articolo 6(1)(f) GDPR) richiede un bilanciamento caso per caso tra gli opposti diritti e interessi in gioco, sottolineando come la valutazione della gravità del pregiudizio ai diritti e alle libertà dell’interessato costituisca un elemento essenziale di tale bilanciamento. A tale riguardo, secondo la Corte, “si deve segnatamente tener conto della natura dei dati personali [trattati], e in particolare della loro natura eventualmente sensibile, nonché della natura e delle modalità concrete del trattamento dei dati di cui trattasi, in particolare del numero di persone che hanno accesso a tali dati e delle modalità di accesso a questi ultimi”. È inoltre necessario valutare “le ragionevoli aspettative della persona interessata a che i propri dati personali non vengano trattati qualora, nelle circostanze del caso di specie, detta persona non possa ragionevolmente attendersi un successivo trattamento dei dati stessi”. Infine, “tali elementi devono essere messi in bilanciamento con l’importanza, per l’insieme dei comproprietari dell’immobile in questione, del legittimo interesse perseguito nella specie mediante il sistema di videosorveglianza di cui trattasi, là dove quest’ultimo mira essenzialmente a garantire la tutela dei beni, della salute e della vita dei suddetti comproprietari”. Anche in questo caso, la Corte ha richiesto che sia il giudice rumeno ad effettuare tale bilanciamento.
In sostanza, pur astenendosi dal pronunciarsi sulla conformità al diritto Ue dello specifico sistema di sorveglianza installato nell’immobile di cui al caso di specie, la Corte ha espressamente indicato come sia possibile ricorre al “legittimo interesse” quale base giuridica per il trattamento di dati personali mediante sistemi di sorveglianza, a condizione che si rispettino tutti i requisiti di cui all’articolo 6(1)(f) GDPR, fornendo inoltre indicazioni concrete su come applicare tali requisiti.
L’impatto della decisione della Corte
Nel caso in commento la Corte ha applicato i criteri di cui all’articolo 6(1)(f) GDPR all’installazione di un sistema di videosorveglianza. Tuttavia, il legittimo interesso costituisce una base giuridica utilizzata in numerosi altri ambiti. Pertanto, i chiarimenti forniti dalla Corte posso risultare utili anche al di là dello specifico ambito applicativo affrontato dalla Corte nel caso in oggetto.