All’esito di un confronto pubblico durato quasi un anno, la Commissione nazionale per le società e la Borsa (Consob), l’Autorità deputata alla regolamentazione del mercato mobiliare e alla tutela degli interessi degli investitori, ha pubblicato in data 2 gennaio il Rapporto Finale in tema di offerte iniziali e scambi di cripto-attività, ossia quelle particolari forme di crowdfunding attuate mediante l’emissione e successiva offerta al pubblico di valori virtuali (token) registrati digitalmente su registri distribuiti. Un rapporto che cerca di rispondere ad alcuni interrogativi in materia, che è interessante approfondire.
Il percorso normativo
Il percorso di sensibilizzazione normativa sul tema delle cripto-attività da parte della Consob ha preso le mosse a marzo 2019, con la divulgazione di un apposito “Documento per la discussione”, al fine di promuovere un confronto pubblico proprio sulla tematica degli investimenti in criptovalute. Ad esso è seguita una audizione pubblica che ha visto la partecipazione di oltre 200 stakeholder. La consultazione si è chiusa il 5 giugno 2019 con 61 risposte pervenute (tra esponenti del mondo accademico, associazioni di categoria, operatori di mercato, studi legali e professionali e persone fisiche).
Con il Rapporto appena pubblicato viene fornito un riscontro sulle questioni emerse dall’analisi delle risposte alla consultazione. Il tutto in un momento cruciale della diffusione e dell’evoluzione del fenomeno delle ICOs, sempre più sotto la lente dei regolatori europei e internazionali, come confermato di recente dalla specifica regolamentazione adottata in Francia e dall’emanazione delle linee guida da parte della americana SEC (Security and Exchange Commission, che ha pubblicato il Framework for “Investment Contract” Analysis of Digital Assets lo scorso aprile), nonché dall’attività svolta a livello comunitario dall’ESMA (l’organismo che sovrintende alle Authority finanziarie europee), diretta alla definizione di un quadro regolamentare condiviso per l’intero settore.
Il contesto: ICOs, criptovalute, criptoattività, tokenizzazione degli asset
L’espressione Initial Coin Offering, inizialmente attribuita alle emissioni di cripto-valute (es. Bitcoin, Ethereum), è oggi è utilizzata per identificare qualsiasi offerta di token, non necessariamente costituenti una cripto-valuta ma incorporanti diritti vari, che possono essere acquisiti dietro corrispettivo sia di valuta a corso legale sia di cripto-valuta. Le ICO possono quindi essere identificate con operazioni di raccolta di capitali realizzate mediante creazione (emissione) e successiva offerta al pubblico di token basati su DLT acquistabili normalmente con cripto-valute o con moneta fiat, finalizzati all’accesso a servizi e prodotti variegati. La criticità di tali offerte è dovuta al fatto di promuovere veri e propri investimenti, sia perché i token sono spesso negoziati su mercati secondari, sia perché possono configurarsi similmente a “strumenti finanziari” o “prodotti finanziari” e ciò considerate le aspettative di rendimento – esplicitamente o meno dichiarate dagli emittenti – che possono motivare gli investitori/acquirenti di token.
Sono proprio questi tratti distintivi che avvicinano “pericolosamente” le ICO a raccolte di capitali coperte dalla riserva di legge, avente ad oggetto la disciplina dei servizi e attività di investimento, del prospetto informativo nonché della promozione e del collocamento a distanza. Di qui la necessità, colta da Consob e ancora prima dai legislatori di Paesi come la Svizzera, la Francia e la Germania, di regolare la fase dell’offerta e garantire la tutela degli investitori, attraverso un particolare regime normativo che deroghi al sistema regolamentare ordinario proprio dei prodotti finanziari.
Il documento per la discussione del 19 marzo 2019
Nel documento pubblicato lo scorso marzo, l’attenzione della Consob si è incentrata in particolare sui possibili approcci regolatori della materia. Nello specifico, la prima parte contiene una descrizione del fenomeno di diffusione delle ICO e dei suoi aspetti tecnologici, finanziari e giuridici, nonché un’analisi comparatistica delle iniziative al riguardo intraprese in altri Stati Europei; nella seconda parte viene proposta una definizione di cripto-attività, delineata secondo quelli che si presentano come gli elementi costitutivi; nella terza parte viene delineato un approccio regolatorio rispetto alle offerte di cripto-attività in sede di prima emissione, incentrato sul ruolo delle piattaforme per la loro promozione; infine viene proposta una disciplina per la successiva fase di negoziazione delle cripto-attività, imperniata sul ruolo degli organizzatori dei sistemi di scambio. Il documento include inoltre 15 quesiti rivolti agli stakeholders.
Lo scopo è proporre una regolamentazione delle offerte di token che presentano alcune caratteristiche degli investimenti finanziari attraverso la creazione di una categoria ad hoc diversa da quella dei prodotti finanziari. Al fine di non adottare schemi normativi troppo restrittivi, non idonei a tenere conto dell’evoluzione del fenomeno, la Consob ha proposto l’introduzione di un sistema di c.d. opt-in, sulla base del quale chi intenda svolgere un’offerta iniziale di cripto-attività può aderire o meno alle nuove regole. Qualora il soggetto scelga di assoggettare l’offerta al framework normativo, i potenziali investitori godranno di maggiori tutele, sia per i controlli posti a monte ai fini della promozione dell’offerta stessa sia per i compiti di vigilanza espletati dall’Autorità, elementi invece assenti nel caso in cui l’offerta sia veicolata tramite canali diversi.
La Consob ha inoltre proposto delle soluzioni relative alla fase di scambio delle cripto-attività, successiva alla fase di prima emissione (ossia il mercato secondario). Ad oggi i cosiddetti exchange non sono destinatari di una regolazione specifica (salva l’applicazione della disciplina a contrasto del riciclaggio del denaro nei casi previsti dalla legge) e dal documento Consob emerge la difficoltà di applicare, de plano, l’impianto normativo previsto dalle normative MIFID II e MIFIR per gli scambi di token non assimilabili agli strumenti finanziari. In tale ottica, anche per la fase di scambio il documento ha proposto un regime facoltativo di opt-in, a cui gli exchange possono decidere di sottoporsi, tramite iscrizione in un apposito albo. Il sistema di “doppio opt-in” consentirebbe, secondo la Consob, di fornire maggiori tutele ed un regime giuridico certo agli operatori, risultandone una maggior affidabilità delle ICO gestite tramite le piattaforme autorizzate e degli scambi di criptovalute per quelle iscritte nell’albo.
Il Rapporto del 2 gennaio 2020: contenuti e obiettivi
Cosa sono le ICO, e in cosa differiscono rispetto alle offerte di strumenti finanziari tradizionali? Tali strumenti possono essere ricondotti alla disciplina già in vigore, oppure è necessario creare una nuova categoria normativa? Qual è la definizione di “wallet” digitale, e quali regole si applicano a chi fornisce questi servizi? Cosa caratterizza le piattaforme dove sono offerte le nuove attività digitali (ICO)? Su quali basi articolare il loro scambio? Il Rapporto cerca di dare risposta a tali interrogativi, ponendosi come “contributo al dibattito, elaborato in vista dell’eventuale definizione di un regime normativo in ambito nazionale che disciplini lo svolgimento di offerte pubbliche di cripto-attività e delle relative negoziazioni”. In esso l’Autorità dà atto delle posizioni di maggior rilievo emerse nel corso dell’audizione pubblica, sottolineando alcune delle criticità di cu tener conto nell’elaborazione della futura disciplina.
Alla luce della pluralità di voci e dei contrapposti interessi, diviene infatti rilevante – secondo la Commissione – tracciare “una disciplina specifica idonea a fornire un nuovo quadro di riferimento per operatori e investitori”, che integri il Testo unico della finanza e la direttiva Ue sugli investimenti. Il rapporto chiarisce innanzitutto gli aspetti definitori delle cripto-attività ai fini della normativa proposta, soffermandosi poi sul regime delle piattaforme per l’offerta di cripto-assets di nuova emissione, sui sistemi di scambi, nonché sui cosiddetti “servizi di portafoglio digitale” per la custodia e il trasferimento delle cripto-attività. L’obiettivo è individuare possibili soluzioni normative per disciplinare quelle cripto-attività non assimilabili agli strumenti finanziari e che pertanto richiedono una disciplina specifica idonea a fornire un nuovo quadro di riferimento per operatori e investitori.
Come rilevato, la natura e la funzione dei token, gli asset digitali offerti con le ICOs, e la loro offerta al pubblico inducono similitudini con “strumenti finanziari” o “prodotti finanziari”, avvicinando le ICOs alle raccolte di capitali coperte dalla riserva di legge e quindi dalla disciplina dei servizi e attività di investimento, del prospetto informativo nonché della promozione e del collocamento a distanza. Da qui l’intervento della Consob che, al fine di garantire la tutela dell’investitore, ha inteso disegnare una sandbox, in deroga al sistema regolamentare ordinario dei prodotti finanziari che, in presenza di tutta una serie di elementi, potrebbe garantire una disciplina semplificata. Opportunamente, la Commissione è partita dalla definizione degli asset digitali oggetto di ICOs (definiti come cripto-attività), per poi individuare la tipologia di operatori preposti alla emissione e offerta, nonché alla negoziazione delle “cripto-attività”.
La definizione di cripto-attività
Segnatamente, le cripto-attività sono definite come:
- rappresentazione digitale di diritti connessi a investimenti in progetti imprenditoriali;
- emesse, conservate e trasferite mediante tecnologie basate su registri distribuiti,
- nonché negoziate o destinate a essere negoziate in uno o più sistemi di scambi.
Ad una prima analisi sembra che la Commissione abbia confermato l’impostazione basata su un doppio livello regolamentare (legato all’emissione di token ed alla successiva circolazione) sulla falsariga del modello regolatorio del crowdfunding. I partecipanti alla consultazione hanno per lo più condiviso l’ambito oggettivo proposto nel Documento per la discussione, ritenendo superflua la creazione di una nuova normativa. Una novità rilevante rispetto al documento di marzo 2019 è la creazione di figure di gestori di portafogli digitali vigilati dalla Consob. A tal fine, la proposta di regolamentazione potrebbe essere integrata introducendo la definizione dei “servizi di portafoglio digitale” ed individuando i requisiti che i fornitori di tali servizi dovrebbero soddisfare, qualora decidessero di avvalersi del regime di opt-in, per essere iscritti in un apposito registro, tenuto dalla Consob. Tra le questioni degne di nota occorre richiamare all’attenzione quella relativa alla definizione di “cripto-attività” rilevante ai fini dell’applicazione della futura disciplina.
Nel Documento per la discussione l’Autorità considerava tali le «registrazioni digitali rappresentative di diritti connessi a investimenti in progetti imprenditoriali […] create, conservate e trasferite mediante tecnologie basate su registri distribuiti, [che consentono] l’identificazione del titolare dei diritti relativi agli investimenti sottostanti». Il Rapporto finale, nel confermare l’originaria impostazione contiene alcune importanti precisazioni. Anzitutto viene confermata la centralità del riferimento ai progetti imprenditoriali che varrebbero a distinguere le ICOs in senso proprio dalle altre forme di offerta di token. Sul punto l’Autorità tiene a precisare che l’inquadramento regolamentare non riguarda le operazioni di «mera tokenizzazione di diritti connessi con il trasferimento di beni mobili o immobili o parti di essi (es. diritti connessi con la proprietà di opere d’arte, immobili)», vale a dire i c.d. asset token la cui offerta nulla ha a che vedere con la disciplina di futura emanazione.
In secondo luogo, la Commissione accoglie appieno la proposta di alcuni interlocutori di espungere dalla definizione di cripto-attività il riferimento alla identificazione del titolare dei diritti relativi agli investimenti sottostanti «attenendo eventualmente tale aspetto ad una successiva fase di verifica da parte degli operatori coinvolti più che a profili distintivi sul piano classificatorio». La scelta della Consob appare condivisibile poiché – come avevamo evidenziato nel Parere reso in sede di consultazione – sarebbe arduo ipotizzare una intrinseca “capacità” del token di individuare il titolare dei diritti (rimessa eventualmente ai titolari delle piattaforme di cambio e ai gestori dei servizi di portafoglio). Sulla scorta di un tale rilievo, la nozione inizialmente coniata restringeva eccessivamente il campo di applicazione disciplina, ponendosi in controtendenza rispetto agli obiettivi della futura regolazione.
Appare inoltre meritevole di favore la decisione di non tagliare fuori dal virtuoso circolo regolamentato le blockhain c.d. “permissionless”, nonché i sistemi “decentralizzati”. Come avevamo approfondito in sede di consultazione l’apertura a tali infrastrutture offre (apparentemente) maggiori garanzie di immodificabilità e di sicurezza delle informazioni registrate in blockchain, senza che ciò sollevi peraltro alcun problema sul piano dell’anonimato, poiché alle piattaforme di offerta e di scambio dovrebbe comunque essere imposto l’obbligo di identificare le parti coinvolte nelle scambio. Al riguardo l’Autorità ritiene preferibile seguire «un approccio neutro da un punto di vista tecnologico», non precludendo aprioristicamente la possibilità che i sistemi di scambio basati su specifici modelli e tecnologie possano beneficiare del regime normativo in esame.
Gli aspetti critici
In generale, può esprimersi un giudizio positivo sulle modalità con cui la Commissione ha avviato la discussione in un settore di sempre maggiore rilevanza ed attualità, nonché, nel merito, sulle modalità di regolazione adottata, che non contempla scelte rigide e predefinite, ma consente agli operatori di assoggettarsi volontariamente a regole più stringenti, allo scopo di dare maggiori tutele al pubblico degli investitori. L’auspicio è che la strada così aperta porti ad una compiuta – e prossima – regolamentazione, che ampli il perimetro della sandbox, così da consentire all’Italia l’ingresso nel mercato mondiale delle ICO.
Si tratta evidentemente di un percorso complesso, che non potrà prescindere dalla definizione di un chiaro framework normativo in materia di blockchain e smart contract (sui cui si resta ancora in attesa delle linee guida AGID), dall’integrazione sistematica con la normativa civilistica, nonché dall’adeguamento del mercato dei capitali alle nuove istanze tecnologiche in un contesto di respiro globale. Occorre tuttavia dar conto di alcune problematiche irrisolte, già portate all’attenzione della Commissione in sede di consultazione pubblica. Anzitutto, il Rapporto non fornisce alcuna indicazione precisa sui limiti esterni della nozione di “cripto-attività finanziaria” rispetto a quella di “strumento finanziario” di matrice comunitaria. Non convince, in particolare, la scelta di rimettere l’esegesi della definizione a un «giudizio di comparabilità per individuare le ipotesi in cui le caratteristiche di un crypto asset […] portino a ritenere la sussistenza di caratteristiche di stringente analogia» con le diverse tipologie di strumento finanziario. Impostazione che appalesa un condivisibile timore di straripamento di competenze nell’elaborazione di una definizione che, forse, avrebbe dovuto essere sin dal principio formulata in altra sede.
Tuttavia, pur nella consapevolezza delle enormi difficoltà classificatorie e della delicatezza della materia oggetto di consistenti misure di armonizzazione, riteniamo che l’Autorità avrebbe potuto meglio chiarire (sulla scia dell’impostazione adottata dalla SEC) i presupposti (o, meglio, gli indici sintomatici) di rilevanza finanziaria delle operazioni di emissione e scambio di token. Fornendo non già un’analisi casistica ma una griglia puntuale di criteri interpretativi per guidare il mercato. Allo stesso modo, con riferimento a quei valori che integrano la nozione domestica di “prodotto finanziario”, resta del tutto imprecisato come debba interpretarsi il concetto di “rendimenti di natura finanziaria” in relazione a quegli asset dalla natura spesso ibrida.
Ciò introduce un margine di incertezza notevole, che potrebbe frustrare lo scopo ultimo della codificazione di una categoria ad hoc, distinta dai prodotti finanziari. Sempre sul piano definitorio, l’Autorità avrebbe dovuto definire con chiarezza cosa si intende per diritti connessi a investimenti in progetti imprenditoriali, locuzione decisamente ampia nella quale potrebbe rientrare qualsiasi tipologia di token emessa nell’esercizio dell’impresa (anche priva di connotato speculativo). Non può pertanto ritenersi sufficiente la scelta della Commissione di «non vincolarsi a definizioni precostituite, potendo trattarsi di progetti in uno stato embrionale così come di attività in uno stato di maggiore avanzamento, che possono essere portate avanti tanto da network di sviluppatori (come tipicamente avviene nell’ecosistema Fintech) quanto da imprese che assumono una tradizionale forma societaria». Il chiarimento sembra voler attrarre al regime di favore quanto più possibile, guardandosi bene dall’entrare nell’alquanto scivoloso terreno della qualificazione soggettiva dell’emittente. Eppure, tale impostazione non soltanto non risolve il dubbio sul (possibile) assoggettamento al regime di opt-in di quei valori non destinati alla negoziazione su piattaforme di scambio, ma comunque emessi con finalità di finanziamento dell’impresa. Ancora di più rischia di creare rotture tra la disciplina settoriale di cui la Consob è guardiana e quella di diritto sostanziale che con la prima deve necessariamente armonicamente dialogare. Verrebbe, così, da chiedersi se presentano natura finanziaria quei crypto asset emessi da reti orizzontali e come vada declinata la loro finanziarietà.
Conclusione
Si auspica dunque che il virtuoso dialogo con gli stakeholder privati possa avere seguito anche quando, nel prossimo futuro, l’encomiabile iniziativa della Consob verrà tradotta in una vera e propria proposta regolamentare, che si traduca traendo spunto dal rinomato statalismo à la francaise in un emendamento del TUF che anticipi e faccia da preludio a eventuali misure di aggiornamento della legislazione europea.