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Scuola online, la lezione che anche il Miur deve imparare

Il coronavirus sta mettendo a dura prova le strutture portanti del Paese: sanità e scuola. Il digitale può avviare una profonda trasformazione, ma bisogna prendere coscienza – anche il Miur – che il cambiamento non si improvvisa quando c’è una emergenza, ma va progettato, realizzato e sperimentato in un ampio arco temporale

Pubblicato il 11 Mar 2020

Vittorio Midoro

già dirigente di ricerca CNR presso l'Istituto Tecnologie Didattiche

istruzione

Il digitale ha cambiato radicalmente non solo il modo di eseguire i compiti, ma anche le organizzazioni a questi deputate – home banking per le banche, social communication per gli enti pubblici, ecommerce per il commercio, selfpublishing per l’editoria . Tutte le organizzazioni, meno una: la scuola. Forse perché manca una visione strategica “dall’alto”, come dimostra anche l’approccio adottato per affrontare il blocco della didattica dettato dall’emergenza coronavirus.

La chiusura delle scuole disposta per fronteggiare l’epidemia del Covid-19 ha fatto infatti emergere l’esigenza di potere studiare anche senza essere presenti in un istituto scolastico. La scuola già prevede che per imparare si facciano compiti a casa, ma lezioni del professore a casa, assegnazione dei compiti, interrogazioni, questo no, non si è visto quasi mai.

Fermare la scuola sembra equivalere a fermare l’apprendimento delle materie scolastiche. E allora come si fa a finire il programma senza andare a scuola? E senza andare a scuola, come possono prepararsi i ragazzi che devono sostenere un esame?

La risposta del Miur all’emergenza coronavirus

Il MIUR risponde rendendo disponibile una pagina web vista come un:

“…ambiente di lavoro in progress per supportare le scuole che vogliono attivare forme di didattica a distanza nel periodo di chiusura legato all’emergenza coronavirus.

Le istituzioni scolastiche possono fare questa scelta in totale autonomia e senza nessun obbligo.

Da questa sezione è possibile accedere a: strumenti di cooperazione, scambio di buone pratiche e gemellaggi fra scuole, webinar di formazione, contenuti multimediali per lo studio, piattaforme certificate per la didattica a distanza.

I collegamenti delle varie sezioni di questa pagina consentono di raggiungere ed utilizzare a titolo totalmente gratuito le piattaforme e gli strumenti messi a disposizione delle istituzioni scolastiche grazie a specifici Protocolli siglati dal Ministero.

Tutti coloro che vogliono supportare le scuole possono farlo aderendo alle due call pubblicate dal Ministero lo scorso venerdì che contengono anche i parametri tecnici necessari.”

Commentiamo alcuni passaggi.

“Supportare le scuole che vogliono attivare”…

Questa semplice frasetta rivela che la scuola italiana non è concepita come un sistema complesso, in cui l’innovazione tecnologica è pianificata e realizzata secondo una visione strategica, ma come un insieme di monadi autonome, almeno per quanto riguarda le tecnologie.

“Se le scuole vogliono attivare forme di educazione a distanza, lo facciano pure, noi le supporteremo”. Come se una banca volesse realizzare un sistema di home-banking e dicesse alle filiali “se volete realizzare una qualche forma di home banking fatelo pure, io vi supporterò”.

La scuola è più importante di una banca perché riguarda il futuro della società, a maggior ragione ci vorrebbe una visione del ruolo che le tecnologie possono giocare in un’innovazione necessaria per adeguarla ai nuovi bisogni. Il cambiamento della scuola non si improvvisa quando c’è un’emergenza, ma va progettata, realizzata e sperimentata in un ampio arco temporale. E soprattutto questo cambiamento non può riguardare solo ristrutturazioni dei livelli scolari, riforme dei programmi e modalità di svolgimento dell’esame di stato, come è stato finora, ma deve investire tutti gli aspetti in cui si articola un sistema complesso come la scuola, compreso l’uso sistematico delle tecnologie digitali per l’apprendimento.

“Forme di didattica a distanza”

Lo scenario che abbiamo davanti è questo: ci sono scuole che hanno le condizioni per realizzare forme di elearning e altre che non ce l’hanno. Lasciamo da parte il problema pur importante del divario che si crea tra gli studenti dei due tipi di scuole, e consideriamo quali sono queste condizioni. Innanzitutto, ci devono essere insegnanti capaci di usare piattaforme di comunicazione e condivisione, condizione necessaria ma non sufficiente. Poi, questi insegnanti devono essere anche in grado di progettare e realizzare ambienti di apprendimento che integrino tecnologie digitali. In altri termini devono essere progettisti esperti di learning design. Possono essere improvvisate queste competenze? Non credo. Un’altra condizione necessaria è che i ragazzi siano connessi, abbiano a disposizione un dispositivo personale e sappiano usarlo a un livello adeguato all’apprendimento. E chi non ce l’ha? Si arrangi.

“Nel periodo di chiusura legato all’emergenza coronavirus”

Qui si rivela la mancanza di visione del possibile impatto della rivoluzione digitale sulla scuola. Finita l’epidemia non appare più necessario l’apparato di elearning realizzato in fretta e furia dalle scuole volenterose. L’elearning è servito solo per l’emergenza, poi si torna alla normalità.

“In totale autonomia e senza nessun obbligo”

I governanti sembrano volersene lavare le mani. “Care scuole se volete, ma, sia ben chiaro, solo se volete, senza nessun obbligo, attivate forme di didattica a distanza.” E del resto come potrebbero obbligare le scuole a fare quello che da gran tempo avrebbero dovuto fare loro, e non lo hanno mai fatto, ponendosi il problema dell’ibridazione degli spazi di apprendimento in presenza con quelli nuovi aperti dalla rivoluzione digitale?

“È possibile accedere a…”

Questo è un aspetto molto positivo, perché sottolinea la consapevolezza del MIUR sull’utilità di un repertorio di risorse aperte per l’apprendimento, condivisibile dalla comunità degli insegnanti progettisti. Visitando il sito, emerge la ricchezza di risorse digitali rese disponibili da prestigiose istituzioni culturali per la scuola. L’ampliamento di queste risorse a gran parte del patrimonio culturale, reperibile solamente nel nostro paese (penso ai nostri musei, ai teatri dell’opera, ai siti archeologici, ecc.) potrebbe essere una ricchezza non solo per la scuola italiana, ma per le scuole di tutto il mondo, contribuendo ad arricchire il patrimonio delle Open Educational Resources, di cui l’UNESCO promuove l’utilizzo per i sistemi educativi mondiali. Tuttavia, per sfruttare queste risorse per l’educazione bisogna essere capaci di progettare percorsi di apprendimento che le integrino e, come ricordato, sono necessarie abilità di learning design, non molto diffuse in una scuola ancora basata sui libri di testo.

“Tutti coloro che vogliono supportare le scuole possono farlo”

Anche questo è un appello agli “uomini di buona volontà” che tradisce il carattere emergenziale dell’intervento. Perché solo quando c’è un’emergenza coinvolgere chi potrebbe e vorrebbe essere coinvolto? La mia risposta è semplice e sempre la stessa: perché manca una visione sistemica dell’innovazione scolastica, o, se preferite, manca una visione di una scuola nuova, ben diversa da quella che abbiamo conosciuto.

Conclusioni

Dicono che in cinese la parola “pericolo” sia tradotta con un termine che racchiude due concetti: “rischio” e “opportunità”. Applicando questi concetti ad alcune frasi oggi ricorrenti come “il sistema sanitario è in pericolo” oppure “la scuola è in pericolo”, si ottiene: “il sistema sanitario rischia, il sistema sanitario ha un’opportunità” e “la scuola rischia, la scuola ha un’opportunità”. Frasi queste piene di senso che contengono un suggerimento: se il sistema sanitario sta rischiando il collasso di fronte a una grave epidemia e la scuola sta rischiando di perdere la sua “missione”, cogliamo questa occasione per avviare un cambiamento profondo del sistema sanitario e della scuola.

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