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Italia digitale 2020, Gastaldi (Polimi): “Così la PA può essere volàno di svolta”

Le tecnologie digitali rappresentano la leva più importante su cui agire per rendere le nostre PA capaci di bilanciare efficacia e sostenibilità, trasparenti e in grado di attrarre personale qualificato. Ecco i quattro gli elementi per far sì che la PA giochi il ruolo chiave nella trasformazione del paese

Pubblicato il 14 Gen 2020

Luca Gastaldi

Direttore dell'Osservatorio Agenda Digitale e dell’Osservatorio Digital Identity del Politecnico di Milano

digitale

L’Italia sembra aver finalmente capito che le tecnologie digitali rappresentano le nuove infrastrutture portanti del paese. Come nel dopoguerra lo Stato ha compreso la centralità delle infrastrutture stradali per la crescita economica, ora mi sembra che si stia affermando la medesima visione di lungo periodo e si stia inquadrando la trasformazione digitale come un’imperdibile occasione per realizzare il nuovo sistema nervoso su cui basare la crescita economica dell’Italia nei prossimi anni.

La PA può e deve guidare la trasformazione digitale del paese, innescando percorsi di digitalizzazione pervasivi. Per farlo deve prendere consapevolezza dell’enorme mole di informazioni e dati in suo possesso e della propria capacità di innescare processi di migrazione al digitale che non solo generano benefici per cittadini e imprese ma che possono influenzare lo spazio per innovare di entrambi.

 

Digitalizzazione, le tre sfide per la PA

Se la PA italiana vuole giocare pienamente il ruolo centrale che le spetta nella digitalizzazione del paese deve dimostrarsi efficace nel fronteggiare tre sfide:

  • bilanciare efficacia e sostenibilità economica
  • garantire trasparenza e responsabilità sociale
  • attrarre e trattenere personale qualificato.

Su tutte e tre queste sfide l’Italia si trova purtroppo in una posizione non particolarmente favorevole.

  • La spesa pubblica italiana pesa il 48% del PIL del nostro paese. L’Italia spende per la propria PA più della media Europea (44%).
  • Con un punteggio di 52 su 100 l’Italia si trovava a fine 2018 in 53esima posizione al mondo con riferimento all’indice di corruzione stilato da transparency international.
  • Con 3,3 milioni di addetti, in Italia lavorano nel settore pubblico 14 lavoratori su 100, 6 in meno rispetto alla Francia. Al di là del dato quantitativo, tuttavia, a preoccupare deve essere lo stato di questo capitale umano che risulta:
  • anziano: l’età media dei dipendenti pubblici è infatti di oltre 50 anni;
  • poco qualificato e formato: ciascun dipendente pubblico italiano usufruisce mediamente solo di 1,4 giornate di formazione l’anno a fronte di 6-7 di paesi come Francia e Regno Unito;
  • male attrezzato: solo il 16% delle PA italiane sta implementando progetti strutturati di smart working.

Oggi la PA italiana è ancora inefficiente, poco trasparente e attempata. Le tecnologie digitali rappresentano la leva più importante (se non l’unica) su cui agire per rendere le nostre amministrazioni capaci di bilanciare efficacia e sostenibilità, trasparenti nel loro agire e in grado di attrarre personale qualificato. Per poter correre, la “macchina” pubblica deve prima di tutto digitalizzare sé stessa, accelerando le tante iniziative di switch-off in atto e ridisegnando interamente i processi mediante i quali i servizi pubblici sono gestiti ed erogati, in modo da sfruttare a pieno le potenzialità delle tecnologie digitali. È particolarmente importante digitalizzare, integrare e re-ingegnerizzare sia i processi di front-office che quelli di back-office, cambiando il modo di interagire tra l’amministrazione nel suo complesso e cittadini e imprese.

La digitalizzazione, l’integrazione e lo switch-off sono certamente fondamentali per consentire alla PA di guidare la trasformazione digitale del paese ma non bastano e, soprattutto, richiedono tempi molto lunghi per potere essere realizzati. Sono necessari almeno altri tre elementi complementari.

Ripensare il procurement pubblico

Per prima cosa la PA deve imparare a collaborare maggiormente con le imprese – da quelle più grandi fino alle startup o le PMI ad alto tasso innovativo. Pertanto, è di vitale importanza ripensare il procurement pubblico, che sembra ancora vittima di un pregiudizio che lo vede come fonte di inefficienza (quando non di corruzione) piuttosto che di innovazione.

Le gare pubbliche sono ancora strutturate e gestite con la principale preoccupazione di prevenire ricorsi e contenziosi, mentre sono ancora troppo poche le PA che cercano di acquisire nel minor tempo possibile la migliore soluzione disponibile. Le imprese, dal canto loro, si concentrano non tanto sul proporre soluzioni efficienti e innovative, che diano reale valore al cliente pubblico, quanto nell’adempiere a ogni formalismo richiesto in fase di gara e prevenire ricorsi pretestuosi dei concorrenti. Così facendo sprecano le migliori energie a recitare liturgie che tutti sanno inutili. Il risultato di questa duplice spinta, alimentato dall’incertezza normativa, è che si finisce per allontanare dal settore pubblico quella parte di mercato sana e dinamica che potrebbe apportare competenze ed energie essenziali alla trasformazione della PA e dell’intero paese.

È urgente un impegno da parte di tutti per trasformare il procurement da ostacolo all’innovazione, quale è ancora in molti casi oggi, a potente leva che consenta a PA e imprese di collaborare maggiormente e meglio nel realizzare la trasformazione digitale dell’Italia. Il vero ostacolo non è la carenza di risorse, ma la povertà di competenze, progettualità e managerialità, che sono spesso risultato di un controllo politico eccessivo e non orientato ai risultati, bensì alla gestione del potere e a una ricerca miope e populista del consenso.

Un’idea chiara di futuro

Ancora una volta, tuttavia, non è sufficiente saper collaborare con le imprese private e portare avanti efficaci iniziative di switch-off per rendere la PA capace di giocare un ruolo di primo piano nella digitalizzazione del paese. Switch-off e collaborazione con i privati devono essere indirizzati con in testa una chiara idea del futuro, in particolare delle opportunità offerte dalle tecnologie più dirompenti che, progressivamente, si affacciano sul mercato e dei vincoli legati a una loro efficace implementazione.

In questo momento storico penso all’intelligenza artificiale, alla blockchain, ai big data analytics, all’Inter-net of Things, ecc. I vantaggi associati a un’efficace applicazione di tali soluzioni in ambito pubblico sono potenzialmente enormi e devono essere colti quanto prima. LA PA non può permettersi di sprecare energie preziose nel perseguire iniziative di digitalizzazione obsolete e non può rimanere in balia dei fornitori semplicemente perché non conosce e sfrutta a pieno l’ecosistema di innovazione a cui potrebbe attingere.

È necessario pertanto che le PA avviino iniziative di open innovation, lavorando per essere maggiormente esposte a stimoli con cui mettere in discussione e cercare di migliorare la loro operatività. D’altro canto, non bisogna considerare le tecnologie emergenti come la panacea di tutti i mali. Sono necessarie risorse, competenze e consapevolezza di dove possano essere applicate con successo, per produrre risultati concreti e non infruttuosi “esercizi di stile”.

Roadmap condivise di progressiva attuazione dell’Agenda Digitale

C’è un ultimo elemento su cui è necessario lavorare per far correre pienamente la macchina pubblica: roadmap condivise di progressiva attuazione dell’Agenda Digitale – sia a livello nazionale che locale. Tali roadmap devono essere basate su solide evidenze empiriche, superare l’attuale parcellizzazione territoriale e tematica dei sistemi di monitoraggio e aprirsi a iniziative di benchmarking a livello territoriale e internazionale. Il Piano triennale e i cruscotti di monitoraggio di AgID e Team digitale hanno rappresentato dei grandi passi in avanti da questo punto di vista, ma molto può essere ancora fatto.

Più in generale, molte iniziative di digitalizzazione sono condotte senza veri e propri studi di fattibilità che ne valutino impatti e sostenibilità, evidenziando potenziali benefici da una parte e attività, tempi e costi del cambiamento dall’altra. È necessario monitorare con regolarità e in modo trasparente lo stato di attuazione dei progetti di innovazione digitale in ambito pubblico, evidenziando gli scostamenti rispetto agli obiettivi intrapresi, le eventuali criticità riscontrate nell’attuazione e le dinamiche di cambiamento dei bisogni dei territori.

In sintesi, sembrano essere quattro gli elementi necessari a far si che la PA giochi il ruolo chiave che può e deve giocare nella trasformazione digitale del paese:

  • accelerazione dello switch-off al digitale e del ridisegno dei processi di gestione e erogazione dei servizi pubblici;
  • capacità di collaborare con le imprese – da quelle grandi alle PMI e/o startup innovative – mediante un ripensamento del procurement pubblico;
  • mantenimento di un delicato equilibrio nella sperimentazione pragmatica di tecnologie emergenti, evitando di disperdere energia in direzioni di digitalizzazione obsolete o troppo di frontiera;
  • sviluppo di un sistema di monitoraggio teso a fissare chiare roadmap di digitalizzazione sulla base di solide evidenze empiriche e in un confronto continuo con l’estero e tra i vari territori italiani.

Solo con questi quattro interventi si darà un senso ai tanti sforzi profusi da AgID e Team digitale nel 2019, rendendo la macchina pubblica veramente pronta a correre.

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