Nonostante lo scarso clamore mediatico che ne ha accompagnato l’uscita, l’impatto sul mercato della Direttiva (UE) 2019/2161 (“Direttiva”) relativa ad una migliore applicazione e modernizzazione delle norme dell’Unione sulla protezione dei consumatori sarà verosimilmente paragonabile a quello che il GDPR ha avuto nel 2018.
Gli Stati membri dovranno adottare e pubblicare le disposizioni necessarie per conformarsi alla Direttiva entro il 28 novembre 2021, applicando le stesse a decorrere dal 28 maggio 2022.
Vediamo quali sono le novità, per consumatori e imprese di settore.
Le pratiche commerciali sleali
Mentre le Direttive (UE) 2019/770 e 2019/771 avevano l’obiettivo di affrontare una serie di problematiche relative ai servizi e contenuti digitali, la Direttiva in commento ha lo scopo di aggiornare un quadro normativo già consolidato ma diventato ormai obsoleto alla luce delle innovazioni tecnologiche degli ultimi anni.
Dato che la Direttiva fa parte di un pacchetto volto a modernizzare le leggi europee sulla protezione dei consumatori, le sue disposizioni non vanno in un’unica direzione ma si diffondono a pioggia in tutto il mercato.
Tra le disposizioni contenute nella Direttiva, alcune meritano una specifica menzione in ragione della loro portata innovativa.
In particolare, la Direttiva include la cosiddetta “dual quality of products” tra le pratiche commerciali considerate in ogni caso sleali dalla Direttiva 2005/29/CE. Questa pratica consiste nella commercializzazione, da parte dello stesso professionista, di un bene in uno Stato membro come identico a un bene commercializzato in altri Stati membri, mentre tale bene ha una composizione o caratteristiche significativamente diverse. Tuttavia, tale pratica commerciale sleale non si verifica se la differenza è giustificata da fattori legittimi e oggettivi. La ratio della norma è di intuitiva evidenza, in una Europa unita il professionista non può contribuire a creare consumatori di serie A, destinatari di prodotti qualitativamente superiori, e consumatori di serie B, a cui destinare prodotti meno pregiati, sfruttando il medesimo brand. La condotta risulta sleale su molteplici piani: da un lato colpisce il substrato sciale dell’unione, introducendo differenziazioni ingiustificate, dall’altro, fuorvia quei consumatori “transnazionali”, che acquistano un prodotto sull’assunto di un determinato livello qualitativo.
La Direttiva inoltre aggiunge altre quattro fattispecie alle pratiche commerciali considerate in ogni caso sleali dalla Direttiva 2005/29/CE, ossia quelle pratiche in cui:
- un professionista fornisce risultati di ricerca in risposta a una ricerca online del consumatore senza che sia chiaramente indicato ogni eventuale annuncio pubblicitario a pagamento o eventuali pagamenti specifici effettuati per ottenere una classificazione migliore dei prodotti all’interno di tali risultati;
- un professionista rivende ai consumatori biglietti per eventi che lo stesso ha acquistato utilizzando strumenti automatizzati per eludere qualsiasi limite imposto riguardo al numero massimo di biglietti che una persona può acquistare, o qualsiasi altra norma relativa all’acquisto di biglietti;
- un professionista afferma che le recensioni di un prodotto sono inviate da consumatori che hanno effettivamente utilizzato o acquistato il prodotto senza adottare misure ragionevoli e proporzionate per verificare che le recensioni provengano realmente da tali consumatori;
- un professionista invia, o incarica un’altra persona giuridica o fisica di inviare recensioni di consumatori false o fornisce informazioni false in merito a recensioni di consumatori o ad apprezzamenti sui social media, al fine di promuovere prodotti.
La Direttiva detta anche regole più dettagliate sulle riduzioni di prezzo: ogni annuncio relativo alla riduzione di prezzo dovrà specificare il prezzo precedentemente applicato dallo stesso professionista per un determinato periodo di tempo antecedente a tale riduzione. In realtà, per noi italiani questa non costituisce affatto una novità dato che l’AGCM applica questo principio da anni ed in questo senso possiamo dire che nei confronti dei consumatori italiani la norma europea sia piuttosto recettiva di una prassi che introduttiva di una novità.
Le novità sui parametri di ranking e i servizi digitali gratuiti
Importanti innovazioni vengono inoltre introdotte relativamente ai parametri di ranking. La Direttiva stabilisce che i parametri principali utilizzati dal professionista per determinare la classificazione dei prodotti presentati al consumatore, come risultato della ricerca dello stesso consumatore, devono essere annoverati tra le informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno per prendere una decisione consapevole di natura commerciale ai sensi della Direttiva 2005/29/CE. Difatti, in assenza di una simile precisazione il consumatore potrebbe assumere che un prodotto compaia nella lista dei risultati prima di un altro in quanto qualitativamente superiore a quest’ultimo. L’effetto finale sarebbe sempre quello di portare il consumatore a prendere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
La Direttiva introduce anche la categoria dei servizi digitali “gratuiti”, prevedendo che le normative in materia di contratti a distanza trovano applicazione anche quando il professionista fornisce o si impegna a fornire un contenuto digitale mediante un supporto non materiale o un servizio digitale al consumatore e il consumatore fornisce o si impegna a fornire dati personali al professionista, tranne i casi in cui i dati personali forniti dal consumatore siano trattati dal professionista esclusivamente ai fini della fornitura del contenuto digitale su supporto non materiale o del servizio digitale.
Quanto ai prezzi automatizzati, la Direttiva stabilisce che il professionista sarà tenuto a comunicare al consumatore, se applicabile, l’informazione che il prezzo è stato personalizzato sulla base di un processo decisionale automatizzato.
Occorre soffermarsi anche sull’obbligo di fornire informazioni chiare circa la condivisione degli obblighi tra il fornitore del marketplace online e il professionista che offre beni, servizi o contenuti digitali. Prima che un consumatore sia vincolato da un contratto a distanza su un marketplace online, il fornitore del marketplace online lo informa, tra l’altro, su come gli obblighi relativi al contratto sono condivisi tra il professionista che offre i beni, i servizi o il contenuto digitale, da un lato, e il fornitore del marketplace, dall’altro lato.
La Direttiva estende ai contenuti digitali e ai servizi digitali la Direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori e la Direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno. Tali modifiche devono essere lette in combinato disposto con la Direttiva (UE) 2019/770 e la Direttiva (UE) 2019/771, poiché vanno tutte nella direzione della eliminazione di qualsiasi differenza irragionevole nella regolamentazione dei beni tradizionali, da un lato, e dei servizi o contenuti digitali, dall’altro. Anche in questo caso, per il mercato italiano la norma europea si può ritenere essenzialmente recettiva di una prassi già adoperata dall’AGCM in Italia. Infatti, l’AGCM negli ultimi anni ha intrapreso una costante opera di avvicinamento tra la regolamentazione dei beni tradizionali e quella dei servizi o contenuti digitali: già nel marzo 2013, infatti, nei propri provvedimenti 24288 e 24289 relativi ai procedimenti CV28 e CV29 l’AGCM sostanzialmente riconosceva l’applicabilità della garanzia legale di conformità anche ai contenuti digitali.
Con riferimento alla trasparenza delle recensioni, la Direttiva stabilisce che tra le informazioni rilevanti da fornire ai consumatori ai sensi della Direttiva 2005/29/CE, il professionista deve includere anche informazioni circa se e in che modo il professionista garantisce che le recensioni pubblicate provengano da consumatori che hanno effettivamente acquistato o utilizzato il prodotto.
Le sanzioni pecuniarie
Dulcis in fundo, la Direttiva fissa il valore delle sanzioni pecuniarie a seguito di azioni coordinate. Ai sensi del Regolamento (UE) 2017/2394 (in vigore dal 17 gennaio 2020), laddove vi sia il ragionevole sospetto che sia stata commessa (i) un’infrazione diffusa (che coinvolge i consumatori che risiedono in almeno due Stati membri diversi dallo Stato membro in cui l’infrazione ha avuto origine, o è stabilito l’operatore responsabile, o si rinvengono elementi di prova o beni dell’operatore riconducibili all’infrazione), o (ii) un’infrazione diffusa avente una dimensione unionale (che coinvolge cioè i consumatori in almeno due terzi degli Stati membri, e che ammontano almeno ai due terzi della popolazione dell’Unione), le autorità competenti interessate da tale violazione e la Commissione si informano reciprocamente, coordinano l’inchiesta e le misure di esecuzione adottate per far fronte a tali infrazioni secondo le procedure indicate nel medesimo Regolamento.
In entrambi questi casi, la Direttiva specifica che l’importo massimo delle sanzioni pecuniarie applicabili deve essere almeno pari al 4% del fatturato annuo del venditore o del fornitore nello Stato membro o negli Stati membri interessati. Sarà interessante vedere se, in sede di recepimento della direttiva, l’Italia deciderà di innalzare tale tetto sanzionatorio per aumentare la portata deterrente della normativa. In questo senso, sarà di certo preziosa la recente esperienza del GDPR.
Le imprese operanti in Italia hanno quindi ancora tempo per aggiornare le proprie policy e pratiche in vista dell’entrata in vigore della nuova normativa, ma sarà fondamentale agire con tempestività per evitare di farsi cogliere impreparati da quella che si preannuncia essere una profonda rivoluzione del mercato B2C – anche in considerazione dell’approccio sempre molto rigoroso generalmente adottato dall’AGCM.