L'APPROFONDIMENTO

Algoritmi contro umani, solo i “contaminati” si salveranno

Nell’era dell’Intelligenza artificiale la corsa all’iperspecializzazione è una guerra persa in partenza: la vera sfida per l’umanità si gioca su fronti che le “macchine pensanti” non riescono a raggiungere. Incrocio di codici e saperi, lateralità, interdisciplinarietà le nuove skill future proof

Pubblicato il 11 Set 2020

Giulio Xhaët

Digital Strategist, Newton Management Innovation

intelligart

Nell’era dell’algoritmo l’iper specializzazione sta diventando un limite, perché il migliore iper specialista di sempre è l’intelligenza artificiale. E lo diventerà sempre di più, lasciando al palo milioni di professionisti umani.

I contaminati – coloro che sanno muoversi tra discipline, saperi e culture diverse – abitano invece  spazi dove gli algoritmi si muovono a fatica: i ponti, le intersezioni, i link inaspettati. Per questo le loro qualità sono sempre più richieste nelle aziende, nascono università e scuole di formazione che mettono al centro la contaminazione e che si stanno rivelando le più adatte per affrontare le sfide dei prossimi anni.

Secondo il filosofo francese Bernard Stiegler viviamo in una “società automatica” attraversata dalle routine digitali e dai processi automatici, in cui vince chi ha più dati e risorse per sviluppare algoritmi che imparano da soli: una vera e propria “softwarizzazione globale”.

Per questo, i lavori che possono essere definiti con precisione sono minacciati dalle macchine. Come spiega Anders Sandberg, ricercatore al Future of Humanity Institute di Oxford: “I lavori attualmente sicuri sono quelli difficili da definire”.

Leonardo, il re dei contaminati

Nel libro #Contaminati (Hoepli, 2020) tratteggio una serie di abilità che svolgono il ruolo di “agenti della contaminazione”, con cui ciascuno di noi può assurgere a protagonista di un nuovo Rinascimento possibile. Non a caso il contaminato per eccellenza è il nostro Leonardo Da Vinci, un vero e proprio archetipo: per assemblare un Leonardo oggi servirebbero ben 13 specialisti.

Ma non serve essere geni rinascimentali per sviluppare il proprio quoziente di contaminazione. È un percorso alla portata di ogni persona altamente curiosa e motivata. Analizziamo di seguito le principali competenze dei #Contaminati, vere e proprie skill a prova di futuro.

Link Learning, il potere della propagazione

La branca più potente dell’intelligenza artificiale è il machine learning. Come può distinguersi da essa lo human learning? Cosa faticano a imparare le macchine?

Più che nei secoli passati, è importante apprendere non solo per approfondimento, ma anche per propagazione. È la capacità di muoversi orizzontalmente, far transitare la mente da un contesto a un altro. Lo scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke l’aveva battezzata “transilienza”, mentre Frans Johansson, nel suo Effetto Medici, parla di “danza nelle intersezioni”.

Innovatori del calibro di Thomas Edison, Marie Curie, Albert Einstein, Steve Jobs e Elon Musk si sono formati in altri ambiti rispetto a quelli canonici o non hanno addirittura ricevuto alcuna formazione tradizionale. Il che ha permesso loro di sfidare o ignorare gli assunti che gli specialisti danno per scontati. Chiunque può apprendere per propagazione, e un contaminato afferra e assorbe concetti più rapidamente della norma.

Per tre motivi: è abituato a sentirsi un principiante e mantiene un atteggiamento umile. Inoltre, deve ripartire da zero sempre di meno, perché travasa tecniche e conoscenze da una disciplina all’altra. Infine, la passione porta a dedicare ore alla ricerca, a leggere in modo famelico concentrandosi sulla nuova materia. La passione è nemica giurata della superficialità, la sconfigge. È quella cosa che vi tiene svegli fino alle 2 del mattino senza che nessuno ve l’abbia chiesto.

Specialisti e contaminati

Per questo, la profondità non è una prerogativa esclusiva degli specialisti: un contaminato trasforma le curiosità in passioni, o addirittura in sane ossessioni. Se non siete stati superficiali, avrete appreso qualcosa che con tutta probabilità vi tornerà utile più avanti nella vita.

Detto questo, anche uno specialista può essere un contaminato. Una persona può studiare e lavorare tutta la vita dedicando gran parte del proprio tempo a una singola disciplina. Contaminarsi non significa per forza cambiare attività o settore. Possiamo attingere da mondi che ci stanno accanto, irrobustendo le conoscenze specialistiche con elementi inattesi, potenziando così una mentalità eclettica. Il professionista non contaminato è invece l’iper-specializzato che non si interessa a ciò che accade attorno, e lateralmente alla propria disciplina, che si muove inn profondità senza mai alzare lo sguardo nel tentativo di ampliarsi.

Così come il non contaminato è colui che si affanna nel portare avanti simultaneamente mille progetti alla stessa intensità, cercando di “fare tutto”, flirtando con il fantomatico multitasking, che come gli esperti hanno chiarito da anni, per il cervello umano semplicemente non esiste. Il multitasking esiste solo per l’intelligenza artificiale, che sa processare diverse attività simultaneamente, in parallelo.

Le nostre energie e il nostro tempo sono in tal senso limitate, per questo il tuttofare fa degenerare l’apprendimento contaminato in approssimazione e inconcludenza. Anche per il link learning insomma, rimane valida la celebre affermazione di Steve Jobs: “Sapere cosa non fare è altrettanto importante di sapere cosa fare”.

Complex Problem Solving

Un algoritmo è perfetto in situazioni dove seguendo delle regole trovi la soluzione, ma rimane fregato se più delle regole contano le eccezioni. L’habitat dove non esistono regole fisse è la complessità. Difatti, un sistema è complesso se è costituito da elementi fortemente interconnessi, è instabile e non rimane mai uguale a stesso. Ecco perché un mondo sempre più interconnesso diventa sempre più complesso. Per dirla alla Lorenzo Cherubini, uno scenario (e così un problema) complesso rappresenta un “ombelico del mondo”: un ambiente dove le regole non esistono, esistono solo le eccezioni.

Il pioniere della cibernetica William Ross Ashby è celebre per la sua “legge di varietà necessaria”, che recita: only variety can destroy variety. Ovvero, per governare una situazione con un alto grado di varietà (quindi complessa), serve qualcuno che disponga di una varietà interna uguale o superiore a quel sistema.

I contaminati dispongono di un’ampia varietà interna, perché vivono esperienze diversificate e sanno osservare un problema da numerosi punti di vista. Tanto che potremmo ribattezzare la legge di Ashby come una “legge di contaminazione necessaria”.

Domandatevi: la varietà che riuscite a mettere in campo può battere la varietà del problema e condurvi verso una buona decisione? Your variety can destroy variety?

Siate pronti a dubitare e mettere i dogmi in discussione. Tutti. Fabrizio De André lo fece con le 10 regole più celebrate del mondo occidentale: i 10 comandamenti. Ascoltatevi Il testamento di Tito.

Creative Hacking: rompere le righe

Gli algoritmi sono regolatori e filtri che si adattano a gran velocità, sono freni giocanti. Ma gli esseri umani sanno fare un’altra cosa. Noi sappiamo giocare in modo sfrenato con l’immaginazione.

Kurt Cobain, leader dei Nirvana, quando fece uscire l’album Nevermind del 1991, generò una musica che contaminava elementi distanti tra loro: un suono grezzo che ripescava dal punk sonorità ruvide e semplici, linee melodiche orecchiabili che strizzavano l’occhio ai Beatles, e testi dal sapore cantautorale che, a differenza del folk-storytelling dove il maestro incontrastato era Bob Dylan, sfruttava lo stile cut’n’paste (“taglia e incolla”) in voga tra gli scrittori della beat generation, quali Jack Kerouac e William Burroughs. Nessun algoritmo di intelligenza artificiale sarebbe riuscito a ricreare a tavolino una novità del genere: accostamenti arditi e spericolati, che rispecchiano le capacità creative umane al loro massimo.

Quale domanda sappiamo porci che l’algoritmo fatica a mettere a fuoco? Quali sono le domande algoritmicamente inconcepibili? Sono questi gli interrogativi su cui investire del tempo.

Seguiamo il consiglio dello Yuval Noah Harari: “Per ogni dollaro e ogni minuto che investiamo per migliorare l’intelligenza artificiale, sarebbe saggio investire un dollaro e un minuto per migliorare la coscienza umana”.

La Network Inclusion e la sequoia

La contaminazione culturale è una condizione sempre più ricercata, a causa della globalizzazione interconnessa che abbatte le distanze. Chi sa tradurre non solo e non tanto una lingua, ma le particolarità di una cultura diversa, possiede un’abilità estremamente preziosa.

Sapete perché le sequoie si chiamano così? Riprendono il nome di Sequoyah, l’uomo a cui sono state titolate per rendergli omaggio dell’impresa straordinaria che lo vide protagonista. Sequoyah era un sanguemisto: metà nativo americano (sua mamma era una Cherokee) e metà teedesco. I nativi americani erano impressionati dalla scrittura occidentale: le lettere di corrispondenza erano state battezzate “foglie parlanti”. Quando Sequoyah disse che voleva inventare un linguaggio Cherokee per leggere e scrivere, tutti gli risposero che era un’idea ridicola. Ma lui non rinunciò: il suo non appartenere del tutto a un unico popolo fu la sua forza. Non osservava gli occidentali con diffidenza, ma con curiosità, in quanto anch’egli ne era in parte figlio.

Dopo 12 anni, presentò un sillabario di 85 caratteri, così semplice da imparare che in appena 12 settimane migliaia di Cherokee furono in grado di leggere, il che fornì lo stimolo alla comunità per fondare The Cherokee Phoenix, il primo giornale dei nativi americani.

I contaminati che sfruttano la network inclusion come crocevia tra popoli diversi aiutano altre persone, aziende e associazioni a comprendere come un’altra cultura legge i nostri comportamenti e viceversa, fungendo da “interpreti culturali”.

Le università della contaminazione

Chiudo questo viaggio introduttivo sull’importanza dell’interdisiplinarietà segnalandovi alcuni luoghi “ad alta contaminazione” che stanno lasciando un segno importante in diversi luoghi del mondo, e che a mio avviso stanno tracciando dei modelli da riprendere e ampliare.

È un simposio di storytelling che riunisce scrittori e artisti con scienziati e ingegneri informatici. Il concetto alla base è che le persone diventino story-driven (più che data-driven) in quanto il mondo si comprende più grazie alle narrazioni che attraverso le analisi.

Un’università-startup. La sua idea di fondo è l’immersività culturale. Gli studenti intraprendono fino a 7 viaggi-studio in città e zone del mondo lontane, per favorire la germinazione di network contaminati da differenti culture.

Lanciata nel 2019 e promossa da aziende come Virgin e McKinsey, la missione della LIS è l’apprendimento interdisciplinare: fisica e chimica si fondono con storia e filosofia, la storia dell’arte con l’ingegneria informatica e l’analisi dei dati.

  • Finnish public schools (Finland)

Dal 2016 ogni scuola finlandese deve garantire un “approccio collaborativo”: gli studenti scelgono un argomento di loro interesse e impostano intorno a esso un’attività progettuale con altri compagni, lavorando in team.

A tutti voi, buona contaminazione dei saperi, delle discipline e delle culture.

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