Una recente decisione del Tar offre lo spunto per riflettere sul rapporto fra il diritto all’accesso al fascicolo informatico del processo amministrativo telematico (Pat) e l’obbligo dell’avvocato di restituzione dei documenti alla parte[1]. Infatti, il Tar Lazio, sezione II bis di Roma, ha rigettato l’istanza presentata da un avvocato per l’accesso telematico al fascicolo informatico al fine di impugnare una sentenza emessa dal medesimo Giudice e, quindi, di visionare gli atti e i documenti del primo grado di giudizio (nel quale la parte era difesa da un avvocato diverso dall’istante). Il Tar ha motivato la propria decisione richiamando l’obbligo giuridico e deontologico dell’avvocato, al termine del mandato, di restituzione degli atti e dei documenti alla parte che ne faccia richiesta [2]. Approfondiamo la situazione.
La decisione del Tar
La decisione del Tar – apparentemente corretta dal punto di vista prettamente giuridico – non può essere condivisa per molteplici ragioni. Intanto, il fascicolo informatico del processo amministrativo telematico contiene gli atti e i documenti in formato digitale mentre l’obbligo dell’avvocato di restituzione degli atti e dei documenti si riferisce agli atti e ai documenti analogici. Conseguentemente, dal fascicolo informatico è possibile estrarre atti informatici firmati digitalmente mentre l’obbligo di restituzione assicura la riconsegna dei documenti cartacei.
In secondo luogo, ai sensi del comma 2 ter dell’art. 136 del Codice del processo amministrativo (Cpa), il difensore può estrarre atti e provvedimenti dal fascicolo informatico ed attestarne la conformità. In tal caso, l’avvocato per poter attestare la conformità, ai sensi dell’art. 136 c.p.a., deve poter accedere al fascicolo informatico. In altri termini, negare all’avvocato l’accesso al fascicolo informativo implica anche la negazione della facoltà di attestare la conformità, ai sensi del comma 2 ter dell’art. 136 c.p.a., risolvendosi in un’eccessiva restrizione del diritto costituzionale di difesa. In conclusione, ci si chiede se le peculiarità del processo telematico non richiedano un più ampio intervento del Legislatore di rinnovamento delle norme processuali (oltre che deontologiche), armonizzandole con i cambiamenti avviati dall’informatica giuridica.
La caratteristiche del fascicolo informatico
Nel Pat, il fascicolo informatico è la “versione informatica del fascicolo processuale, di cui all’art. 5 dell’Allegato 2 ‘Norme di attuazione’, del c.p.a.”[3]. L’art. 5 del d.P.R. n. 40/2016 precisa, fra l’altro, che “il fascicolo processuale è tenuto sotto forma di fascicolo informatico” (comma 1), il quale “contiene tutti gli atti, gli allegati, i documenti e i provvedimenti del processo amministrativo in forma di documento informatico, ovvero le copie per immagine su supporto informatico dei medesimi atti” (comma 2). Ai sensi dell’art. 3 dell’Allegato A (art. 19 del Regolamento) Specifiche Tecniche del d.P.R. n. 40/2016, lo stesso “costituisce il fascicolo d’ufficio e contiene tutte le informazioni e dati ad esso relativi, nonché tutti gli atti, documenti e provvedimenti in formato digitale”. Ai sensi dell’art. 5 d.P.R. n. 40/2016, il fascicolo informatico del p.a.t. reca l’indicazione:
- dell’ufficio titolare del ricorso, che sovrintende alla gestione del fascicolo medesimo e cura la correttezza e l’aggiornamento dei dati ivi inseriti;
- del numero del ricorso;
- dell’oggetto sintetico del ricorso;
- dei dati identificativi delle parti e dei difensori;
- dell’elenco dei documenti contenuti, anche depositati in forma cartacea, ai sensi dell’art. 9, comma 8.
In esso sono inserite (cfr. comma 4 art. 5 d.P.R. n. 40/2016), altresì, informazioni riguardanti:
- i componenti del Collegio e i suoi ausiliari, le parti e i difensori (tipologia di parte; data di costituzione, data di rinuncia; partita IVA/codice fiscale);
- l’oggetto del ricorso per esteso, consistente nella precisa indicazione dei provvedimenti impugnati e/o dell’oggetto della domanda proposta nonché’ l’indicazione della materia del ricorso;
- le comunicazioni di Segreteria nonché le relative ricevute di PEC;
- le camere di consiglio e le udienze;
- i ricorsi collegati;
- il link al contenuto integrale del fascicolo informatico di provenienza, in caso di appello, regolamento di competenza, revocazione e negli altri casi previsti;
- i provvedimenti impugnati;
- le spese di giustizia;
- il patrocinio a spese dello Stato.
Chi può accedere alle informazioni e come fare
Le informazioni contenute nel fascicolo informatico non sono liberamente accessibili[4]. Mentre l’accesso ai provvedimenti del Giudice è assicurato a chiunque vi abbia interesse (art. 7 disp. att. c.p.a.; art. 744 c.p.c.), l’accesso agli atti e ai documenti di parte è, allo stato, regolato dal comma 3 dell’art. 17 (rubricato Accesso al fascicolo informatico) del d.P.R. 16.2.2016, n. 40[5]. Tale norma prevede, fra l’altro, che l’accesso al fascicolo informatico del p.a.t. è consentito “ai difensori muniti di procura, agli avvocati domiciliatari, alle parti personalmente nonché, previa autorizzazione del Giudice, a coloro che intendano intervenire volontariamente nel giudizio”.
Il comma 3 dell’art. 18 dell’Allegato A (art. 19 del Regolamento) Specifiche Tecniche del d.P.R. n. 40/2016, prevede che “l’avvocato difensore munito di procura, anche se non costituito in giudizio, può richiedere il rilascio delle credenziali di accesso al fascicolo informatico utilizzando l’apposita funzione presente nel Portale dell’Avvocato. Le credenziali, rilasciate con le modalità indicate nel presente articolo, sono disattivate decorsi 60 giorni dalla data del rilascio”. Per quanto concerne specificamente il p.a.t., l’accesso al fascicolo da parte dell’avvocato avviene per il tramite del c.d. portale dell’avvocato, raggiungibile dal website istituzionale della giustizia amministrativa. Più in generale, il comma 6 dell’art. 13 d.P.R. n. 123/2001 (Regolamento recante disciplina sull’uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti) prevede la facoltà della parte di consultare per via telematica il fascicolo informatico.
Come già accennato, il comma 2 ter dell’art. 136 c.p.a. introducendo il potere di autentica dell’avvocato amministrativista consente all’avvocato non solo l’attestazione della conformità delle copie per immagine (le scansioni) ai fini del deposito ma soprattutto di estrarre dal fascicolo informatico le copie informatiche degli atti e provvedimenti presenti, potendone attestare la conformità all’originale senza dover pagare i diritti di copia[6]. Tale facoltà dell’avvocato è subordinata alla possibilità di accedere telematicamente al fascicolo informatico.
L’obbligo dell’avvocato di restituzione dei documenti
L’art. 33 (dedicato alla Restituzione di documenti) del Codice deontologico forense (“c.d.f.”) pone sul difensore, al termine del mandato, l’obbligo di restituire, se richiesto, “senza ritardo gli atti ed i documenti ricevuti dal cliente e dalla parte assistita per l’espletamento dell’incarico e consegnare loro copia di tutti gli atti e documenti, anche provenienti da terzi, concernenti l’oggetto del mandato e l’esecuzione dello stesso sia in sede stragiudiziale che giudiziale, fermo restando il disposto di cui all’art. 48, terzo comma, del presente codice”. La mancata restituzione dei documenti al cliente costituisce una violazione deontologica per l’avvocato.
In altri termini, l’avvocato non ha diritto di ritenere gli atti e i documenti di causa, né può subordinarne la restituzione al pagamento delle spese e del compenso professionale. L’art. 2235 (rubricato Divieto di ritenzione) del Codice civile prevede che “il prestatore d’opera non può ritenere le cose e i documenti ricevuti, se non per il periodo strettamente necessario alla tutela dei propri diritti secondo le leggi professionali”. Il comma 2 dell’art. 33 c.d.f. dispone che l’avvocato “non deve subordinare la restituzione della documentazione al pagamento del proprio compenso”[7]. Infine, ai sensi del comma 1 dell’art. 1713 c.c., il mandatario deve rimettere al mandante “tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato”. Pertanto, indubbiamente, se richiesto, l’avvocato deve restituire alla parte tutti gli atti e i documenti (salvo quanto prevede l’art. 48 c.d.f.).
Tuttavia, tali norme fanno riferimento alla documentazione cartacea e non già ai documenti informatici. Inoltre, l’art. 33 c.d.f. fa riferimento agli atti e ai documenti del vecchio processo non telematico. Insomma, le norme indicate non sono state armonizzate con le novità introdotte dall’informatica giuridica e, quindi, dal processo telematico.
Conclusioni
Certamente, il fascicolo informatico del processo telematico non può essere liberamente accessibile, perché gli atti processuali di parte possono contenere categorie particolari di dati personali o, comunque, dati afferenti alla vita privata o a segreti commerciali o industriali, ovvero a strategie processuali della parte. Persino in relazione agli atti giudiziari divulgabili, quali sono i provvedimenti del Giudice, può essere chiesto il c.d. oscuramento dei dati personali (ex art. 52 del Codice in materia di dati personali)[8]. Gli atti processuali sono anche esclusi dal diritto di accesso agli atti amministrativi. Infatti, gli atti inerenti la strategia difensiva delle pubbliche amministrazioni sono ordinariamente sottratti all’accesso. Nell’àmbito del processo amministrativo, gli atti difensivi della parte privata non sono, per definizione, “documenti amministrativi”
Analogamente, gli atti difensivi della pubblica amministrazione, essendo ordinariamente formati da avvocati del libero foro, non sono “documenti amministrativi”. Infatti, tutti gli atti che attengono all’esercizio del diritto di difesa in giudizio delle Pubbliche Amministrazioni c.d. atti defensionali sono sottratti all’accesso, in ragione delle esigenze di riservatezza relative alla strategia difensiva dell’Amministrazione[9]. La normativa di cui all’art. 7 l. n. 142/1990 e agli artt. 22 ss. l. n. 241/1990 pur affermando l’ampia portata della regola dell’accesso, la quale rappresenta la coerente applicazione del principio di trasparenza, che governa i rapporti tra Amministrazione e cittadini introduce alcune limitazioni di carattere oggettivo, definendo le ipotesi in cui determinate categorie di documenti sono sottratte all’accesso. L’art. 24 l. n. 241/1990 stabilisce che il diritto di accesso è escluso – oltre che per i documenti coperti da segreto di Stato, ai sensi dell’art. 12 l. n. 801/1977 – nei casi di segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti dall’ordinamento. In tali casi, i documenti, seppure formati o detenuti dall’Amministrazione, non sono suscettibili di divulgazione, giacché il principio di trasparenza cede innanzi alla esigenza di salvaguardare il segreto professionale[10].
Tuttavia, l’istanza di accesso al fascicolo informatico provieniente da un avvocato e motivata da esigenze di difesa (anche di impugnazione) non può pregiudicare in alcun modo l’esigenza di riservatezza delle parti processuali, la quale va comunque contemperata con il diritto costituzionale di difesa[11]. Inoltre, l’obbligo di restituzione degli atti e dei documenti alla parte che ne faccia richiesta non può certamente giustificare il diniego di accesso dell’avvocato al fascicolo informatico. L’istanza di accesso al fascicolo informatico motivata dal diritto costituzionale di difesa dovrebbe essere sempre accolta, perché:
- l’accesso dell’avvocato al fascicolo informatico è prodromico all’esercizio di altre facoltà difensive collegate alle peculiarità del processo telematico;
- l’avvocato è tenuto al segreto professionale.
La verità è che le novità introdotte dal processo telematico avrebbero richiesto una riforma organica del diritto processuale (oltre che del Codice deontologico forense), volta ad armonizzare le regole procedurali con le novità apportate dall’informatica giuridica.
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Note
- Per quanto di interesse sul p.a.t. in questa Rivista, fra i più recenti v. F. D’Alessandri-M.L. Torsello, Formazione e informazione per il successo del nostro PAT, 29.5.2018, in www.agendadigitale.eu; M.S. Masini, Processo Amministrativo Telematico, ecco il nuovo valore del domicilio digitale, 19.4.2018; M. La Greca, Processo amministrativo telematico, le norme ce servono per farlo funzionare, 20.2.2018; I. Pisano, Nuovo Cad, quale impatto sul processo amministrativo telematico, 6.2.2018 ; U. Fantigrossi, Processo amministrativo telematico, le sfide 2018, 23.1.2018; E. Barbujani, Processo Amministrativo Telematico: il punto su deposito, notifiche e altro, 22.12.2017; E. Barbujani, Perché quello amministrativo è il primo processo tutto digitale, 24.1.2017; E. Bove, Processo amministrativo telematico: tutti i sogni (e gli incubi) di una rivoluzione, 9.6.2016. ↑
- Cfr. T.A.R. Lazio, Sez. II bis Roma, ord. 4.11.2019 n. 12567 . Il Giudice ha ritenuto “di dover rigettare l’istanza, perché gli atti e i documenti richiesti possono ben essere acquisiti dai precedenti difensori, che hanno in tal senso preciso obbligo giuridico e deontologico”. ↑
- Per quanto di interesse v. art. 1 lett. l) d.P.R. n. 40/2016. Il d.P.R. n. 40/2016 rappresenta la fonte principale di regolamentazione del p.a.t. Infatti, lo stesso è stato emanato in attuazione dell’art. 13, co. 1, dell’Allegato 2 al c.p.a. e contiene il Regolamento recante le regole tecnico-operative per l’attuazione del processo amministrativo telematico. Dal 1°.1.2017, tutti gli atti dei processi amministrativi devono essere obbligatoriamente depositati per via telematica. V. commi 2 e 2 bis dell’art. 136 c.p.a. Quest’ultima norma ha anche previsto che, dall’entrata in vigore del p.a.t., “tutti gli atti e i provvedimenti del giudice, dei suoi ausiliari, del personale degli uffici giudiziari e delle parti sono sottoscritti con firma digitale”. La disciplina del p.a.t. affonda le sue origini nel Codice dell’amministrazione digitale (d.lgs n. 82/2005, “CAD”), il quale, al comma 6 dell’art. 2, prevede, fra l’altro, che le disposizioni del CAD si applicano al processo civile, penale, amministrativo, contabile e tributario, in quanto compatibili e salvo che non sia diversamente disposto dalle disposizioni in materia di processo telematico. L’art. 41 CAD prevede la formazione del fascicolo informatico della Pubblica Amministrazione. ↑
- Sul punto v. M. Reale, Il fascicolo informatico nel processo amministrativo telematico, 6.5.2016, in Quotidiano Giuridico. ↑
- Nel senso che l’accesso agli atti e ai documenti processuali sfugge alla disciplina dettata dagli artt. 22 ss. della l. n. 241/1990, non avendo essi natura di documento amministrativo, cfr. T.A.R. Lazio, Sez. II bis Roma, ord. n. 5631/2019; Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia D.P. n. 32/2018. ↑
- Il comma 2 ter dell’art. 136 c.p.a. è stato aggiunto dall’art. 7 d.l. n. 168/2016. Il comma è stato successivamente modificato dalla legge di conversione n. 197/2016 del d.l. n. 168 del 2016, entrata in vigore il 30.10.2016. Lo stesso recita: “2-ter. Quando il difensore depositi con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine, di un atto processuale di parte, di un provvedimento del giudice o di un documento formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme, attesta la conformità della copia al predetto atto mediante l’asseverazione di cui all’articolo 22, comma 2, del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. Analogo potere di attestazione di conformità è esteso agli atti e ai provvedimenti presenti nel fascicolo informatico, con conseguente esonero dal versamento dei diritti di copia. Resta escluso il rilascio della copia autentica della formula esecutiva ai sensi dell’articolo 475 del codice di procedura civile, di competenza esclusiva delle segreterie degli uffici giudiziari. La copia munita dell’attestazione di conformità equivale all’originale o alla copia conforme dell’atto o del provvedimento. Nel compimento dell’attestazione di conformità di cui al presente comma i difensori assumono ad ogni effetto la veste di pubblici ufficiali.” ↑
- Il comma 3 dell’art. 33 c.d.f. prevede la facoltà dell’avvocato di “estrarre e conservare copia di tale documentazione, anche senza il consenso del cliente e della parte assistita”. La violazione del dovere di cui al comma 1 dell’art. 33 c.d.f. comporta l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento. La violazione del divieto di cui al comma 2 dell’art. 33 c.d.f. comporta l’applicazione della censura. L’art. 48 c.d.f. sancisce il divieto di produrre la corrispondenza scambiata con il collega, prevedendo quanto segue: “1. L’avvocato non deve produrre, riportare in atti processuali o riferire in giudizio la corrispondenza intercorsa esclusivamente tra colleghi qualificata come riservata, nonché quella contenente proposte transattive e relative risposte.2. L’avvocato può produrre la corrispondenza intercorsa tra colleghi quando la stessa: costituisca perfezionamento e prova di un accordo;assicuri l’adempimento delle prestazioni richieste. L’avvocato non deve consegnare al cliente e alla parte assistita la corrispondenza riservata tra colleghi; può, qualora venga meno il mandato professionale, consegnarla al collega che gli succede, a sua volta tenuto ad osservare il medesimo dovere di riservatezza. L’abuso della clausola di riservatezza costituisce autonomo illecito disciplinare. La violazione dei divieti di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura”. ↑
- La tematica della tutela della riservatezza dei dati personali interessa anche le decisioni giudiziarie pubblicate sui siti internet istituzionali delle magistrature ed è disciplinata da una legislazione volta a trovare un punto di equilibrio tra due contrapposti interessi: la riservatezza dei soggetti che si trovano coinvolti in una controversia giudiziaria e la trasparenza e pubblicità della funzione giudiziaria. L’art. 52 (rubricato Dati identificativi degli interessati) del Codice in materia di dati personali prevede due tipologie di ipotesi di oscuramento dei dati personali nei provvedimenti giurisdizionali: l’oscuramento c.d. facoltativo cioè a richiesta di parte e quello c.d. obbligatorio (previsto dalla legge e disposto anche d’ufficio). In particolare, il comma 1 dell’art. 52 prevede che il soggetto interessato nella controversia possa chiedere, per motivi legittimi e “prima che sia definito il relativo grado di giudizio”, l’anonimizzazione della decisione (c.d. oscuramento facoltativo), che si realizza, ai sensi del comma 4, con l’apposizione sull’originale della pronuncia del giudice di una apposita un’annotazione prescrive l’anonimizzazione delle generalità e degli altri dati identificativi del medesimo interessato in caso di diffusione del provvedimento giurisdizionale. Poiché l’oscuramento è concesso nel caso in cui sussistano motivi legittimi, l’istanza della parte deve essere motivata al fine di consentire al Giudice il vaglio sulla meritevolezza delle ragioni per cui la decisione dovrebbe derogare al principio di pubblicità rispetto all’identità delle parti e degli altri elementi identificativi. ↑
- Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 30.9.2010, n. 7237. ↑
- Cfr. Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia D.P. n. 32/2018; Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia D.P. n. 25/2018 ↑
- Cfr. Consiglio di Stato, decreto 15.2.2018 n. 160, il quale, ai sensi dell’art. 17 co. 3 d.P.R. n. 40/2016 ha accolto l’istanza di accesso al fascicolo informatico presentata dall’avvocato di una parte che intendeva intervenire ad opponendum (ex art. 28 c.p.a.) in un processo inter alios. In senso conforme, v. Consiglio di Stato, decreto 15.2.2018 n. 161; Consiglio di Stato, decreto 7.6.2018 n. 628 ↑