Cos’è il 5G? È semplicemente una tecnologia che rappresenta la nuova frontiera degli standard per le connessioni da dispositivi mobili (dopo il 2, il 3 e il 4G), capace di assicurare una velocità di download e upload molto elevata rispetto agli standard precedenti? Ma è solo questo, una quinta generazione di telefonia mobile?
No: crediamo che il 5G sia soprattutto una “tecnologia abilitante”, in quanto, grazie all’altissima ampiezza di banda e la bassissima latenza, permette di sviluppare quelle soluzioni innovative di utilizzo della rete internet e, favorendo lo sviluppo del Paese, si colloca come driver dell’innovazione all’interno dell’ecosistema digitale mondiale.
Siamo partiti da questo per elaborare la mozione predisposta dai gruppi parlamentari di maggioranza (Pd, M5S, Iv, Leu) a favore del 5G, in contrapposizione alla mozione Cunial che costituisce un documento ideologico, una sorta di “luddismo” anti-tecnologie che strumentalizza un legittimo sentimento di preoccupazione rispetto a una materia di cui la maggior parte della opinione pubblica non ha piena consapevolezza.
5G e tumori, i dati dell’Istituto Superiore di Sanità
Non a caso, nelle premesse della nostra mozione siamo partiti dai dati illustrati dall’Istituto Superiore di Sanità per evidenziare come le esposizioni delle persone ai campi attualmente utilizzati per le telecomunicazioni, siano molto inferiori ai limiti di esposizione fissati per prevenire gli effetti termici (a loro volta molto inferiori alle soglie di esposizione effettivamente in grado di produrre tali effetti).
Per l’ISS non vi è motivo di ritenere che le esposizioni verso le persone aumenteranno significativamente.
E non a caso nella nostra mozione chiediamo al Governo di proseguire nell’approfondimento degli studi e delle ricerche sull’elettromagnetismo –con riferimento alle tecnologie di comunicazione radio e non solo al 5G – accompagnandolo “con adeguate iniziative istituzionali di comunicazione volte a soddisfare le esigenze di informazione chiara ed esaustiva per l’opinione pubblica”.
Ma al tempo stesso con il nostro atto di indirizzo chiediamo al Governo di tenere in considerazione la valenza dello sviluppo tecnologico in atto nel settore delle telecomunicazioni e delle opportunità di crescita e competitività che tale sviluppo offre al Paese.
Le opportunità del 5G e il vantaggio dell’Italia
Lo sviluppo del 5G si inserisce in una strategia europea condivisa, come espresso bene dal 5G for Europe Action Plan e dalla Direttiva 1972/18 relativa al nuovo Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche.
E la stessa neopresidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, ha incluso la definizione di standard comuni per il 5G tra gli obiettivi principali sulla governance digitale del nuovo corso dell’Europa.
Nel 2018 l’Italia, con grande anticipo rispetto al resto dei Paesi europei – ponendosi al secondo posto nell’indice DESI 2019 in termini di 5G Readiness – ha proceduto ad assegnare le bande di frequenza 5G attraverso l’asta pubblica indetta dal Ministero dello Sviluppo Economico, generando introiti pari a 6 miliardi e 550 milioni di euro – nettamente superiori ai 2,5 miliardi di euro previsti dalla legge di Bilancio per il 2018.
Troppo spesso leggiamo che l’Italia è in ritardo sul digitale, le reti italiane sono in ritardo.
Incominciamo a sfatare anche questo dato: per quanto riguarda le reti fisse, (reti con velocità a 30 megabit al secondo), dal 2014 ad oggi l’Italia, che aveva un ritardo di oltre 20 punti percentuali rispetto ad altri Paesi europei, ha colmato completamente questo ritardo e ora le reti a 30 megabit al secondo sono in linea, anzi marginalmente avanti, rispetto alla media europea.
C’è ancora aperto naturalmente il tema della effettiva connettività dell’utenza alla rete a 100 megabit, rispetto al quale è positiva la ripresa di attività della cabina di regia interministeriale del COBUL
E ancora, venendo allo sviluppo del 5G, una recente analisi della società di consulenza Ernst & Young evidenzia come le implicazioni economiche correlate alla disponibilità di reti e servizi 5G sul sistema Paese saranno pari a circa lo 0,3% del PIL all’anno in media per i primi 15 anni a partire dal 2020, con un impatto di circa 5-6 mld di euro all’anno.
Abbiamo già detto che il 5G è una tecnologia abilitante delle innovazioni dell’ecosistema digitale.
Ma il 5G è anche la prima generazione di tecnologia ad accesso convergente fisso-mobile e una evoluzione naturale della rete fissa, la componente mancante che aggiunge alla rete la mobilità ed elimina la necessità di cablaggi, mantenendo però le prestazioni della fibra.
Il 5G unito a Intelligenza Artificiale e Internet of Things è dunque pronto a cambiare, in meglio, la nostra vita quotidiana.
Gli ambiti di applicazione del 5G
Facciamo qualche esempio delle sperimentazioni attualmente previste nelle varie città per capire a cosa può servire il 5G in futuro.
Sicurezza: la tecnologia 5G potrà essere usata per la trasmissione di video ad altissima risoluzione fatte da droni che sorvoleranno aree sensibili o inaccessibili, colpite ad esempio da calamità naturali.
Città intelligenti: sensori IoT in determinati punti della città comunicheranno in tempo reale a una centrale operativa i dati rilevati sul traffico, sulla mobilità, l’illuminazione, consentendo di gestire da remoto e in modo rapido le situazioni critiche.
Medicina: In particolare per le applicazioni in ambito medico, una rete affidabile e veloce, senza ritardi nella risposta, viene considerata fondamentale (pensiamo ai possibili sviluppi della telechirurgia o le possibilità di deospedalizzare pazienti cronici grazie all’assistenza da remoto). L’aumento dell’età media della popolazione e la necessità di garantire a tutti tecniche diagnostiche e terapie avanzate, richiede uno scambio di grandissime quantità di dati.
5G, realtà aumentata e relative tecnologie sono fondamentali non solo per i servizi al cittadino, ma per lo sviluppo di un nuovo modo di intendere i processi produttivi.
L’ avvento di Impresa4.0 porta macchinari, postazioni di lavoro e sistemi IT a essere connessi lungo un’unica catena del valore che travalica la singola unità produttiva. Questi sistemi interconnessi devono interagire l’uno con l’altro, scambiandosi e analizzando dati in maniera veloce, flessibile ed efficiente, per produrre beni di alta qualità a costi ridotti
Con il 5G potremmo dunque per la prima volta essere in vantaggio rispetto agli altri Paesi, migliorare i dati economici ma soprattutto migliorare la vita delle persone riducendo i rischi.
Proprio per questo non possiamo permetterci il lusso di restare bloccati per allarmi lanciati da no vax delle tecnologie, luddisti della venticinquesima ora sugli impatti del 5G su salute e ambiente, fondati su argomenti ampiamente smentiti e contestati da Istituzioni nazionali ed europee.
Ma vediamo le specifiche obiezioni.
Le radiofrequenze utilizzate in tecnologia 5G sono “inesplorate”?
Il 5G non fa uso di radiofrequenze ignote.
Basti ricordare che gli effetti delle radio-frequenze fino a 300 Gigahertz, incluse quindi anche le frequenze utilizzate dalle reti 5G, sono oggetto di studio da oltre 40 anni e considerati non dannosi entro i limiti di densità di potenza stabiliti a livello mondiale ed europeo, in modo non difforme dalla disciplina applicabile ad altri strumenti, anche di impiego domestico.
Le evidenze scientifiche, che costituiscono la base di ogni considerazione relativa agli effetti delle radiazioni non ionizzanti (NIR) sulla salute e sull’ambiente, sono valutate dalla Commissione Internazionale per la Protezione delle Radiazioni non Ionizzanti (International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection – ICNIRP) – organizzazione scientifica formalmente riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro, dalla Commissione Europea e da altre istituzioni internazionali – la quale elabora linee guida per la protezione dai rischi per la salute dell’esposizione a radiofrequenze non ionizzanti.
La tecnologia di rete non ha alcuna rilevanza rispetto ai limiti definiti che dipendono soltanto dalla potenza trasmessa dagli impianti e dalla frequenza utilizzata. Tutte le frequenze utilizzate dal 5G, incluse le spesso citate onde millimetriche, ricadono ampiamente all’interno di quelle considerate dalle linee guida.
Dunque, non risponde a verità sostenere che ci si trovi di fronte a una “grave e sottostimata situazione di pericolo per la sanità pubblica”, in quanto la ricerca scientifica internazionale (anche con la partecipazione di numerosi ed autorevoli scienziati italiani) ha posto e continua a porre grande attenzione al tema e non ha certo sottostimato la questione, mentre gli esiti della medesima non hanno evidenziato una situazione in alcun modo qualificabile come grave.
Inoltre, a livello nazionale la materia dei limiti di emissioni elettromagnetiche ha trovato la sua regolamentazione nella legge 22 febbraio 2001, n. 36 e successivo D.P.C.M. dell’8 luglio 2003 e sono stati fissati i limiti di esposizione e i valori di attenzione per la prevenzione degli effetti a breve termine e dei possibili effetti a lungo termine nella popolazione dovuti alla esposizione ai campi elettromagnetici generati da sorgenti fisse con frequenza compresa tra 100 kHz e 300 GHz.
In più a livello europeo, solo l’Italia, la Bulgaria, la Polonia e il Belgio (sia pur con alcune diversità) hanno adottato, per l’esposizione a campi elettromagnetici, un limite pari a 6 V/m (volt per metro) laddove tutti gli altri paesi si attestano in media su limiti che oscillano tra i 41 e i 58 V/m.
Le radiofrequenze sono “cancerogene” ?
L’ICNIRP ha pubblicato una nota in cui viene testualmente affermato che “Sono stati pubblicati due recenti studi sugli animali che indagano il potenziale carcinogenico dell’esposizione a lungo termine ai campi elettromagnetici a radiofrequenza (EMF) associati ai telefoni cellulari: uno dal Programma nazionale di tossicologia degli Stati Uniti e l’altro dall’Istituto Ramazzini .
Questi studi, tra gli altri, sono stati presi in considerazione durante la revisione delle linee guida sull’esposizione alla radiofrequenza di ICNIRP. Tuttavia, entrambi gli studi hanno incongruenze e limitazioni che influenzano l’utilità dei loro risultati per la definizione di linee guida sull’esposizione, ed entrambi devono essere considerati nel contesto di altre ricerche di cancerogenicità su animali e persone. Complessivamente, sulla base delle considerazioni esposte di seguito, ICNIRP conclude che questi studi non forniscono una base affidabile per la revisione delle linee guida esistenti sull’esposizione alla radiofrequenza.”
Veniamo ora a commentare la posizione dell’agenzia Internazionale per la Ricerca sul cancro (IARC).
Come è noto, l’Agenzia nel 2011 ha classificato i campi elettromagnetici a radiofrequenza come “possibilmente cancerogeni per l’uomo”, la più bassa tra le categorie per le quali è plausibile un ruolo dell’agente in studio nella cancerogenesi.
Questa valutazione si fondava essenzialmente su una limitata evidenza epidemiologica di aumenti di alcune forme tumorali in soggetti che avevano fatto un uso particolarmente intenso di telefoni mobili.
Giova in proposito sottolineare che i livelli di esposizione realisticamente associati alle antenne fisse sono ordini di grandezza inferiori a quelli imputabili all’uso dei cellulari.
Peraltro, è stato di recente pubblicato il World Cancer Report 2020, a cura di OMS e IARC, in cui viene ribadito che non ci sono dimostrazioni di una relazione causale tra esposizione alle radiofrequenze e malattie oncologiche.
In ultimo, un’ulteriore conferma arriva dalla Food and Drug Administration che nel nuovo rapporto redatto sulla base dei dati pubblicati negli ultimi 11 anni sostiene che “non esistono prove scientifiche coerenti o credibili su problemi di salute causati dall’esposizione all’energia di radiofrequenze emesse dai cellulari”.
È evidente che, sulla scorta di tali considerazioni, le richieste di sospensiva dell’esercizio delle reti 5G ed in generale le preoccupazioni per la loro diffusione non siano fondate su motivazioni oggettive.
Anzi il quadro delle conoscenze che ho appena descritto fornisce importanti rassicurazioni, ma non è adeguatamente conosciuto o compreso. È quindi fortemente auspicabile la diffusione, da fonti indipendenti ed accreditate, di informazioni scientifiche corrette e complete, onde evitare di allarmare inutilmente i cittadini.
I freni dei Comuni
C’è un’altra questione sulla quale la posizione di vantaggio in cui si trova l’Italia rischia di essere compromessa da una situazione amministrativa, relativa ai lavori di implementazione presso gli enti locali, che renderebbe incerti gli investimenti fatti e impedirebbe il colmarsi del cosiddetto “digital divide”.
Infatti, alcuni Comuni, sull’onda delle preoccupazioni di tipo sanitario di cui si è detto prima, hanno adottato atti di inibizione dell’installazione della nuova tecnologia. Tali atti non hanno fondamento nelle conclusioni raggiunte dalla comunità scientifica, né nel principio di precauzione (che è già adottato dalla normativa nazionale sin dal 2001) e rischiano di rallentare lo sviluppo dei territori e dell’intero Paese. Paradossalmente tali atti, che ammontano ad un centinaio tra delibere comunali e ordinanze dei sindaci, interessano spesso proprio comuni montani o delle aree interne individuati dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni come aree per cui gli Operatori sono obbligati a sviluppare la rete, proprio per prevenirne il digital divide.
È importante che le informazioni corrette giungano anche nei comuni più remoti, per evitare di aggravarne i ritardi.
Cosa deve fare il Governo
Per questo è importante sostenere l’iniziativa dell’Autorità per la Garanzia della Concorrenza e del Mercato che nell’adunanza del 12 dicembre 2018, ha deliberato di inviare “una segnalazione relativa agli ostacoli all’installazione di impianti di telecomunicazione mobile e broadband wireless access presenti nelle normativa locale (comunale e provinciale), regionale e nazionale. Si tratta in particolare di previsioni normative locali o regionali le quali fissano limiti e divieti all’installazione di impianti di telecomunicazione o stabiliscono procedure amministrative di autorizzazione all’istallazione degli impianti difformi rispetto a quanto previsto dal quadro normativo statale. Tali ostacoli restringono ingiustificatamente la concorrenza nei mercati delle telecomunicazioni e rischiano di determinare ricadute negative rilevanti sui livelli di servizio erogati ai consumatori e alle imprese, nonché sulla competitività dell’Italia nei confronti di altri Paesi.”
E per questo credo che il Governo debba impegnarsi innanzitutto:
a) a tener conto dello sviluppo tecnologico in atto nel settore delle telecomunicazioni e delle opportunità di crescita e competitività che tale sviluppo offre al Paese;
b) a adoperarsi nelle sedi più opportune, facendo ove necessario ricorso a interventi di tipo legislativo per rivedere e migliorare l’impianto normativo alla base della realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione nazionali di rete mobile, perseguendo l’obiettivo di una maggiore omogeneità e semplificazione normativa a livello locale
Dobbiamo decidere da che parte stare: quello del declino o quello dello sviluppo?
Io credo dalla parte del secondo e in tal senso accoglierei l’appello che Jeremy Rifkin ha rivolto all’Italia e agli italiani qualche anno fa:
“La rivoluzione digitale è comunicazioni digitalizzate, energia digitalizzata, trasporti digitalizzati, città digitalizzate. Questa è la strada da prendere. E bisogna farlo subito. Sapete perché? Nessuno batte la creatività italiana. Ma potete guidare questa rivoluzione soltanto se ne capirete l’importanza. Perché è solo così che si batte il declino”.