Se sappiamo qualcosa di più su come l’innovazione cambia la nostra società ed economia lo dobbiamo anche a lui. Clayton M. Christensen, scomparso alcuni giorni fa dopo una lunga malattia, è l’accademico statunitense i cui studi hanno segnato i passaggio netto tra la fase storica della ricerca sperimentale dell’innovazione e quella di una vera e modellizzata “industria” dell’innovazione su scala globale.
Questo gigante del pensiero ha codificato il come e perché delle grandi trasformazioni fondate sulla tecnologia osservando e descrivendo schemi e principi intorno a cui si trasforma la nostra società e – di conseguenza – l’economia.
Clayton Christensen, professore con cattedra ad Harvard dai modi semplici e gentili, capace di incantare qualsiasi platea grazie al suo uso magistrale delle analogie e metafore per spiegare fenomeni complessi, ha enunciato e fissato fin dagli anni ‘90 i principi dell’economia dell’innovazione, cioè le basi su cui poi si sviluppano ed articolano tutte le metodologie del venture business, con i suoi primi best seller “The Innovator’s Dilemma” e “The Innovator’s Solution”, il primo focalizzato sul definire la differenza tra innovazione evolutiva e di interruzione, il secondo su come perseguire la disruption.
Benché sia impossibile anche solo tentare di sintetizzarne il pensiero in un articolo, è importante rimarcare il fatto che si tratta dello studioso che meglio ha definito le basi dell’innovazione nell’economia e della sua adozione nella società. È un po’ come se avesse definito i principi fisici e i paradigmi di una nuova scienza mai identificata prima, e su cui poi decine di altri autori hanno successivamente costruito le teorie applicative e gli schemi che tutti gli attori dell’innovazione hanno poi diffuso ed imparato nell’ultimo ventennio.
Si può dire che l’accademico, che è quasi riduttivo definire economista, abbia avuto un’influenza fondamentale sia sugli studi di management e impresa di questo inizio di millennio che, sotto certi punti di vista, sulla intera società umana, sintetizzando per primo concetti che oggi sono alla base dei fenomeni di trasformazione sociale favoriti dalla tecnologia che vengono ormai studiati ed insegnati ovunque.
Il tributo di Harvard Business Review
Harvard Business Review, insieme al tributo e saluto di un suo stretto collaboratore, gli dedica una pagina con i link ai suoi articoli più rilevanti: The Essential Clayton Christensen Articles, ma la verità è che tutta l’opera di questo incredibile maitre-a-penser merita una rivalutazione e l’ampia celebrazione che gli è mancata in vita dal grande pubblico internazionale – ma non certo tra gli accademici e la comunità degli innovatori – probabilmente a causa della immensa semplicità e modestia dell’uomo, che credeva nel miglioramento continuo degli individui come mattoni fondamentali della società e dell’economia, grazie all’innovazione. Inoltre, soffrendo di problemi di salute già da un decennio, limitava la sua presenza sulla scena degli eventi, e si sa che lo show business tende a glorificare solo chi ne alimenta il circo mediatico piegandosi ai suoi cerimoniali, cosa che non corrispondeva di certo al profilo di questo fisicamente gigantesco uomo gentile che si trovava più a suo agio al tavolo di un fast-food con i suoi collaboratori e studenti, che in una cena di gala.
Le innovazioni di interruzione
Clayton – Clay – M. Christensen è il primo ad aver definito le innovazioni di interruzione, cioè la cosiddetta disruption, distinguendole dalle innovazioni evolutive e non trasformative, concetto che è oggi imprescindibile in qualsiasi industria e settore. Fin dagli anni ’90, inoltre, ha definito tutti i paradigmi alla base del perché una grande azienda rischia di fallire se non coltiva processi di disruptive innovation al suo esterno, anche se la narrativa dà il merito di ciò a chi ha solo coniato il termine “open innovation” almeno quindici anni dopo, aprendo un filone che di nuovo aveva solo la comunicazione.
Tutto ciò che è stato definito da Christensen pone anche le basi per il venture business “industriale”, cioè quel modello iterativo di investimento in tentativi di impresa trasformativi e con investimenti crescenti che hanno successivamente schematizzato e descritto i vari guru del movimento startup, cioè i vari Steve Blank, Peter Thiel, Eric Ries, Brad Feld, Paul Graham. Il lavoro sviluppato da questi ultimi altro non è che la definizione di modelli e principi che si basano sulle intuizioni e teorie di questo studioso declinandole nella direttrice specifica di come creare nuove imprese di successo.
Pur se spesso non letti dall’onda di nuovi e giovani “innovatori”, i libri di Christensen sono testi fondamentali per chi pensa di voler approcciare il mondo dell’innovazione comprendendone l’essenza, peraltro descritta con una semplicità narrativa disarmante, sia per quanto riguarda la costruzione e valorizzazione dell’innovazione in sé, sia sotto l’aspetto altrettanto fondamentale del come e perché l’innovazione venga adottata da chi la acquista. La sua “Jobs Theory” è alla base della formulazione della domanda “quale problema risolvi” che viene obbligatoriamente posta ad ogni imprenditore che ritiene di aver avuto un’idea che meriti di essere sviluppata in una startup.
Teorie economiche e vita quotidiana
Ma la figura di questo Professore va anche analizzata sotto il profilo della sua notoria gentilezza e bontà d’animo, nonché sul messaggio di equilibrio verso la vita che aveva iniziato a veicolare dopo aver iniziato ad affrontare i suoi problemi di salute quando, nella primavera del 2010, tenne un discorso ai laureandi della Harvard Business School in cui fece un bilancio della propria esistenza. Con la scrittura di “Fare i conti con la vita”, titolo che immeritatamente fa pensare ad uno di quelle centinaia di manualetti sull’autostima da edicola dell’aeroporto, diede luce ad una opera itensa sul senso delle scelte che le persone compiono ogni giorno e sul valore che gli individui danno a ciò che fanno. Partendo dall’analizzare i percorsi di vita dei suoi compagni di scuola e dalla constatazione che tutti partono con l’obiettivo di avere un’esistenza serena, ricca di soddisfazioni nel lavoro e nella sfera privata, ma che all’evidenza dei fatti solo pochi riescono a raggiungerlo, Christensen ipotizza che gli insuccessi dipendano dalla mancanza di una buona strategia nel far fronte ai problemi che di volta in volta ci si presentano lungo il percorso. E suggerisce che le teorie economiche più moderne ed efficaci, che hanno consentito ad alcune società di affermarsi nel mercato globale, spesso si possono applicare con indiscutibili vantaggi anche alle piccole scelte della vita quotidiana.
Il problema della povertà globale
Infine, Christensen è riuscito ad affrontare magistralmente persino il problema della povertà globale, con “The Prosperity Paradox”, testo in cui suggerisce che la maggior parte degli schemi top-down attuati dai paesi avanzati per migliorare la crescita economica di paesi svantaggiati fossero sbagliati, perché basati semplicemente sull’immissione di aiuti economici unita alla speranza che qualcosa cambiasse. Applicando le sue analisi e le sue teorie, ha suggerito come superare i limiti di questo approccio sostituendolo invece con l’introduzione di un framework di crescita economica basato sull’imprenditoria e su innovazioni che creino nuovi mercati. Una teoria che costituisce una utile guida per fare del mondo un luogo più prospero e conseguentemente più equo ed inclusivo, con spunti e teorie che farebbero bene a molti governanti soprattutto del nostro paese dove la visione della spartizione dell’esistente sovrasta qualsiasi tentativo di scoccare scintille nella direzione del creare nuovo valore.
Grazie di tutto, Professore.