Negli ultimi anni si è assistito al proliferare di ruoli in azienda con responsabilità sui processi di trasformazione digitale e innovazione: al ben noto Chief Information Officer si sono affiancati il Chief Digital Officer e il Chief Technology Officer. Vediamo perché un’ulteriore figura, il Chief Innovation Officer è sempre più richiesta da Industria 4.0 e i vantaggi che può portare al business.
CInO: lo studio dell’Università di Pavia
All’Università di Pavia abbiamo cercato di dare un contributo per fare chiarezze su queste dinamiche con un approfondimento specifico sul ruolo del ‘Chief Innovation Officer’ (CInO), quale figura che – fra le varie sopra citate – va a considerata a sé in quanto si differenzia in virtù di una caratteristica ben precisa: è vitale per lo sviluppo digitale, ma non si occupa di digitale. O quantomeno, non solo e non come missione primaria. Come già discusso in un precedente articolo di AgendaDigitale, il CInO presiede al più alto livello gerarchico i processi di innovazione, interpretando la potenzialità delle tecnologie digitali – e non solo – quale mezzo per immaginare nuovi prodotti e proposizione di valore dirompenti, ripensare i processi organizzativi, porre le basi per nuovi modelli di business. Le differenze rispetto, ad esempio, il ruolo di un ‘Chief Information Officer’ (CIO) sono quindi molto marcate.
Dopo una prima fase del nostro studio incentrata solo su dati pubblici, abbiamo svolto un approfondimento grazie a questionari strutturati ed interviste in profondità. Siamo così arrivati ad una nuova serie di risultati basati su un campione di 202 questionari compilati da altrettanti dirigenti con la massima responsabilità sui processi di innovazione in azienda (a prescindere dallo specifico job title), da ogni settore. Tali dati sono stati integrati da informazioni qualitative ottenute grazie a 12 interviste in profondità ad altrettanti Chief Innovation Officer (CInO).
Qui riportiamo alcuni risultati di questo studio, precisando che trattasi di dati non definitivi in quanto l’interesse verso l’argomento ci ha convinti ad estendere ulteriormente il campione d’indagine (tale fase di mappatura e raccolta dati è ancora in corso, con l’obiettivo di arrivare a 300 CInO).
CInO, un’irresistibile ascesa
In primo luogo, trattasi di un ruolo relativamente nuovo, ad oggi presente solo nel 2,2% delle imprese italiane, ma in forte ascesa. Entro il 2025, stimiamo che nelle medio-grandi imprese tale percentuale arrivi a quantomeno al 12,8% (stima prudenziale al ribasso). È un ruolo già oggi diffuso pressoché in ogni settore, con tuttavia alcune aree di maggior diffusione/concentrazione. In primis, nelle imprese con un forte imprinting digitale e che si occupano di software (21.2%). È poi una figura molto diffusa nelle LifeSciences (12.6%) – pharma, biotech, tecnologie medicali, etc. –, nelle quali l’innovazione continua è già nel DNA da tempo.
Dove invece si sta diffondendo più recentemente e rapidamente è il mondo bancario-assicurativo, il quale riconosce il bisogno di rinnovarsi per rispondere al fenomeno delle fintech, nonché nel mondo manifatturiero, dove si sta comprendendo che la sfida dell’Industry 4.0 va oltre la mera adozione di nuove tecnologie. È una rivoluzione culturale e nei modelli di business, da cui il bisogno di una figura che possa cogliere queste sfaccettature a 360° (così il CIO/CDO viene affiancato dal CInO), con una visione olistica di trasformazione totale oltreché digitale, in grado di abbracciare tutte le funzioni entro l’azienda, arrivando anche oltre i confini aziendali, in una logica di filiera e secondo principi ispirati al paradigma Open Innovation.
Secondo questa chiave di lettura, è interessante notare che il CInO viene ancora scelto in quasi la metà dei casi (47%) fra chi ha un background tecnologico, scientifico, o comunque affine al mondo digitale. Addirittura, nel 21.7% dei casi la delega sull’innovazione è espressamente data a chi si occupa di tecnologia (CIO, CDO, CTO). Oppure, capita non di rado che il CInO risponda al Chief Information Officer (5,9% dei casi in assoluto, che diventa 40,0% se si escludono i casi in cui il CInO riporta direttamente al CEO).
Il background giusto per rompere gli schemi
Al tempo stesso, è in forte crescita la scelta di puntare su un CInO con un background in grado di ‘rompere gli schemi’. Ad esempio, nel 26% dei casi è una figura proveniente dall’esterno, nel 9.1% era il CEO di una startup appena acquisita. Sempre più spesso si punta poi su figure con un background umanistico, come filosofi o psicologi. L’obiettivo è proprio quello di instillare una cultura dirompente in azienda, talvolta anche ’giocando sporco’ se necessario, o quantomeno in modo molto determinato, senza compromessi.
Ma di cosa si occupa esattamente un CInO? La figura 1 mostra uno spaccato circa le principali attività svolte, riportando la loro importanza in una scala da 1 a 5 in quanto a rilevanza strategica e risorse assorbite. Lo stesso grafico mostra anche la differenza fra imprese più e meno performanti (in termini di crescita di fatturato negli ultimi tre anni, dividendo il campione in due gruppi di uguale popolosità).
Figura 1. Le attività di un Chief Innovation Officer (CInO). Fonte: Università di Pavia, 2019
La priorità è chiara: capire cosa avviene tutt’attorno – trend tecnologici e/o di mercato – per sviluppare una cultura orientata all’innovazione in tutta l’azienda, aiutando le altre funzioni ad innovare, crescere sotto questo punto di vista per cogliere opportunità latenti e non solo, anche stimolando ‘discontinuità nelle routine’ in virtù di collaborazioni con terze parti. Quindi il CInO non presiede una unità organizzativa che intende essere l’unica e/o la principale fonte d’innovazione, l’origine delle idee più creative. È piuttosto una sorta di funzione in staff a tutte le altre, per far sì che l’intera organizzazione sappia trasformarsi, evolvere, generare soluzioni dirompenti.
Un chief non digitale per l’innovazione digitale
Interessante notare che – in linea alle considerazioni sopra accennate – trasformazione digitale e sviluppo tecnologico si configurano in figura 1 come priorità relativamente secondarie nell’agenda di un CInO, per quanto si assiste un’attenzione decisamente più marcata verso la costruzione di una cultura digitale nelle imprese più performanti.
Un approfondimento di questo dato ci permette di affermare che ciò è vero specie nelle realtà manifatturiere. In altre parole, si ha un’ulteriore conferma circa il fatto che nel quadro della cosiddetta rivoluzione Industry 4.0 la trasformazione digitale è solo una precondizione necessaria – meglio: fondamentale – ma di certo non sufficiente. Senza avviare congiuntamente anche una trasformazione culturale, senza abbinarla ad uno sviluppo del portafoglio di collaborazioni interaziendali, in assenza di una attenta attività di scouting per capire come le tecnologie esponenziali (intelligenza artificiale, robotica, 3d printing, etc.) possano abilitare nuove opportunità di business, la fabbrica diventa forse un po’ più digitale, ma difficilmente anche più ‘intelligente’.
Le imprese italiane stanno comprendendo queste dinamiche? Il nostro Paese forse necessita di un CInO tarato sulle specificità della realtà italiana? Di sicuro bisogna prendere atto che ogni organizzazione ha bisogno di disegnare questo profilo rispetto alle proprie esigenze: non aiuta pensare a questa figura professionale come ad un ruolo monolitico adatto a qualsiasi contesto.
Chief Innovation Officer, un ruolo su misura
Nel corso della nostra indagine, le imprese più performanti hanno palesato un’idea più chiara di chi e cosa debba essere un Chief Innovation Officer, raccontando peculiarità originali e aneddoti emblematici su come sia stato importante costruirsi un ruolo ‘su misura’. Questo è un dato di consapevolezza molto importante che emerge tanto dalle interviste quanto dai dati elaborati grazie ai questionari. Le sfumature del ruolo sono infatti molteplici, mentre competenza e livelli di leadership necessari sono di alto livello e quindi non sempre facili da individuare. Stiamo parlando di un C-Level, non genericamente di un innovation manager, è bene ricordarlo.
La vera sfida è probabilmente proprio questa: se infatti è relativamente semplice immaginare il profilo ‘tipo’ e la lista di competenze che deve padroneggiare un Chief Information Officer, o un Chief Marketing Officer, tutto diventa dannatamente più difficile per un Chief Innovation Officer, il quale deve avere un abito ‘tailor-made’ rispetto alle problematiche ed alle sfide aziendali, in modo molto più marcato rispetto ad altri ruoli.
Questa considerazione – che a qualcuno potrebbe apparire banale – è molto più rilevante e sottile di quanto non si pensi. Per comprenderlo, si pensi che il destino di un CInO è segnato da un curioso paradosso: se fa bene il suo lavoro, diventa inutile. Tim Cook ha affermato che Apple non ha un Chief Innovation Officer in quanto “as soon as a company has a Chief Innovation Officer you know that a company has a problem”.
È vero: se un’impresa è davvero innovativa e dirompente, se lo è ad ogni livello ed in ogni suo dipartimento, se sa preservare questa condizione d’eccellenza nel tempo… beh, certo che un CInO non le serve. Il punto è: quante aziende nel mondo possono affermare di aver davvero raggiunto tale condizione? Temo ben poche. Ecco perché un CInO serve eccome e perché il suo compito sia capire quale sia la ricetta specifica per la propria organizzazione, con la mission di diventare innovativa nel DNA e di restarlo nel tempo.
Peraltro, personalmente il CInO io non lo licenzierei dopo aver raggiunto tale obiettivo, in quanto lì comincia la sfida: preservare uno spirito innovativo e sognatore nel tempo, senza sedersi sui propri successi. Chissà, forse anche Tim Cook avrebbe oggi bisogno di riconsiderare il proprio pensiero e rivalutare l’ipotesi di introdurre un CInO in Apple.