SICUREZZA DIGITALE

La guerra al revenge porn, tutte le armi in campo

Malgrado le iniziative legislative e gli strumenti attivati da Facebook, la pubblicazione senza consenso di immagini sessualmente esplicite rimane un fenomeno diffuso. Solo l’utilizzo a tappeto di sistemi di AI potrà garantire una tutela (quasi) totale. Ma serve una cooperazione regolamentare internazionale

Pubblicato il 27 Apr 2020

Marco Cartisano

Studio Polimeni.legal

revenge porn

Il revenge porn – pornovendetta o estorsione sessuale – è una delle più gravi forme di aggressione alla dignità della persona, data l’impossibilità della vittima di fermare la diffusione in rete delle proprie immagini. Nonostante sia entrata nel mirino dei legislatori nazionali, rimane però la carenza organica, a livello internazionale ed europeo, di una normativa che punti alla prevenzione del fenomeno garantendo maggiore sicurezza digitale. La strada è ancora lunga.

La prevenzione del revenge porn

L’argomento è stato già da noi trattato prima dell’introduzione dell’art. 612 ter c.p.[1] (“Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”) ad opera dell’art. 10 della L. 19 luglio 2019 n. 69 che punisce severamente sia l’autore della prima diffusione che i propalatori del materiale senza il consenso della vittima.

L’introduzione di questa nuova fattispecie incriminatrice rappresenta un enorme passo avanti in ordine alle esigenze di prevenzione generale di tali odiosi comportamenti, ma è necessario intervenire assai prima, ovvero nel momento in cui le immagini vengono distribuite sulle maggiori piattaforme social, senza cui, molto probabilmente, il fenomeno desterebbe minor allarme sociale.

A tal proposito Facebook Inc. ha creato una task force, con il supporto delle più moderne tecnologie di Intelligenza artificiale, che avrà il compito di intercettare il materiale illegale caricato sui server dei servizi offerti (Facebook, Instagram, Messenger, ma non WhatsApp, per il momento non citato, ndr).

Ma come funziona il sistema? In realtà si fonda su un apparente paradosso, ovvero la vittima deve caricare le proprie immagini “intime” per poter usufruire del servizio e, pertanto, sono comprensibili alcuni generalizzati timori, tenendo conto dello stress psicologico già subito.

Revenge porn, il sistema Facebook

In realtà l’azienda di Menlo Park spiega nel dettaglio il funzionamento del servizio ossia la creazione di team altamente specializzato di circa venticinque esperti che dovranno, in via preliminare, visionare le immagini e decidere se esse integrino la pornovendetta (in base ad un training basato anche sulle usanze sociali e culturali di un determinato territorio); dopo l’ok dell’operatore, il sistema assegna all’immagine un codice identificativo unico (c.d. HASH) che, confrontato con il codice generato dalle immagini caricate dagli altri utenti, ne blocca preventivamente la diffusione.

C’è da precisare che l’immagine, dopo l’operazione di «hashing» non viene più conservata sui server del fornitore di servizi digitali (massimo sette giorni, secondo le linee guida dichiarate dall’azienda) pertanto i timori relativi alla ritenzione sine die dovrebbero essere fugati.

Il servizio può essere raggiunto sul sito di Facebook, tuttavia, attualmente, in Italia è possibile solamente effettuare una semplice segnalazione e non utilizzare le funzioni di upload delle immagini, in quanto per adesso è disponibile solo per alcuni paesi.

Ovviamente la novità sta nel fatto che, mentre gli attuali sistemi permettono una tutela successiva, l’interessante iniziativa del colosso dei social permette alla vittima di tutelarsi preventivamente ed in totale autonomia qualora abbia già a disposizione le immagini carpite senza il consenso.

Tecniche di web crawler

In ogni caso, per una maggiore efficacia, sarà necessaria la collaborazione fra tutti i grandi operatori del settore poiché non intacca i siti storicamente orientati alla condivisione di pornografia non consensuale (a tal proposito nel 2015 negli USA il responsabile di uno di questi siti è stato condannato a diciotto anni di reclusione).

Nello specifico sarà importante l’utilizzo dei c.d. web crawler da parte dei motori di ricerca, programmati per scovare i contenuti segnalati come illegali che, unitamente ai sofisticatissimi software di AI, consentirebbero una tutela anticipata; va tenuto conto che, in tema di contrasto alla pedopornografia on line e al terrorismo internazionale, queste tecniche sono ampiamente utilizzate da anni (nel 2007 l’Università dell’Arizona aveva creato il «dark web project» finalizzato a individuare reti terroristiche e piani di attacco).

Esistono anche organizzazioni che aiutano le vittime a rimuovere i contenuti da web come, ad esempio, il sito https://revengepornhelpline.org.uk/ che fornisce alcuni utilissimi consigli a chi è stato vittima di questa nuova forma di abuso come la preservazione delle prove, la segnalazione alle autorità ed ai siti interessati e come rimuovere le informazioni dai motori di ricerca.

L’azione del diritto d’autore

Nello specifico parecchie azioni volte alla rimozione dei contenuti illeciti sono state indirizzate verso la tutela del diritto d’autore poiché la persona ritratta ha il diritto morale e di sfruttamento commerciale sulle proprie immagini anche perché i giganti del web hanno l’obbligo di avere un apposito dipartimento in base alla legge USA sul diritto d’autore, ossia il «Digital Millenium Copyright Act» del 1998 (DMCA); mentre in Italia esiste la tutela della propria immagine ai sensi dell’art. 10 c.c. e la legge sul diritto d’autore (L. 633/1941).

D’altro canto, la web reputation rappresenta l’aspetto più controverso della questione poiché il web non dimentica e, a distanza di anni, la vittima potrebbe avere serie difficoltà a trovare lavoro, affetti e, più in generale, la propria serenità; per tali motivi è essenziale cancellare i dati delle ricerche, ossia link o le miniature (cd. thumbnails), ancorché il contenuto non sia più disponibile.

A tal fine, si elencano i servizi offerti per “deindicizzare” la ricerca:

Se, invece, il contenuto è stato rimosso ma permangono i link o le miniature questo è l’elenco dei servizi:

Esistono, poi, siti a pagamento specializzati nel ripulire la reputazione web offrendo un monitoraggio permanente pagando un abbonamento mensile (si parla di circa 40 dollari al mese).

Note

  1. Art. 612 ter – Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti[I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000.[II]. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.[III]. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici.[IV]. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.

    [V]. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

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