Enti pubblici e organizzazioni devono fare legal procurement per individuare i professionisti adatti alle loro esigenze. Tuttavia, la pratica è difficoltosa complici la poca chiarezza sulle procedure adeguate da una parte, la normativa e l’offerta. In questo contesto, emergono esperimenti come il Protocollo d’intesa sul mercato legale 4.0. Vediamo di cosa si tratta.
Lo scenario
L’affidamento di incarichi legali esterni da parte di organizzazioni – soprattutto pubbliche, ma anche private – ha attirato ripetutamente l’attenzione degli organi di stampa, a livello nazionale e locale, generando decine di casi di cronaca. Quando lo ha fatto, come è facile immaginare, è stato per sollevare mancanza di chiarezza e trasparenza, e l’esistenza di “casi”. Da un lato, enti territoriali come Comuni, Province, Regioni e non territoriali come le società partecipate, insieme alle imprese, hanno spesso bisogno di fare legal procurement per acquistare servizi di assistenza legale e fiscale. Dall’altro, farlo in maniera che sia insieme efficiente (cioè coniugando qualità ed economicità nella miglior formula possibile) e trasparente sembra una chimera. Il carattere intellettuale dell’assistenza stessa è sicuramente il principale motivo che ne rende l’acquisto particolarmente “scivoloso” e difficile da rendere “accountable” nei confronti dei contribuenti (per i soggetti pubblici) o gli share/stakeholders (per i soggetti privati).
Come superare quest’impasse del versante “corporate” del mercato legale? Una buona soluzione di partenza può essere cercare di fare incontrare soggetti diversi e mettere nero su bianco una serie di principi condivisi che dovrebbero regolarlo. Il mercato legale è, pur sempre, un mercato, dunque la “missione” richiede più fare mente locale con onestà intellettuale che non prodursi in invenzioni particolarmente complesse. Professionalità, apertura e concorrenza, trasparenza e tracciabilità sono i pilastri su cui si deve appoggiare il rapporto tra chi acquista un servizio e coloro che lo offrono. Per quanto banale possano sembrare, tutti questi principi passano in subordine nel momento in cui domina quello che, fino a poco tempo fa, era l’incontestato criterio guida del legal procurement in tutti gli ambiti: l’intuitu personae, o rapporto fiduciario.
Il Protocollo d’intesa sul mercato legale 4.0
Da queste riflessioni è nato, lo scorso ottobre, il “Protocollo d’intesa sul Mercato Legale 4.0”. L’intesa, in partenza, è quella tra tre soggetti diversi tra loro, interessati a una svolta nel paradigma di mercato legale in Italia. Il primo è 4cLegal, società che gestisce e licenzia l’uso di piattaforme digitali di legal procurement a organizzazioni pubbliche e private. Il secondo è l’Associazione Italiana Giovani Avvocati (Aiga), interessata a un mercato più inclusivo, che valorizzi le competenze dei professionisti al di là del rapporto personale tra gli avvocati di più lungo corso e coloro che acquistano servizi legali, naturalmente penalizzante nella prospettiva dei giovani. Il terzo è l’Associazione Nazionale Uffici Tributi Enti Locali (ANUTEL), interessata a “forzare” gli oligopoli creati dall’inerzia e dal passaparola nel campo dell’assistenza in materia di diritto tributario, creando un pool più ampio di professionisti a cui rivolgersi disintermediando la domanda e l’offerta. A questi si sono aggiunti, e si stanno aggiungendo, decine di altri soggetti (soprattutto avvocati) che concordano col bisogno di “cambiare marcia”: il Protocollo è infatti un documento aperto, in primis a sottoscrizione da parte di chi ne condivide i contenuti, in secondo luogo a piccole integrazioni nel caso se ne ravvisi la possibilità.
L’esperimento, già così, è interessante: non ci sarebbe bisogno di dire – ma vista la sede lo facciamo comunque – che l’incontro “originale” 4cLegal-Aiga-Anutel e quello successivo con coloro che hanno sottoscritto il Protocollo è stato reso principalmente possibile dal fatto che il documento nasce digitale ed è disponibile in rete. Ma il ruolo della digitalizzazione nel Protocollo non si limita assolutamente a questo. L’elemento distintivo – quello che, speriamo, farà la differenza con altre carte dei valori encomiabili ma rimaste sostanzialmente lettera morta – è che il documento associa i principi a delle prassi per realizzarle. E queste prassi sono digitali: la creazione di elenchi di avvocati accreditati e lo svolgimento di confronti concorrenziali tra di loro, svolto con processi davvero informatizzati – e non con modalità analogiche trasferite pari pari in ambiente digitale, come l’estrapolazione manuale di informazioni da email PEC e il loro riversamento altrettanto manuale in fogli Excel. Sulla buona e piena digitalizzazione del processo di legal procurement abbiamo scritto nel nostro primo intervento per Agenda Digitale.
Digitalizzazione ed etica pubblica
L’associazione tra digitalizzazione ed etica pubblica (e, con riferimento al settore privato, l’etica di impresa) è uno degli aspetti più interessanti e innovativi che è emesso dall’elaborazione del protocollo. E, ancora di più, dalla sua comunicazione – un elemento fondamentale. Il documento infatti è uno strumento che ci ha permesso di incontrare, in diverse sedi, altri soggetti che vedono nel digitale l’occasione per scardinare in maniera concreta e positiva lo status quo. Lo scorso ottobre, tutti i promotori del Protocollo hanno partecipato a un convegno intitolato “Lotta alla corruzione: volontà, metodi e strumenti” (un titolo significativamente più ampio della sola nicchia del legal procurement). Qui la digitalizzazione è emersa, senza che fosse specificatamente previsto, come presidio anticorruttivo importante. Possiamo fare l’esempio dell’Associazione “Riparte il futuro”, attualmente al lavoro nell’elaborazione di una proposta di legge che regoli e ordini finalmente la pratica del lobbying in Italia. Rendere digitali alcuni strumenti classici di lobbying ordinato – come il registro dei portatori di interesse in relazione a un determinato provvedimento, e l’agenda degli incontri tra il legislatore e i portatori d’interesse stessi – si è rivelato essere un obiettivo da perseguire. Più di recente, proprio sulla base del Protocollo si è instaurata una collaborazione con Synapt, che si occupa dell’importanza degli Open Data nella PA, sia dal punto di vista sia dal punto di vista della business intelligence – instaurando un nesso efficienza-trasparenza che sta al cuore anche del documento.
Siamo impegnati a costruire, con soggetti “like-minded” un framework solido che mostri il rapporto inestricabile tra buona digitalizzazione e buona amministrazione. È anche questo, in fondo, lo spirito che ci ha portati a contribuire al progetto editoriale di Agenda Digitale.