In questi giorni di emergenza, tutti gli attori del mercato del digitale, con il vero spirito dell’intraprendenza italiana, si stanno impegnando, invisibili, con ritmi serrati perché i servizi di telecomunicazioni e le piattaforme digitali rimangano disponibili a tutti i cittadini e a tutte le imprese.
Ma non si potrà fare in un mese qualcosa che richiede anni di attività e un’attenta pianificazione.
È necessario, ora, con attività di policy e regolamentazione tutelare in maniera ferrea un mercato concorrenziale, aperto a tutti gli attori a prescindere dalla loro dimensione, e che privilegi la diversificazione delle reti e delle piattaforme digitali – garantendone una piena ed efficace interoperabilità e concorrenza infrastrutturale delle reti.
Il ruolo di Agcom
Sono, questi, giorni concitati per il nostro paese, con l’ultimo decreto che giustamente amplia le misure di contenimento contro la Covid-19 pur considerando attività essenziali anche le attività della filiera delle telecomunicazioni e dei data center, ed in attesa delle convocazioni per i quattro tavoli permanenti avviati da Agcom grazie alle previsioni dell’art. 82.
Un ruolo importante, quello di Agcom, che anche in deroga alla regolamentazione vigente, auspicando ciò avvenga nel pieno rispetto della concorrenza, si trova a dover spianare la strada per permettere a TIM ed agli operatori alternativi un potenziamento dei servizi per tutti gli utenti finali, senza discriminazioni, ed un rapido ampliamento dei servizi a banda ultralarga, anche riducendo le barriere economiche d’ingresso per il cliente finale (“ridurre o azzerare i contributi una tantum di attivazione di nuove linee fibra e da rame a fibra fino al 30 giugno 2020”).
Ed è un punto estremamente importante. Messe da parte notizie allarmistiche sul collasso di internet, che almeno sulla rete fissa, grazie a tutti gli operatori, sta garantendo al meglio l’operatività di tutti i servizi – la richiesta di riduzione della qualità dei filmati di piattaforme di streaming è nata infatti in Europa e non in Italia – il tema sostanziale riguarda quei cittadini, dipendenti pubblici e privati, che, chiamati al telelavoro o smart-working, non dispongono presso la propria abitazione di un accesso di rete fissa, se non addirittura di un computer. Non si tratta di problemi prestazionali, ma proprio della mancanza di un abbonamento ad internet, che non può essere sostituito da uno smartphone.
Smart working e digital divide
Non è prospetticamente una situazione gestibile perché il telelavoro, messe da parte le emergenze, è un formidabile contributo alla qualità della vita ed al decongestionamento delle nostre città, tanto che un incentivo dello Stato, magari sotto forma di una deducibilità fiscale (eventualmente con cap) dei costi sostenuti per gli accessi ad internet utilizzati da chi ha un contratto di lavoro che prevede il telelavoro non sarebbe un’ipotesi così peregrina, già a partire da oggi.
L’associazione che presiedo e rappresento, AIIP, la prima associazione italiana di Internet Service Provider, costituita dalle aziende che per prime hanno portato la rete in Italia, da sempre sostiene che lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie e della cultura digitale presso i cittadini e le Istituzioni svolgano un ruolo di estrema importanza e siano alla base della crescita e della competitività del Paese, anche delle sue aree periferiche.
Policy e regole in linea con le nuove tecnologie
Il nostro Paese pullula di competenze ma il mondo digitale cresce e si rinnova con velocità sempre maggiore e policy e regolamentazione devono essere pronte e rapide nel seguire lo sviluppo della tecnologia e delle tecnologie emergenti perché da ogni fattore di ostacolo deriva un rallentamento che porta l’intero comparto a inseguire quanto avviene in altri Stati. E non ce lo possiamo permettere perché l’informazione è il carburante che muove la società moderna.
Quanto avvenuto in questi giorni ha messo in luce ancora una volta ritardi in tutti i settori: adozione e diffusione delle tecnologie digitali, ritardi nella diffusione della banda ultralarga, voucher per la stessa banda ultralarga ancora congelati mentre potrebbero dare ulteriore incentivo anche alla notevole capacità di investimento degli operatori regionali, necessità di un riformulazione generalizzata del Decreto Landolfi con allargamento degli spettri non licenziati a tutte le frequenze disponibili negli altri paesi europei, rimodulazione dei diritti amministrativi per i ponti radio, incentivi fiscali (es. deducibilità, totale o parziale) per favorire la diffusione degli accessi ad internet.
I limiti dei modelli centralizzati
I modelli centralizzati stanno mettendo in evidenza come in situazioni di crisi sia un rischio concentrare tutte le attività, siano esse dello Stato, di imprese o di cittadini su un’unica piattaforma.
Una pluralità di soggetti in “coo-petition”, in altre parole in una competizione collaborativa fra loro, reti non specializzate ed aperte a qualsiasi tipologia di servizio, come è oggi internet, va a costituire quell’humus grazie al quale i nostri meravigliosi giovani potranno provare a costruire questi servizi digitali che sono tanto utili al nostro Paese, basti pensare all’IoT – Internet of things, all’Intelligenza Artificiale, alla medicina, e magari diventare punti di riferimento a livello europeo se non oltre.
Vogliamo che questi giovani siano fieri di svolgere il loro lavoro e fornire il proprio contributo alla società nel Paese nel quale sono cresciuti.
Diversamente, il percorso di colonizzazione digitale che continuerà a svilupparsi non potrà vederci altro che soggetti totalmente passivi di decisioni prese altrove.