Le tecniche

A caccia di evasori con Google Maps: come i furbetti si tradiscono in rete

L’uso delle fonti aperte è una risorsa importante per Agenzia delle entrate e Guardia di finanza, perché consente di individuare elementi utili per gli accertamenti: emblematici casi che hanno riguardato l’utilizzo di Google Maps

Pubblicato il 31 Ago 2020

Gianluca Lega

Commercialista

evasione privacy

Non sono solo eventuali anomalie nei conti correnti che fanno avviare i controlli fiscali: anche la vita online dei contribuenti può far scattare un accertamento. L’Agenzia delle Entrate e le Guardie di Finanza infatti possono attingere anche alle informazioni delle cosiddette fonti aperte, come articoli di giornale, siti, social network, così da acquisire dati sui contribuenti utili a mostrare eventuali incongruenze con quanto dichiarato al Fisco. In particolare, diversi casi hanno riguardato l’utilizzo da parte degli investigatori di Google Maps.

Il precedente

Già dal 2016 il Fisco italiano, nell’elencare le azioni per la prevenzione e il contrasto all’evasione fiscale, faceva riferimento a “fonti aperte”. Vale a dire che chi controlla lo può fare non solo attraverso notizie acquisibili dalle banche dati a disposizione dell’agenzia ma anche attraverso altre fonti. A chiarirlo è stata la stessa Agenzia delle Entrate con la circolare n.16/E/2016 nel quale veniva riportato che “Dal punto di vista operativo, alle notizie ritraibili dalle banche dati si aggiungono quelle che pervengono da altre fonti, ivi incluse fonti aperte, per cui lo scenario informativo è ampio e variegato”.

Anche la Guardi di Finanza nella circolare 1/2018 (vol. I e vol. II) del 4 dicembre 2017 stabilisce che “eventuale ricerca di altri elementi utili non risultanti dalle citate banche dati, anche presso gli Uffici e gli Enti pubblici presenti sul territorio, previa adozione delle necessarie cautele per garantire l’indispensabile riservatezza dell’attività da intraprendere. In tale contesto, deve essere posta particolare attenzione alla consultazione delle c.d. “fonti aperte” (articoli stampa, siti internet, social network, ecc.) al fine di acquisire ogni utile elemento di conoscenza sul contribuente da sottoporre a controllo e sull’attività da questi esercitata…”.

Il caso del pubblicitario scoperto con Google Maps

Infatti, le foto di Google Maps, alla base di un recente caso, possono essere usate dall’Agenzia delle Entrate e dalla Guardia di Finanza come prova valida contro gli evasori. In particolare, il caso riguarda un avviso di accertamento per l’imposta di pubblicità relativo al periodo 2009-2014 con il quale veniva contestato al titolare di un’agenzia pubblicitaria di aver promosso la sua attività tramite un veicolo parcheggiato contenente messaggi pubblicitari. La contestazione si fondava sul rilevamento effettuato nel 2009 e nel 2010 tramite foto di Google Earth e di Google Street View e tramite presunzione per le annualità successive fino al 2014 sulla base di un accesso di persona effettuato dall’Agenzia delle Entrate.

Il contribuente tuttavia contestava la validità dell’accertamento anche in virtù del fatto che sono stati utilizzati “file scaricati da Internet privi di qualsivoglia ufficialità”. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 308 del 10 gennaio 2020, ha considerato come elementi validi a supporto di un avviso di accertamento anche le immagini estrapolate da Google. Infatti, le foto scaricate da Google Street View possono essere usate a fondamento di un accertamento tributario.

A riguardo la Corte, richiamando una recente giurisprudenza di legittimità, ha ribadito che “la fotografia costituisce prova precostituita della sua conformità alle cose e ai luoghi rappresentati, sicché chi voglia inficiarne l’efficacia probatoria non può limitarsi a contestare i fatti che la parte che l’ha prodotta intende con essa provare, ma ha l’onere di disconoscere tale conformità” (Sent. Cass. n. 9977/2018). Inoltre, secondo il Consiglio nazionale del Notariato (Studio 7-2007/IG) la copia conforme di una pagina web “avrà l’efficacia probatoria di cui all’articolo 2712 c.c. purché si seguano alcune semplici modalità operative, comuni sia alla copia informatica che a quella cartacea, inserendo: indirizzo internet, tipo di browser, ora, dati relativi ad eventuali certificati di sicurezza.”. Secondo la Cassazione penale, sentenza n. 49571/2018, le riproduzioni di mappe tratte dal servizio online Google Maps (unitamente ad altri elementi) possono costituire una dettagliata e soddisfacente informativa di reato. Mentre secondo un’altra sentenza di Cassazione penale, sentenza n. 48178/2017, i fotogrammi scaricati dal sito internet Google Earth in quanto rappresentano fatti, persone o cose, costituiscono prove documentali utilizzabili in sede penale. Il contribuente che vuole opporsi alla efficacia delle immagini di Google ha l’onere di provare, in maniera chiara ed esplicita, il perché i fatti riportati nelle fotografie sono difformi dalla realtà.

Già in passato, per la verifica delle tasse sugli immobili, l’Agenzia delle Entrate aveva usato Google Street View come strumento per rivalutare il valore degli immobili. Le foto dei luoghi rilevate da internet vengono poste a fondamento degli accertamenti fiscali. Le applicazioni Google Maps e Google Street View, oltre a offrire immagini di strade e vie, consentono anche di tornare indietro nel tempo con immagini passate, datate da Google. La Commissione tributaria provinciale di Pisa (Ctp Pisa sentenza n. 136/2/2007), inoltre, ha avallato l’accertamento compiuto dal Fisco nei confronti di una società che faceva rimessaggio di imbarcazioni. Le indagini sono partite tramite Google Earth poiché le immagini aeree scattate a distanza di tempo mostravano un numero di scafi ben superiore a quello su cui erano state pagate le imposte.

La misura anti evasione francese

Recentemente anche in Francia il Consiglio Costituzionale, dopo aver accertato che la norma è compatibile con i diritti dei cittadini francesi, ha dato il via libera al controllo dei social network per verificare che non ci siano delle anomalie tra il tenore di vita dei cittadini rispetto a quanto dichiarato al fisco. La misura antievasione francese è stata introdotta con l’art 154 della Legge di bilancio 2020[1]. A partire dal 1° gennaio 2020 in via sperimentale e per tre anni, il Fisco francese potrà quindi utilizzare degli algoritmi per controllare che il tenore di vita dei cittadini sia in linea con le loro dichiarazioni dei redditi.

Conclusione

Tuttavia, è ancora da migliorare la collaborazione tra gli operatori di internet e l’amministrazione finanziaria sullo scambio dei dati e delle informazioni. Ad esempio, la norma che prevede l’invio dei dati sulle locazioni brevi all’amministrazione finanziaria da parte degli operatori di gestione (decreto legge 50/2017 art. 4), è stata impugnata dal portale Airbnb.

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Note

  1. Fonte: il sole 24 ore del 27 gennaio 2020.

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