Un approccio tecnologico alla gestione della malattia può essere un valido aiuto per sviluppare nuove cure e per migliorare l’efficienza del sistema sanitario. Le carenze dell’Italia in questo specifico contesto sono emerse in tutta la loro evidenza nella risposta all’emergenza causata dal coronavirus. Il confronto con gli effetti delle misure di contenimento disposte in Corea del Sud, ma anche in Cina, è impietoso: mentre da noi si sono utilizzati strumenti poco tecnologici e decisamente “antiquati” lì dove si è fatto massiccio ricorso alle tecnologie di ultima generazione (sacrificando, come è noto la privacy), la diffusione del virus è stata molto più lenta e il numero dei decessi considerevolmente inferiore.
Passata l’emergenza e senza nulla togliere al lavoro immane e importantissimo che si sta svolgendo nelle nostre strutture sanitarie, la lezione di questa pandemia non potrà essere che quella di attuare senza remore una sanità 4.0 e virare con decisione verso tutti i metodi possibili di gestione tecnologica della malattia.
Ingegneria genetica, IA e sviluppo dei vaccini
Un primo ambito di applicazione della tecnologia è quello dei vaccini.
La frontiera della ricerca è una sinergia fra ingegneria genetica e intelligenza artificiale per accorciare i tempi di test del vaccino e ridurre il lead time del vaccino a 5-6 mesi o ancora per testare la possibilità di usare farmaci esistenti nella cura di nuove malattie, come si sta cercando di fare in questo periodo di emergenza da coronavirus.
Il primo vaccino contro il vaiolo era stato costruito artigianalmente da Edward Jenner utilizzando il virus del vaiolo bovino. Il vaccino contro la rabbia fu preparato da Pasteur inattivando il virus, i due vaccini contro la poliomielite erano realizzati uno con virus morti (Salk) e uno con virus attenuati (Sabin).
Oggi le moderne tecnologie genetiche permettono di non utilizzare i virus responsabili delle epidemie, ma delle loro “controfigure” innocue, ossia dei vettori in cui sono inseriti pezzi di DNA del virus di cui si vuole ottenere l’immunità. Nel caso dei virus a RNA, che sono più piccoli e quindi più semplici, si può utilizzare un altro escamotage per ingannare il sistema immunitario e attivarlo contro il virus, si individua una delle proteine che il virus utilizza come chiave di accesso alla cellula e si insegna al sistema immunitario a reagire a questa senza scatenare la malattia. In questo modo i tempi per trovare un vaccino si riducono notevolmente, ma servono sempre 12-18 mesi non tanto per la costruzione del vaccino, che si può fare in meno di un mese, ma per la verifica della effettiva efficacia e dell’assenza di effetti collaterali che avviene attraverso test in vitro, su animali e con una sperimentazione sull’uomo.
L’intelligenza artificiale e l’ingegneria genetica hanno accorciato quindi i tempi di sviluppo di un vaccino. Questi tempi sono sufficienti a scongiurare le epidemie stagionali di influenza, perché il vaccino base esiste, e ogni anno ne viene prodotta una variante, ma ancora non sono sufficienti a scongiurare un evento pandemico improvviso, come il covid-19.
Gestione dell’emergenza covid-19: Italia vs Corea
La ricerca per l’utilizzo di farmaci esistenti per curare malattie nuove è un altro promettente campo di interazione fra tecnologia, intelligenza artificiale e medicina. In particolare un gruppo di scienziati ha usato degli algoritmi di intelligenza artificiale per testare le capacità di alcuni antivirali e ha individuato una molecola, il Baricitinib, usata per curare l’artrite reumatoide come potenzialmente in grado di contrastare il coronavirus nCoV-2019. Il Baricitinib è un immunosoppressore che agisce bloccando l’azione di enzimi noti come Janus Chinasi. Sarà interessante vedere le verifiche in vivo e in vitro confermeranno questi risultati. Se così fosse il vantaggio sarebbe notevole.
Il caso attuale della pandemia di Coronavirus dimostra ampiamente che un approccio tecnologico alla gestione delle malattie e degli eventi epidemici può essere di gran lunga migliore. È purtroppo necessario dire che nella risposta all’emergenza Covid-19 l’Italia ha utilizzato strumenti poco tecnologici e molto “medioevali”. La quarantena di uno stato intero con il divieto/invito a non uscire di casa è esattamente la stessa misura che sarebbe stata usata di fronte ad un’epidemia di peste qualche secolo fa. Questo approccio ha dei costi economici enormi, perché blocca un paese intero e lo isola dal contesto economico globale, ma purtroppo era l’unica misura che poteva mettere in campo un paese come l’Italia che, pur avendo un sistema di eccellenza dal punto di vista sanitario, è piuttosto carente dal punto di vista dell’approccio tecnologico alla malattia.
Il caso della gestione dell’emergenza Covid-19 da parte della Corea del Sud è emblematico. L’epidemia è iniziata in Corea del Sud prima che in Italia, ha avuto, però, una crescita più lenta, anche se in presenza di un sistema sociale caratterizzato da una maggiore densità rispetto all’Italia. Anche il numero di morti è considerevolmente inferiore e guardando la curva dei decessi si osserva che dopo una fase iniziale di crescita questa comincia a declinare in maniera evidente, segno che le misure di contenimento sono state efficaci.
Le figure seguente mostrano in maniera chiara l’andamento comparato dell’epidemia nei due paesi:
La differenza fra il modello coreano e il modello cinese/italiano
Quale è la differenza fra il modello coreano e il modello cinese/italiano? L’approccio tecnologico alla gestione dell’epidemia e della malattia.
In Corea è stato fatto un numero elevatissimo di tamponi, anche agli asintomatici, i contatti di ogni positivo sono stati tracciati con strumenti tecnologici evoluti come contatti social, sms, transazioni di carte di credito, dati di geolocalizzazione. In questo modo si è contenuta la diffusione entro un alveo ben preciso e si è potuta realizzare una quarantena selettiva che in breve ha bloccato la trasmissione del virus. Se, infatti, si individuano bene le catene di contagio e si bloccano con l’isolamento l’epidemia in breve volge al termine. Quest’approccio permette anche una migliore gestione del paziente, che viene individuato come affetto da Covid-19 due/tre giorni prima del caso italiano e, quindi, può essere più tempestivamente curato. Uno dei motivi che può spiegare la più elevata mortalità italiana (parliamo, come già visto, di circa 9 volte) rispetto a quella coreana è sicuramente la struttura demografica della popolazione, ma questo non basta, a parità di efficienza del sistema sanitario. La differenza può essere data dal fatto che in un numero consistente di casi italiani la diagnosi di Covid-19 è avvenuta in presenza di una situazione già critica e qualche volta la diagnosi è avvenuta post mortem. Probabilmente il malato è è stato individuato quando già la situazione era compromessa, anche a seguito di patologie preesistenti.
In Corea del Sud le autorità sanitarie utilizzeranno una app per controllare, tramite il Gps dello smartphone, il rispetto della quarantena. Attraverso l’applicazione sarà possibile anche il monitoraggio delle condizioni di salute dei soggetti in quarantena.
La Corea è riuscita con un approccio tecnologico alla gestione dell’epidemia a minimizzare i danni prodotti e a contenere in breve tempo il contagio.
L’Italia, che su questo versante è ancora molto indietro ha dovuto seguire l’esempio cinese con drastiche limitazioni alla libertà di movimento con costi economici enormi e, ancora in gran parte da quantificare, e soprattutto con risultati ancora da verificare, perché determinate misure, come la limitazione delle libertà, funzionano bene in paesi che già sono abituati ad un deficit di garanzie in termini di diritti, funzionano meno bene in una democrazia avanzata. Va anche aggiunto che la Cina ha dispiegato poi enormi risorse tecnologiche per la gestione dell’epidemia nella fase di cura piuttosto che in quella di contenimento, con gli sforzi fatti attraverso strumenti di intelligenza artificiale per il sequenziamento del virus e per l’individuazione di nuove forme di cura a partire da farmaci esistenti. A questa risposta tecnologica va anche aggiunta la realizzazione di un ospedale con infermieri robot e con tele-assistenza medica dei malati non critici che ha permesso di diminuire il contagio fra i sanitari e di far concentrare le cura sui soggetti critici.
Il nodo della privacy
Va evidenziato, a onor del vero, che anche il modello coreano ha un elevato costo sociale che è quello della perdita o della riduzione della sfera dei diritti connessi alla privacy. Il tracciamento dei contatti con tutti gli strumenti tecnologici a disposizione è una misura fortemente invasiva della privacy, ma forse potrebbe essere un male minore se si tratta di contenere un’epidemia, senza distruggere l’economia e senza attentare ad altri diritti forse anche di rango superiore.
La risposta data dall’Italia all’emergenza Covid-19 è stata, quindi, una risposta molto antiquata e poco innovativa, anche se, considerata la situazione del nostro sistema sanitario era l’unica possibile. E, tuttavia, non si può nascondere che se la risposta non è innovativa e avanzata anche i risultati sono sub-ottimali. E, di fatto, in Italia abbiamo dei tempi di contenimento più lunghi dell’epidemia e un maggior tasso di mortalità.
Se una lezione possiamo trarre dalla gestione di questa epidemia è che senza una sanità 4.0 e senza la possibilità di effettuare una gestione tecnologica della malattia, di fronte ad un virus pandemico abbiamo poche opportunità e poche armi, se non quelle che hanno usato i nostri antenati di chiudere le città e di evitare la circolazione delle persone, tutto sommato con risultati non certo lusinghieri, se guardiamo la storia delle epidemie.
Di fronte ad una pandemia dobbiamo oggi usare tutte le risorse tecnologiche per fermarla e per gestirla, sapendo che, purtroppo, i tempi per la creazione di un vaccino e per l’identificazione di una cura efficace travalicano di molto di tempi dello sviluppo e della crescita dei contagi, individuando anche un sistema di regole che renda questa gestione tecnologica meno invasiva per la privacy.