Aprire un falso profilo sui social network può integrare il reato di sostituzione di persona, il suo utilizzo poi può determinare la consumazione di altri reati. L’articolo 494 del Codice penale oggi vive una “nuova giovinezza”, perché punisce sia chi si finge una persona diversa da quella reale, sia chi utilizza immagini altrui. L’art. 7 del GDPR, infine, offre tutela a chi veda i propri dati utilizzati indebitamente da altri. Analizziamo la normativa, attraverso una visione d’insieme delle ipotesi in cui un profilo social falso integra reato e delle possibilità di tutela per le vittime.
Il delitto di sostituzione di persona
Ricordiamo che l’art. 494 del Codice penale stabilisce che “Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad un anno”. Il reato si integra con due condotte alternative tra loro, ossia mediante la sostituzione di una persona o attraverso l’attribuzione di un nome o di uno stato falsi o, ancora, di una qualità giuridicamente rilevante. La finalità alternativa di procurare un vantaggio a sé o ad altri o di recare danno è tipica dei reati a dolo specifico, cioè quelli in cui chi commette il reato si prefigge uno scopo determinato. L’induzione in errore, infine, è tipica dei reati c.d. a condotta vincolata, che richiedono una specifica modalità per essere integrati.
L’art. 494 Codice penale è, infine, un reato plurioffensivo perché lede più beni giuridici tutelati dall’ordinamento, ossia la fede pubblica (cioè di tutti i consociati) e la fiducia del singolo indotto in errore. A differenza di altri reati – più gravi – è richiesto che l’agente voglia ottenere un mero “vantaggio” e non un “profitto”: il concetto di vantaggio è molto più ampio e determina, quindi, che siano punibili un numero maggiore di condotte. La pena è relativamente “bassa”: fino ad un anno di reclusione (consente, peraltro, l’accesso a tutti gli istituti premiali dell’ordinamento).
La dottrina ha ormai affermato che il profilo digitale di una persona, su social network o in rete in generale, è uno strumento di esternazione e di rappresentazione dell’individuo stesso. In altre parole, è la proiezione digitale dell’individuo mediante una serie di elementi ed informazioni che lo caratterizzano. Da qui l’esigenza di fornire una tutela effettiva di questo insieme di dati ed elementi.
Esempi pratici
La creazione di un account di posta elettronica riferibile ad un’altra persona senza consenso di quest’ultima è condotta ritenuta penalmente rilevante dalla Cassazione in maniera univoca (si veda, sul punto, la sentenza Cass. pen., sez. III, 15 dicembre 2011, n. 12479). Allo stesso modo è stato considerato penalmente rilevante l’utilizzo di un nickname riconducibile ad altro soggetto, unito all’inserimento del numero telefonico dello stesso in un sito di incontri. È il caso di un dipendente in lite con la propria ex datrice di lavoro: il primo aveva inserito il numero della seconda in una chat erotica, con l’effetto che la signora era stata contattata ripetutamente da persone interessate ad avere rapporti con lei. Considerato penalmente rilevante anche l’utilizzo di false qualifiche: un esempio può essere la falsa attribuzione di un titolo su Skype.
Si tratta ora di capire cosa accade nel caso in cui un soggetto si ponga sui social network con un profilo fake e se la falsità del profilo debba essere totale o anche solo parziale per integrare il reato di cui all’art. 494 del Codice penale. La casistica di un profilo “totalmente” falso può verificarsi in vari modi. Il profilo con credenziali vere, nome falso verosimile ma non legato a persone realmente esistenti crea alcuni interrogativi: dottrina e giurisprudenza maggioritarie ritengono che l’ipotesi possa integrare il reato di cui all’art. 494 Codice penale. L’induzione in errore risulta in re ipsa, le finalità andranno accertate caso per caso.
La Cassazione di recente ha sanzionato ex art. 494 del Codice penale la condotta di un maggiorenne che, con nome falso e foto falsa ritraente un ragazzino, aveva adescato sui social delle ragazzine, con fine di conoscerle e farsi inviare fotografie delle parti intime (così Cass., Sez. V, sent. 8 giugno 2018, n. 33862). Il profilo con nome e foto di una celebrità rientra certamente nel penalmente rilevante, mentre un profilo con nome di fantasia e fotografia palesemente irreale, al contrario, non risulta, in sé, sanzionabile. Un profilo con nome falso ma verosimile e foto di persona esistente è certamente una delle ipotesi più gravi e determina non solo la sanzione penale ma anche la tutela per la vittima ex art. 7 GDPR (come si vedrà nel paragrafo successivo); analogo discorso vale per l’ipotesi in cui vengano utilizzate non solo foto, ma anche il nome della persona interessata. Discorso a parte merita l’ipotesi di profili non “totalmente” falsi, ma con informazioni ingannevoli. Considerato che è stato condannato per sostituzione di persona un uomo che aveva falsificato l’atto di annullamento del proprio matrimonio per non farsi lasciare dall’amante, non è remota l’ipotesi che la configurazione di un profilo social come “single” in chat o social network di incontri possa integrare il reato di cui all’art. 494 del Codice penale.
Nell’ipotesi di furto di proprie immagini o di vera e propria duplicazione abusiva del proprio profilo social, la tutela più immediata è quella fornita dall’art. 7 del GDPR (ferma restando la responsabilità penale di chi utilizza indebitamente nome e foto altrui). In altre parole, la vittima del furto dei dati e immagini può chiedere al social network di riferimento la cancellazione dei dati sottratti ed utilizzati indebitamente ex art. 7 G.D.P.R.
Conclusioni
La falsità di un profilo social, oggi, è un elemento rilevante. L’utilizzo sempre più massivo di questi strumenti di comunicazione ha determinato un’esigenza di veridicità delle informazioni inseritevi – salvo eccezioni, ossia social network in cui sia prevista da regolamento un’identità fittizia per tutti gli utenti.
Il nostro ordinamento sanziona penalmente chi crea profili fittizi o utilizza foto altrui per indurre terzi in errore con diverse finalità. È giusto il caso di notare come la norma più risalente – l’art. 494 Codice penale – abbia descritto condotte attualissime quando i mezzi odierni potevano essere, forse, solo sognati. La normativa più attuale, ossia il GDPR, di contro, fornisce strumenti più concreti per la rimozione dei profili fake ed è effettiva e semplice da utilizzare.