le norme

Crisi di impresa e ruolo dei professionisti: cosa dice il nuovo Codice (CCI)

Le misure di allerta e l’organismo di composizione della crisi sono i pilastri su cui si fondano le nuove norme volte a far emergere prima e comporre poi la crisi di impresa. Gli obiettivi della riforma, la cui entrata in vigore è stata rinviata al 2021, dovranno però misurarsi ora con gli effetti della pandemia

Pubblicato il 11 Giu 2020

Stefano Toro

avvocato d'affari, consulente e startupper

impresa digitale

L’entrata in vigore del nuovo codice della crisi di impresa (CCI), originariamente prevista per il 15 agosto 2020 è stata rinviata (nella parte non ancora operativa) al 1 settembre 2021.

Le considerazioni che seguono possono ancora essere considerate una valida guida per comprendere lo spirito della riforma nel suo complesso e fornire una base per esaminare le modifiche che potranno essere introdotte nei prossimi mesi.

Il nuovo codice della crisi di impresa (CCI)

Il nuovo codice della crisi di impresa (CCI) si pone l’obiettivo di rendere più efficaci le procedure fallimentari (al fine di consentire il salvataggio delle imprese in crisi, laddove possibile, ovvero di ricavare la maggiore soddisfazione per i creditori) e, per far questo: da un lato definisce in modo chiaro lo “stato di crisi”, nettamente distinto dall’insolvenza; dall’altro introduce un istituto del tutto nuovo: la composizione assistita della crisi stessa.

Ciò sul presupposto che solo attraverso l’emersione tempestiva dello stato di crisi è possibile gestire in modo efficace tale delicata situazione: essa è critica per l’impresa, anche e soprattutto in funzione del fatto che la “pubblicità” di tale stato ne provoca inevitabilmente un possibile aggravamento, ma anche in considerazione del fatto che, se affrontata tempestivamente, ci sono maggiori possibilità di risolverla (ovvero maggiori strumenti per salvaguardare l’impresa e/o gli assets che la compongono).

Per far emergere lo stato di crisi la riforma introduce nuovi obblighi (sia per l’imprenditore, sia per altri soggetti) e nuovi strumenti (alcuni ben noti, ma non obbligatori; altri del tutto nuovi: denominati “strumenti di allerta” di cui agli artt. 12-15 CCI), quali:

  • l’adeguato monitoraggio, da parte dell’imprenditore, dello stato di salute dell’azienda attraverso l’adozione di un “adeguato assetto organizzativo” ovvero di “misure idonee”, al fine di rilevare tempestivamente lo stato di crisi (art. 3);
  • la responsabilizzazione dell’azione dell’imprenditore (art. 375 che modifica l’art. 2086 c.c., nonché gli artt. 377 e 378)
  • gli obblighi di controllo (dell’adeguato assetto organizzativo, dell’equilibrio economico finanziario, della continuità aziendale), in capo agli organi societari ad esse deputati (art. 14);

Una volta emersa, la crisi (può) deve essere affrontata: in modo riservato, disponendo di informazioni sufficienti e qualificate sullo stato di salute dell’impresa, ovvero attraverso la “collaborazione” di un organismo terzo (l’OCRI) rispetto all’impresa e il confronto con i creditori. Ciò al fine di pervenire, auspicabilmente, alla composizione della crisi

L’OCRI (organismo di composizione della crisi) di cui all’art. 16, è l’altro pilastro, insieme alle procedure di allerta, sul quale si fonda l’architettura disegnata dalla riforma per far emergere prima e comporre dopo la crisi di impresa.

Tutte le parti in causa: imprenditore/debitore, creditori, organi di controllo (interni ed esterni) ed organismo di composizione della crisi devono collaborare per trovare una soluzione.

L’adozione di un “assetto organizzativo adeguato”

Nell’ambito degli strumenti di allerta, un ruolo centrale viene riservato alla predisposizione da parte dell’imprenditore (individuale o collettivo) di “misure idonee” ovvero di un “assetto organizzativo adeguato” a rilevare tempestivamente lo stato di crisi. Per comprendere meglio il modello delineato dalla riforma appare opportuno concentrare l’analisi, innanzitutto, su di esse.

In cosa consiste l’adeguato assetto organizzativo?

Il nuovo codice della crisi (art. 375 CCI) indica il risultato che la norma vuole perseguire (prevenire la crisi), ma lascia al destinatario della norma la scelta della modalità per ottenerlo (“misure idonee”, “assetto organizzativo adeguato”).

Tale approccio non è nuovo (essendo già presente, per citare alcuni casi: nel d. lgs. 231/2001 (che ha introdotto nel nostro ordinamento la responsabilità “penale” delle persone giuridiche in assenza di un modello idoneo alla prevenzione del reati da parte dei dipendenti) e, da ultimo, nel GDPR (dove è esplicito il riferimento alla privacy “by design”)), ma è sicuramente innovativo se applicato, all’interno del diritto fallimentare, non tanto alla imprese medio grandi (che in Italia sono un numero ridotto), ma alle piccole imprese (termine qui da intendersi riferito non tanto al fatturato ma alla complessità dell’assetto organizzativo).

La novità riguarda più ambiti:

  • gli imprenditori;
  • i professionisti;
  • gli organi di controllo, in primis sindaci e revisori

Ciascuno di essi è già da tempo investito, a vario titolo, delle problematiche sottese alla tempestiva emersione della crisi.

Per i primi il raggiungimento della finalità della norma si scontra con la loro scarsa attitudine e volontà di dotarsi di strutture organizzative più complesse e più “manageriali”: non di rado la piccola impresa vede solo un uomo al comando (l’imprenditore), assistito da uno o più professionisti, senza alcuno strumento qualificato di controllo di gestione.

Per i professionisti (che sono i primi “consiglieri” dell’imprenditore) il maggior problema non è individuare (attraverso strumenti ed indici di analisi ormai diffusi ed efficaci) i segnali di crisi in modo tempestivo, quanto fornire all’imprenditore un supporto per le decisioni che possono/devono essere prese in conseguenza di tali segnali: il professionista non ha (e non può/vuole avere) tutte le informazioni rilevanti (essendo i dati economici che analizza una fotografia parziale delle problematiche dell’imprenditore) e, in assenza di “collaborazione” con l’imprenditore, può al più cercare di interagire con le figure chiave dell’azienda (diverse dall’imprenditore) per “suggerire” gli scenari che si prefigurano. Tale minore “peso” corrisponde ad una minore responsabilità.

Gli organi di controllo, quando esistono, hanno un ruolo circoscritto (sebbene abbiano maggiori responsabilità dei professionisti connesse al fatto che possono accedere ad informazioni più qualificate) e, normalmente, possono incidere solo a posteriore sulle scelte fatte o programmate dall’imprenditore.

In che senso, quindi, le nuove norme intendono modificare il quadro sopra descritto, innovare il ruolo di ciascuno degli attori e consentire, in modo più efficace di prima, di raggiungere lo scopo che il legislatore si è prefissato: far emergere prima lo stato di crisi ed utilizzare strumenti più efficaci per risolverla?

Ed in che modo l’imprenditore può essere dotato di strumenti efficaci, ma non troppo complessi ovvero costosi per la piccola impresa e per di più adattabili (in scale diverse) ad ogni realtà economica e produttiva?

Questa è la sfida e per vincerla il legislatore ha introdotto il concetto di “assetto organizzativo”: che è come dire struttura aziendale, organizzazione, strumenti di controllo della gestione in un unico contesto integrato. Non che tale concetto non fosse già presente, ma averlo previsto esplicitamente nelle norme cui si fa riferimento (art. 3 e 375 del CCI e art. 2086 cc. Riformato), impone agli operatori economici, ai professionisti e agli interpreti un notevole cambio di passo.

Se prima gli attori indicati potevano muoversi separatamente, nel rispetto dei loro ruoli ed in funzioni dei loro poteri e responsabilità, ora devono agire in concerto con lo scopo di prevenire la crisi (o affrontarla in modo tempestivo ed efficace, con l’ausilio di soggetti esterni all’impresa: con ciò raggiungendo l’obiettivo che le norme gli indicano).

Ma le norme introducono un secondo concetto e cioè che l’”assetto organizzativo” (nel caso dell’impresa collettiva) ovvero le “misure” (nel caso dell’imprenditore individuale) di rilevazione dello stato di crisi devono essere “adeguate/idonee”.

In questo secondo concetto si rinviene il richiamo ad un modello “by design” delle soluzioni che l’imprenditore, con l’ausilio dei professionisti/consulenti, deve realizzare non solo e non tanto per rispettare la norma, ma soprattutto per fornire, a sè stesso e ai suoi collaboratori, uno strumento efficace per cogliere prima e per interpretare meglio i segnali di difficoltà: ciò permetterà all’imprenditore, con maggiore probabilità, di individuare possibili soluzioni.

Assetto organizzativo “by design”

L’approccio innovativo che dovrebbe adottare l’imprenditore prevede l’utilizzo di strumenti concettuali propri del design, nel senso che lo strumento appena introdotto (così come un oggetto che ha una funzione) per come viene “disegnato” contiene in sé una caratteristica ovvero impone uno specifico modo d’uso che (separatamente o congiuntamente all’oggetto stesso) facilitano il raggiungimento dello scopo (cui lo strumento è destinato)

Questo è quello che è successo con la normativa sulla responsabilità penale delle persone giuridiche (d. lgs. 231/2001), che si è negli anni “riempita” di nuovi contenuti (le fattispecie dei c.d. “reati presupposto”) e si è adattata all’evolversi dei modelli organizzativi delle (grandi) imprese.

La normativa persegue uno scopo diretto ed uno, altrettanto importante, indiretto: il primo è la distinzione della responsabilità della persona fisica (dipendente di una società) che commette un reato, dalla responsabilità della società (per il reato commesso dal proprio dipendente); il secondo è la prevenzione dei reati.

Lo strumento per perseguire entrambi gli obiettivi (diretti ed indiretti) è un “modello”, che deve consentire di individuare i soggetti coinvolti nel comportamento “pericoloso” (dipendenti “infedeli” che non rispettano le regole/processi aziendali).

A tale modello (e a quello, nella forma del tutto simile, previsto dal GDPR) si aggiunge quello previsto dal codice della crisi in tema di allerta (che l’imprenditore può/deve integrare con gli altri due) che – come i precedenti – persegue due finalità diverse e complementari.

La prima, come si è detto, è quella di prevenire la crisi attraverso una precoce emersione dei segnali della crisi stessa: si è scelto di inserire strumenti nuovi (ovvero un diverso “assemblaggio” di strumenti già presenti nelle realtà aziendali più grandi, ma considerati “facoltativi” nelle piccole e medie imprese), rimettendo agli operatori economici la scelta della “personalizzazione” di tali strumenti, purchè idonei al raggiungimento dello scopo.

La seconda è quella, attraverso l’utilizzo del modello, di gestire in modo più efficiente l’impresa (non solo, quindi, al fine di scorgere prime le avvisaglie della crisi ma soprattutto per perseguire e raggiungere lo scopo per cui l’impresa stessa è stata fondata).

La previsione (normativa e non più solo su base volontaria) di un modello (nel senso prima indicato che corrisponde, nella norma, all’ “assetto organizzativo”) adeguato, sia nel senso di adatto e sostenibile per una piccola impresa, sia nel senso di idoneo per gli scopi previsti dal codice, ha un duplice scopo:

  • sotto un primo profilo: attraverso un uso corretto del modello e degli strumenti dell’allerta, (sotto la responsabilità e il controllo dell’imprenditore e degli organi indicati dal nuovo codice della crisi) prevenire la crisi ed intervenire in modo tempestivo;
  • sotto un secondo e più importante profilo: attraverso la predisposizione del giusto assetto rispetto alle dimensioni e alla complessità di gestione dell’impresa, perseguire in modo più efficace lo scopo dell’impresa.

Da un lato, quindi, se l’imprenditore – “gravato” da nuovi obblighi (adeguato monitoraggio dell’assetto organizzativo e costretto a dotarsi di (nuovi) strumenti (c.d. strumenti di allerta) – è in grado di prevenire o circoscrivere la crisi ovvero può gestirla, egli limita i danni per sé e per tutti gli altri stakeholders.

Dall’altro egli può, attraverso gli stessi strumenti, idonei dal punto di vista funzionale a migliorare la gestione dell’impresa, produrre migliori risultati economici, con un impatto positivo più ampio non solo sui propri soci ma anche e soprattutto sugli stakeholders.

Gestione/negoziazione della crisi: ruolo dei professionisti

In presenza di un assetto organizzativo efficiente dovrebbe svolgersi, all’interno dell’impresa, un confronto tra i vari soggetti coinvolti (in primis tra organo amministrativo e organi di controllo e, in secondo luogo, con l’imprenditore/soci/assemblea) nella composizione della eventuale crisi, volto a:

  • monitorare lo stato di salute e individuare situazioni di criticità;
  • modificare l’assetto organizzativo/processi, per cogliere in modo più preciso e tempestivo i segnali della crisi;
  • implementare le soluzioni idonee a superare la crisi.

Il modello, infatti, mira a favorire un maggiore flusso di informazioni sull’andamento dell’azienda tra l’imprenditore, l’organo di amministrazione e gli organi di controllo (siano essi interni e strutturati: collegio sindacale, revisore; siano essi esterni e più semplificati (commercialista ed altri professionisti)).

Tali informazioni, a disposizione di diversi “operatori qualificati” e confrontate con gli indicatori della crisi (previsti dall’art. 13 CCI), dovrebbero consentire una migliore comprensione dello stato di salute dell’azienda attraverso parametri oggettivi ed indurre l’imprenditore a porre in essere i dovuti correttivi in caso di crisi.

Quali sfide, culturali e professionali, attendono sia l’imprenditore che i professionisti che lo assistono?

Infatti, fermi restando i compiti assegnati agli organismi di controllo, la gestione della crisi (sebbene formalmente affidata all’organo amministrativo) prevede un forte coinvolgimento dei professionisti e consulenti dell’imprenditore.

Spesso essi sono i primi soggetti ai quali l’imprenditore si rivolge per un consiglio, per valutare le strategie da adottare ovvero per cercare eventuali soluzioni “esterne” (attraverso la rete di relazioni dei professionisti), sia di carattere economico-finanziario sia industriale.

I professionisti, inoltre, anche in funzione dell’evoluzione dei servizi da loro resi verso i piccoli imprenditori, nonché per l’emergere di nuove problematiche legate al mondo dell’innovazione e delle startup, sono in grado di guardare ai problemi dell’impresa in modo aperto: sono meno coinvolti dal punto di vista emotivo, possono condividere esperienze e soluzioni già adottate in altri contesti, etc..

Pertanto, essi possono giocare un ruolo molto importante per individuare (ed implementare, insieme all’imprenditore) la migliore soluzione della crisi.

Scopi della riforma

La riforma, per raggiungere gli scopi che si è prefisso il legislatore, impone un cambio culturale a tutti gli attori coinvolti.

L’imprenditore e l’amministratore giocano da sempre un ruolo in prima linea, mentre ai professionisti e consulenti è normalmente riservato poco spazio e nelle retrovie, almeno fino a quando la crisi non è in stato avanzato (e gli strumenti per affrontarla finiscono per essere “spuntati”).

Al contrario nella “vita ordinaria” dell’impresa ai professionisti, che sono a stretto contatto con l’imprenditore, viene affidato un ruolo solo in apparenza secondario ma in realtà potenzialmente centrale: in primis la gestione dei dati economico aziendali, per diverse finalità (contabili, legali, fiscali, gestione del personale); ma anche nella relazione (spesso conflittuale) con i partner, fornitori, creditori etc.

Ciò significa che, mentre l’amministratore esamina normalmente (soprattutto nelle realtà più piccole) i dati aggregati, funzionali alle scelte strategiche “suggerite” dall’imprenditore ovvero assunte sulla base dell’andamento generale dell’impresa, il professionista è spesso in grado (insieme all’imprenditore e a volte in modo più puntuale) di cogliere i primi sintomi della crisi.

A lui è quindi affidato un ruolo molto importante, nell’architettura della riforma e soprattutto per l’efficace applicazione del modello alle piccole medie imprese.

Egli gode già della fiducia dell’imprenditore e può assumere un ruolo più propositivo nel supportare l’imprenditore nelle scelte organizzative.

Il professionista deve però vestire sempre più i panni del consulente, con un approccio manageriale e adottando strumenti e modalità di comunicazione adatti rispetto alla cultura e all’esperienza pratica dell’imprenditore che ha di fronte.

Solo in tal modo sarà in grado di affiancare l’imprenditore nell’attività di pianificazione e nell’affrontare i cambiamenti (digitalizzazione, passaggi generazionali, cambi modelli di business).

E potrà offrire la propria consulenza in chiave strategica insieme al proprio supporto tecnico/operativo.

Conclusioni e nuovi scenari

L’arrivo della pandemia ha rivoluzionato le nostre vite e ha inevitabilmente cambiato anche lo scenario economico e sociale entro il quale era stata predisposto l’assetto del nuovo Codice.

Il rinvio consentirà di verificare se il nuovo impianto normativo e l’adeguamento degli operatori economici coinvolti nella gestione della crisi saranno ancora idonei a perseguire gli scopi ambiziosi della riforma.

Ovvero se, anche in funzione dell’evoluzione dello scenario economico e normativo in Italia e in Europa, si imporrà un ripensamento più profondo dell’intero codice.

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