La descrizione nel documento commerciale dei beni e dei servizi ceduti non è sempre obbligatoria ai fini fiscali. Un aspetto da approfondire alla luce delle nuove regole sullo scontrino elettronico. Infatti, la normativa sullo scontrino fiscale non poneva come obbligo di contenuto la descrizione dei beni ceduti o della prestazione eseguita. Invece, la nuova normativa (dal primo gennaio 2020 è a regime la norma sulla trasmissione telematica dei corrispettivi) prevede l’inserimento nel documento commerciale della descrizione dei beni ceduti e dei servizi resi.
Questo ha causato difficoltà a molti operatori economici, perché non dotati di sistemi informatici collegati ai registratori telematici in grado di inserire automaticamente la descrizione dell’articolo, magari leggendo il codice a barre. Vediamo la situazione.
Dal “corrispettivo specifico” alla descrizione dei beni del documento commerciale
L’articolo 12 del D.M. Finanze del 23/3/1983 prevedeva che lo scontrino fiscale dovesse contenere (ciascuna operazione con un proprio capoverso), i corrispettivi parziali, con relativi eventuali sconti o rettifiche. Quindi, per ogni articolo ceduto, una riga di scontrino, senza alcuna descrizione. La famosa circolare n.60 del 10 giugno 1983, prevedeva che lo scontrino fiscale dovesse contenere i “corrispettivi specifici, ossia i singoli corrispettivi dei beni che formano oggetto della stessa operazione” e, qualora, per esigenze organizzative, i corrispettivi specifici fossero stati riportati sulla documentazione non fiscale interna era consentita la indicazione del corrispettivo totale a patto che la documentazione venisse “presentata all’operatore addetto all’apparecchio misuratore fiscale e da questi ritirata per la conversione, nei termini previsti, in scontrino fiscale”. In tal caso sarebbe stato sufficiente infatti “riportare nello scontrino fiscale l’ammontare complessivo dei corrispettivi risultanti dagli scontrini interni o ad analoga documentazione”.
Un complesso normativo quindi tutto sommato coerente con la funzione dello “scontrino”: un sistema veloce, nato per certificare l’entità del corrispettivo, non la sua natura, una calcolatrice evoluta che riusciva ad emettere “la strisciata” col prezzo dei beni ceduti, per cui l’onere del commerciante tutt’al più era quello di fare in modo che ciascun prodotto avesse un cartellino col prezzo di vendita (o che il titolare conoscesse a memoria tutti i prezzi dei prodotti trattati …). La nuova normativa, portata dall’articolo 2, del DM 7/12/2016, prevede che “Il documento commerciale contiene almeno le seguenti indicazioni: … f) descrizione dei beni ceduti e dei servizi resi; per i prodotti medicinali in luogo della descrizione può essere indicato il numero di autorizzazione alla loro immissione in commercio (AIC)”.
Prima facie la previsione potrebbe apparire un obbligo generalizzato, ma l’esame dell’intero provvedimento dimostra che così non è. L’innovazione non è di poco conto, perché non tutti gli operatori commerciali, soprattutto quelli di modeste dimensioni, sono dotati di un sistema informatico idoneo a rendere automatica la stampa nel documento commerciale della descrizione dei beni/servizi ceduti. Si pongono quindi due domande:
- Si può riportare sul documento commerciale una descrizione sintetica, che fa riferimento alla una macro categoria a cui appartiene il bene venduto, come per esempio il reparto di appartenenza della merce?
- Quali sono le sanzioni previste qualora la descrizione fosse omessa o comunque non sufficiente ?
La valenza civilistica e fiscale del documento commerciale
Al documento commerciale vengono attribuite dal legislatore due distinte funzioni. La prima è quella di documentare il rapporto commerciale che si instaura tra cedente/prestatore e cessionario/committente, e la seconda è quella di produrre specifici effetti fiscali.
Gli effetti commerciali sono definiti dall’articolo 3 del DMEF 7/12/2016, secondo cui: “Il documento commerciale certifica l’acquisto effettuato dall’acquirente nella misura da esso risultante e costituisce titolo per l’esercizio dei diritti di garanzia contro i vizi della cosa venduta stabiliti dalle norme vigenti o dei diritti derivanti da altre tipologie di garanzia eventualmente presenti in forza di specifiche normative o di clausole contrattuali stabilite dalle parti”.
Gli effetti fiscali sono quelli definiti dall’articolo 5 e riguardano tre aspetti:
- la deduzione delle spese sostenute per gli acquisti di beni e di servizi agli effetti dell’applicazione delle imposte sui redditi (per il cessionario/committente);
- la deduzione e la detrazione degli oneri rilevanti ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (per il cessionario/committente);
- la possibilità di avvalersi della fatturazione differita prevista dall’art. 21, comma 4, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 (per il cedente/prestatore).
È quindi di tutta evidenza come l’eventuale omissione del documento commerciale determina per il cedente la impossibilità di avvalersi della fatturazione differita.
Considerazioni
Tuttavia occorre tenere presente che l’emissione del documento commerciale è anche strumentale alla totalizzazione sul registratore telematico dei dati che formano il flusso dei corrispettivi che verranno trasmessi automaticamente e giornalmente all’agenzia delle Entrate. Da ciò discendono, per ciò che riguarda la nostra analisi, due importanti conseguenze. La prima è che qualora venisse omessa la generazione di un documento commerciale vi sarebbe un’errata totalizzazione dei corrispettivi e, a ricaduta, una errata trasmissione dei corrispettivi giornalieri, a meno che per l’operazione non contabilizzata venisse emessa, perché espressamente richiesta dal cliente, con le modalità e nei termini di cui all’articolo 21, comma 4, fattura immediata, da trasmettere al sistema di interscambio entro 12 giorni dalla effettuazione della operazione.
La seconda è che un’eventuale errata indicazione della descrizione dei beni/servizi ceduti – salva la compromissione della possibilità di avvalersi della fatturazione differita – non interferirebbe sulla corretta totalizzazione e trasmissione telematica dei corrispettivi.
Le sanzioni
Le considerazioni sopra svolte contribuiscono a determinare i profili sanzionatori delle omissioni e delle irregolarità connesse alla emissione dei documenti commerciali e alla loro totalizzazione ai fini della trasmissione al Sistema di interscambio. Una conseguenza del mutato assetto normativo è che le violazioni relative “agli obblighi relativi alla documentazione, registrazione ed individuazione delle operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto” previste dal comma 3, primo periodo, dell’articolo 6 del Decreto legislativo 471/1997 non sono più applicabili, posto che la norma in questione disciplina(va) “la mancata emissione di ricevute fiscali, scontrini fiscali o documenti di trasporto ovvero nell’emissione di tali documenti per importi inferiori a quelli reali”. Ciò appare coerente con quanto previsto dall’articolo 2, comma 5, del Decreto legislativo 127/2015, che prevede che “La memorizzazione elettronica e la trasmissione telematica di cui ai commi 1 e 2 sostituiscono la modalità di assolvimento dell’obbligo di certificazione fiscale dei corrispettivi di cui all’articolo 12, comma 1, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, e al decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1996, n. 696”. Sopravvivono invece le sanzioni previste dal secondo e terzo periodo per la omessa annotazione dei corrispettivi su apposito registro dei corrispettivi relativi a ciascuna operazione in caso di mancato o irregolare funzionamento degli apparecchi misuratori fiscali (recte: Registratori telematici).
In caso quindi di omessa memorizzazione dei corrispettivi relativi ad operazioni effettuate (consegna beni, incasso corrispettivo), la sanzione applicabile è quella generale prevista dall’articolo 6, comma 1, primo periodo, del Decreto Legislativo 471/1997, secondo cui “Chi viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto ovvero all’individuazione di prodotti determinati è punito con la sanzione amministrativa compresa fra il novanta e il centoottanta per cento dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio” con un minimo di 500 euro (comma 4), ovvero di 250 Euro qualora la violazione non abbia inciso sulla corretta liquidazione del tributo. In sostanza, l’unica modifica intervenuta è che la sanzione rapportata all’imposta passa dalla misura fissa del 100% (ex comma 3 articolo 6) ad un range tra il 90% e il 180% (ex comma 1, articolo 6). Salvo che non si dovesse ritenere che il comma 3 continui ad avere efficacia, anche se i documenti ivi previsti sono stati sostituti da altri con funzioni non perfettamente sovrapponibili.
Ma una cosa appare evidente: un eventuale difetto della descrizione, salvo i casi in cui il documento commerciale non debba essere utilizzato per la fatturazione differita ex articolo 21, comma 4, lettera a), non produce conseguenze sanzionatorie a carico dell’emittente. Occorre tuttavia tenere presente che in alcuni casi la carenza della descrizione potrebbe avere conseguenze per l’acquirente o sotto il profilo del rapporto commerciale (diritti di garanzia, reso merce, etc.) o per ciò che concerne la utilizzazione ai fini fiscali (deduzione spese e deduzione/detrazione). Ma questo è un altro discorso.
Conclusione
Le superiori considerazioni porterebbero ad affermare che le conclusioni a cui siamo pervenuti riguardo la non obbligatorietà della descrizione sono estensibili d’ufficio anche alle operazioni precedentemente assoggettate all’obbligo di rilascio della ricevuta fiscale. Così come dovrebbe anche permanere la possibilità di emettere- ai soli fini fiscali – un documento commerciale col totale del corrispettivo, somma delle singole operazioni, rispettando la procedura indicata dalla circolare 60 sopra citata. Attendiamo conferma dall’Agenzia delle Entrate.