Nel novembre 2019, sono state depositate due richieste di brevetto da Stephen Thaler, ingegnere informatico e direttore generale della società Information Engines, presso l’Ufficio europeo dei brevetti (EPO), ma dopo aver ascoltato gli argomenti del richiedente in un’udienza non pubblica del 25 novembre, l’EPO ha rifiutato i brevetti per il motivo che essi non soddisfano il requisito della Convenzione sul brevetto europeo (EPC), la quale prevede che un inventore designato nella domanda di brevetto deve essere un essere umano, non una macchina.
In un momento in cui l’intelligenza artificiale è in piena espansione e evoluzione, la decisione ha il merito di (ri)accendere il dibattito sul futuro della legislazione sui brevetti.
Il caso
Nelle richieste di brevetto presentate da Stephen Thaler figurava come primo inventore DABUS, un sistema di intelligenza artificiale fondato su un meccanismo di più reti neurali in grado di generare idee modificando le loro interconnessioni, affiancato da un secondo sistema di reti neurali che analizza le conseguenze critiche di queste idee e le rafforza per quanto riguarda le previsioni.
Il progetto è stato supportato da The Artificial Inventor, un gruppo di esperti di proprietà industriale diretto da Ryan Abbott, professore di giurisprudenza e scienze della salute all’Università del Surrey, che milita per la riconoscenza di uno status di inventore per l’intelligenza artificiale.
Se il motivo della decisione sembra risultare da una semplice applicazione della Convenzione, il fatto che l’EPO abbia richiesto di ascoltare con attenzione gli argomenti del richiedente in udienza, facendo poi seguire la pubblicazione delle motivazioni della decisione presa a dicembre al gennaio 2020, dimostra che il tema è stato analizzato in profondità dall’Ufficio innanzi indicato.
Perché conferire lo status di inventore a sistemi di AI?
Diversi sono gli argomenti avanzati dal Professore Abbott a difesa del brevetto delle invenzioni prodotte da intelligenze artificiali.
In primo luogo, il conferimento di tali brevetti potrebbe avere come conseguenza quella di incentivare l’innovazione. Il brevetto motiverebbe infatti chi sviluppa, possiede o usa questi sistemi a continuare a investire in essi. Consentire brevetti su opere generate dall’intelligenza artificiale, pertanto, promuoverebbe lo sviluppo di un’intelligenza artificiale creativa, che alla fine porterebbe maggiore innovazione.
Inoltre, i brevetti possono promuovere la divulgazione di informazioni e la commercializzazione di prodotti ad alto valore per la società. Da questo punto di vista, non consentire la protezione delle invenzioni generate dall’intelligenza artificiale implicherebbe per il futuro, l’impossibilità per le aziende di utilizzare l’IA per inventare, anche quando la stessa diventa più efficace delle persone nel risolvere determinati problemi. Abbott dichiarava, così, che “se i professionisti della proprietà intellettuale di tutto il mondo non reagiscono rapidamente alla nascita dell’intelligenza artificiale, la mancanza di motivazione dei progettisti di intelligenza artificiale potrebbe costituire l’ostacolo a una nuova era spettacolare”[1].
Infine, paradossalmente, consentire a intelligenze artificiali di essere accreditate come inventori proteggerebbe i diritti degli inventori umani. Non farlo, sempre secondo The Artificial Inventor, consentirebbe alle persone di prendersi il merito per il lavoro che non hanno fatto – essendo il prodotto di algoritmi – e svaluterebbe il lavoro inventivo umano. Il lavoro di qualcuno che semplicemente chiede a un sistema di IA di risolvere un problema sarebbe messo su un piano di parità con qualcuno che sta legittimamente inventando qualcosa di nuovo.[2]
I sistemi di intelligenza artificiale, infatti, sono in grado di analizzare dati e trarne soluzioni a una velocità estremamente più elevata rispetto a una persona umana. Così, ad esempio, un’IA è stata in grado di creare un farmaco contro la fibrosi in 46 giorni mentre la ricerca che porta alla creazione di farmaci può impiegare anche 10 anni per una analoga scoperta[3]. Tradotto nel campo dei brevetti significa che, se non fosse permesso di accreditare l’IA come inventore, al proprietario del sistema di intelligenza artificiale a cui sarebbe rilasciato un brevetto – e che non avrebbe fatto altro che inserire dati nell’algoritmo – verrebbe riconosciuto lo stesso status di inventore al pari del ricercatore che ha lavorato per 10 anni sullo sviluppo del farmaco.
Il modello proposto da Abbott, quindi, comporterebbe la distinzione tra i concetti di inventore e di proprietario del brevetto, in modo analogo a quanto avviene nel settore del lavoro tra dipendenti e aziende, in modo da proteggere i diritti morali degli inventori umani tradizionali e l’integrità del sistema dei brevetti.
L’articolo 2590 del Codice civile prevede infatti che “il prestatore di lavoro ha diritto di essere riconosciuto autore dell’invenzione fatta nello svolgimento del rapporto di lavoro” (le cui modalità di riconoscimento sono specificate dall’articolo 64 del Codice della proprietà industriale), e dove pertanto la proprietà del brevetto è conferita all’azienda mentre al dipendente viene riconosciuto lo status di inventore; allo stesso modo, in ambito intelligenza artificiale, verrebbe quindi conferito lo status di inventore all’algoritmo, e la proprietà del brevetto al proprietario del sistema.
Prodotto dell’intelligenza artificiale e fattori umani
L’Ufficio europeo dei brevetti, però, aveva già richiesto in precedenza uno studio accademico – pubblicato nel febbraio 2019 – sulla qualità di ideatore nelle invenzioni che impiegano sistemi di intelligenza artificiale.
In questo studio, richiamandosi agli ordinamenti giuridici dei paesi firmatari della Convenzione europea sulla Concessione dei Brevetti Europei, si sottolineava che la paternità di un’invenzione è riferibile ad una attività umana, che ne determina la titolarità, non avendo, infatti, i sistemi di IA la capacità giuridica per rivendicarne una loro autonoma proprietà. Si notava inoltre che tutti gli ordinamenti giuridici sopra citati “prevedono, esplicitamente o implicitamente, che un inventore debba dare un contributo alla concezione dell’invenzione. L’Oxford English Dictionary definisce la “concezione”, tra l’altro, come formazione o ideazione di un’idea o di un piano nella mente. Pertanto, non è il risultato o l’esito stesso che conta (ad esempio l’idea o un piano risultante), ma il processo effettivo che prende posto nella mente di un essere umano portando a un risultato determinato”.[4]
Lo studio ribadisce inoltre che i sistemi di intelligenza artificiale eseguono i compiti nei settori previsti dai loro progettisti anche se il risultato finale è imprevisto. Ne consegue che laddove un sistema sia stato progettato e sviluppato in modo adeguato a fornire soluzioni a determinati tipi di problemi, il progettista può essere considerato come inventore della soluzione prodotta da tale sistema.
Per quanto riguarda l’argomento della protezione dei diritti degli inventori umani, pertanto, si può sostenere – come accennato dallo studio realizzato per conto dell’EPO – che anche se il risultato finale prodotto da sistemi di intelligenza artificiale può essere imprevisto, esso risulta dal modo in cui sono stati progettati e dai compiti imposti a detti sistemi, dipendendo quindi sempre da fattori umani.
All’argomento secondo il quale la mancata possibilità di brevettare i prodotti dell’intelligenza artificiale metterebbe un freno all’innovazione tecnologica, si può però rispondere invece che nonostante non ci siano stati ad oggi brevetti conferiti a prodotti dell’IA, essa continua a svilupparsi e produrre nuove scoperte in modo spettacolare.
Conclusioni
Se secondo le norme in vigore oggi appare impossibile consentire l’attribuzione di un brevetto per le invenzioni realizzate da sistemi di intelligenza artificiale, la decisione dell’Ufficio europeo dei brevetti permette di (ri)accendere il dibattito sul futuro della legislazione sui brevetti a riguardo dell’evoluzione tecnologica e dell’espansione dell’intelligenza artificiale.
Autorevoli autori, tra cui i membri del progetto The Artificial Inventor in prima fila, suggeriscono di distinguere i concetti di “inventore”, il quale potrebbe risultare essere un algoritmo, e di “proprietario” che deve rimanere una persona (fisica o giuridica), basandosi su uno schema simile ai casi in cui le invenzioni di impiegati appartengono alle aziende che le impiegano. Inoltre, “l’attuazione di un regime che attribuisce la proprietà delle invenzioni di intelligenza artificiale a una persona sarebbe più semplice rispetto quello equivalente applicato ai dipendenti, in quanto non comporta una preoccupazione per un risarcimento o una controversia sul fatto che un’invenzione è stata generata nel contesto della pratica professionale.”[5]
Altri, invece, sostengono che il prodotto finale realizzato da l’intelligenza artificiale dipende sempre dal modo in cui è stata impostata sin dalla progettazione e che essa non è pertanto idonea a vedersi conferito lo status di inventore.
In conclusione, che si sostenga l’una o l’altra tesi, il deposito della richiesta di brevetto per le invenzioni di DABUS ha il merito di rilanciare il dibattito. E forse, più del rilascio di un brevetto, era proprio questo lo scopo che i ricercatori del progetto The Artificial Inventor intendevano perseguire.
Avv. Marco Martorana
Dott. Lucas Pinelli, Studio legale Martorana – Vice President for Marketing, ELSA Belgium
- Valentin Cimino, “L’Office européen des brevets rejette deux demandes dont l’inventeur était une intelligence artificielle”. ↑
- Ryan Abbott, “The Artificial Inventor Project”, WIPO Magazine,. ↑
- . ↑
- Noam Shemtov, “A study on inventorship in inventions involving AI activity”, Study commissioned by the European Patent Office, February 2019, p. 20. ↑
- Jonathan Solomon, “Pouvons-nous accorder une protection par brevet à de nouvelles idées conçues par l’intellignece artificielle ?”. ↑