tlc e coronavirus

Tim-Open Fiber, il futuro della rete è il futuro del Paese: ecco la posta in gioco

L’emergenza coronavirus ha reso ancora più evidente l’importanza delle reti tlc e, in particolare, dei collegamenti in fibra ottica. In questo scenario, Tim vuole comprare Open Fiber. Esaminiamo allora le possibili implicazioni dell’operazione per il futuro del Paese

Pubblicato il 31 Mar 2020

Francesco Sacco

docente di management consulting all'Università Bocconi di Milano

ultrabroadband

Sono passati pochissimi giorni dall’inizio della crisi scatenata dal coronavirus ma è diventato improvvisamente chiaro a tutti quanto siano importanti reti di telecomunicazione veloci e affidabili per la sicurezza del Paese. In questo scenario caratterizzato da timori e incertezze si inserisce il progetto di unione avanzato da Tim su Open Fiber. Ma questo passaggio, unito al futuro di Open Fiber, proprio per le conseguenze che ha per il Paese in questa fase, merita un’analisi attenta di tutte le sue implicazioni.

Vediamo qual è la posta in gioco.

Fibra fino a casa: ecco perché è importante

Partiamo da una considerazione: il mondo è cambiato tante volte. Armi, malattie, vaccini, medicine, tecnologie lo hanno rimodellato così tante volte che preferiamo dimenticarlo. La normalità è l’ultimo cambiamento a cui ci siamo abituati. E non servono anni. Il nostro mondo sta cambiando di nuovo da quando, con una rapidità inimmaginabile, partendo da poche migliaia, è stato ordinato ad oltre 2,6 miliardi di persone, il 34% della popolazione mondiale, di restare a casa. In tempo di pandemia, questa è subito diventata la normalità per studiare e lavorare, socializzare e anche svagarsi.

Ma, come succede troppo spesso nella vita, non tutti hanno le stesse possibilità. Chi può fare smart working da casa senza problemi mentre i figli seguono le lezioni a distanza e qualcun altro si gode un buon film? Solo chi ha la fibra fino a casa, in sigla FTTH (fiber-to-the-home). Ciò non significa che chi non ha l’FTTH non fa niente di tutto questo. Solo che quando l’utilizzo è così intenso e contemporaneo da parte di tutta la famiglia, tutte le altre tecnologie non riescono a garantire una connessione con la stessa affidabilità. E la cosa è ancora più evidente se è più di uno che fa smart working o didattica a distanza e ognuno ha più di qualcun altro con cui si vuole guardare in faccia per mezzo di una videocamera. D’altronde, per averne un’idea plastica basta notare la qualità scadente di molti dei collegamenti Skype con cui vediamo collegarsi nei telegiornali e nei talk show la maggior parte dei giornalisti, esperti e virologi. Purtroppo, l’FTTH è l’unica modalità che garantisce una banda in upload comunque sufficiente.

Un momento di stress anche per la rete

D’altronde, gli USA sono da poco entrati nel nostro stesso blocco ma già giovedì scorso un analista di MKM Partners, una società di ricerca indipendente a Wall Street, in un report agli investitori affermava che «il Covid 19 ha collettivamente accelerato la transizione al broadband e alla digitalizzazione di almeno dieci anni. […] L’accesso al broadband e una banda larga sufficiente sarà sempre più percepito come un diritto umano fondamentale».

L’Agcom riporta che il volume di dati complessivi giornaliero sulla rete fissa è quasi raddoppiato, soprattutto il traffico video e quello del gaming, di poco la navigazione. Bloomberg riporta che nell’Internet exchange di Milano, il più importante in Italia, Microsoft ha visto crescere il suo traffico del 150% in pochi giorni, anche per il successo della sua piattaforma Microsoft Teams, la più popolare tra scuole, università e aziende; il traffico di Amazon di notte, il momento più scarico, è quadruplicato e tende ancora a crescere mentre scompaiono i picchi di giorno; Google ha da poco raddoppiato la sua banda disponibile presso il Mix mentre la UE ha chiesto e ottenuto da YouTube e Netflix di ridurre la qualità del video per non intasare e bloccare le reti. Siamo in un momento di stress per le reti di telecomunicazioni, tanto che in Governo nel Decreto “Cura Italia” (Decreto legge 17/03/2020 n. 18) ha dedicato l’art.82 alla loro salvaguardia. Secondo uno specialista, in Italia il consumo e l’uso di Internet in pochi giorni è diventato come avremmo dovuto aspettarci che fosse tra quattro anni.

Quello che una volta si reputava sarebbe stato uno scenario d’uso per pochi, importante forse in un futuro remoto, si è rivelato essere quello di cui tutti hanno bisogno in un mondo bloccato da una pandemia. E poco cambia se ci si sposta sulle reti mobili. Soprattutto per il 5G prossimo venturo, anche la loro velocità dipende dalla presenza capillare di fibra a collegarne le celle.

Ritornerà tutto alla normalità? No, secondo Gideon Lichfield, direttore della prestigiosa MIT Technology Review. Il distanziamento sociale non finirà con questa quarantena collettiva, ci rimarrà addosso mentre nasceranno i servizi della shut-in economy e la normalità della nostra vita sarà un’altra, in cui le sicurezze garantite dalla fibra avranno un valore anche maggiore.

La marcia indietro di Tim e il futuro di Open Fiber

Infatti, in questi giorni in cui tutte le borse crollano e i tassi di interesse, già bassi, sono stati ulteriormente ribassati, dove è più saggio investire? Anche se siamo in un mondo che non è più quello di una volta, la risposta è semplice: in quei business che proprio in questo contesto hanno dato prova di essere indispensabili. Come la connettività in fibra. Dopo dieci anni di cali continui, le aziende telecom tornano ad essere interessanti.

Lo ha detto anche Gubitosi, CEO di TIM, durante la presentazione del suo nuovo piano industriale. “L’attuale situazione di emergenza sta dimostrando l’importanza […] di disporre di una rete performante”. Ma era la premessa per giustificare un cambio di rotta rispetto al passato e investire in quelle aree bianche (a fallimento di mercato) in cui prima riteneva non vi fosse convenienza economica. Ma proprio per questo era nata Open Fiber che adesso TIM vorrebbe acquisire.

Solo gli sciocchi non cambiano idea. E TIM è una società con un management di grande qualità. Quindi, onore al merito.

Le implicazioni di una eventuale fusione

Uno studio realizzato all’epoca del Piano Banda Ultralarga evidenziava come per TIM non c’è nessuno scenario più profittevole del prolungare la vita al suo rame, come utilizzando ADSL o la fibra fino all’armadio in strada e poi rame per arrivare in casa, in sigla FTTC (fiber-to-the-cabinet), e nessuno scenario peggiore di quello in cui deve affrontare un operatore nazionale che offre fibra all’ingrosso, come Open Fiber.

Infatti, il nuovo piano nelle aree bianche non porta fibra a casa (FTTH) ma ai suoi cabinet in strada continuando a usare il suo vecchio rame per collegare le case (FTTC). È una soluzione che ha tecnologicamente dei limiti importanti e non è altrettanto affidabile come la fibra, ma è senza dubbio la scelta migliore nell’interesse di TIM. D’altronde, come ha giustamente sottolineato in una recente intervista Salvatore Rossi, presidente di TIM “Il privato deve decidere gli investimenti necessari a patto che siano profittevoli, sennò non ha senso”. E qui veniamo a Open Fiber.

Il 25 febbraio, mentre stava scoppiando la crisi del coronavirus, e comprensibilmente non se ne è parlato molto, TIM è stata condannata dall’Antitrust con una storica multa da 116 milioni di euro – ma avrebbe potuto essere vicina al mezzo miliardo – proprio per comportamenti anticompetitivi contro quell’Open Fiber che ora vuole acquisire. Tra questi anche la realizzazione di quei cabinet nelle aree bianche che ora TIM chiede di attivare lamentando che la “fibra fino casa non è arrivata a nessuno”. Ma, trascurando la complessità burocratica della realizzazione dell’intervento (in media 4,3 enti coinvolti e 7,3 autorizzazioni necessarie per ognuno dei 6.753 comuni da cablare, in totale circa 250.000 permessi, quasi 50.000 richieste di permessi l’anno), un’altra delle ragioni per cui TIM è stata condannata è per avere ritardato in molti modi, tra cui cause e comportamenti strumentali, la partenza di questi lavori di cui paradossalmente adesso lamenta il ritardo. Come è detto nel provvedimento di condanna dell’Autorità Antitrust, che è pubblico, in “assenza dell’intervento dell’Autorità [il comportamento di TIM] avrebbe portato in pochi mesi al possibile fallimento dell’intervento a sostegno dello sviluppo delle reti a banda ultralarga nelle aree bianche [realizzando] una rete meno efficiente”.

TIM nel tempo ha cambiato idea anche su altre cose. Non sta più cablando con il suo tradizionale modello di rete, ma seguendo quello di Open Fiber. Non difende più l’integrità della sua rete, la vuole separare volontariamente. Non reputa più diseconomico investire nelle reti in fibra dove c’è fallimento di mercato, sollecita e ottiene l’autorizzazione a operarvi. Non solo, ha annunciato che torna a investire in Brasile, a distribuire dividendi e a ridurre il debito. Gli investimenti, invece, comprensibilmente calano, come i ricavi. E già questo dovrebbe spingere a porsi delle domande su quanto poi potrebbe realmente investire in una rete FTTH italiana una volta acquisita Open Fiber. Ma nessuno chiarisce cosa succederà dopo. Eppure, non è scontato che sia la cosa migliore da farsi.

Gubitosi è un CEO affidabile e di esperienza. Salvatore Rossi un presidente di cui ci si può senz’altro fidare. Ma per legge devono fare gli interessi dei loro soci, non dell’Italia. A quello dobbiamo pensarci noi e i politici che abbiamo eletto.

Razionalmente la mossa migliore per TIM è prendere Open Fiber e bloccare o rallentare la sua infrastrutturazione per limitare la concorrenza da parte di Vodafone, Fastweb, Wind e tutti quelli che ora comprano la fibra all’ingrosso per rivenderla a prezzo fin troppo basso a tutti noi. Dopo la privatizzazione di Telecom Italia, criticata da tutti, perché il Paese dovrebbe affrontare una nuova privatizzazione (Open Fiber) rinunciando a un operatore neutrale che in tre anni ha steso più del doppio della fibra che l’incumbent ha steso in più di dieci anni e ci sta permettendo di recuperare terreno sul fronte della banda ultralarga? Proprio quella rete che è la nostra scialuppa di salvataggio in un mondo bloccato dalla prima pandemia dell’era informatica?

Il 2020 sarà “l’anno delle operazioni”?

Secondo Gubitosi «Il 2020 sarà l’anno delle operazioni», tra cui quella con KKR per lo scorporo della rete fissa. Una valutazione alta (7,5 mld di euro, che è la capitalizzazione corrente di tutta TIM) per una rete che include “soltanto” la parte passiva, in controtendenza con l’evoluzione tecnologica e in conflitto con il modello di concorrenza infrastrutturale. Non saranno contenti i concorrenti di TIM. Ma non è fatta nel loro interesse. Si farà davvero? A che condizioni? Gubitosi dice entro l’estate. Una buona notizia perché così TIM esce da un’impasse sulla rete che dura da troppo tempo. Ma se fosse l’ennesimo annuncio senza nessun seguito sarebbe grave. Da italiano, la recente offerta di Intesa e Mediobanca su UBI mi ha riempito di orgoglio. Ha genialmente ridisegnato il panorama bancario ma niente è trapelato fino al momento del suo lancio. Anche in Italia si può fare. Al contrario, chi cercasse sul Sole 24 Ore tutti gli articoli che citano dichiarazioni o voci con mosse di TIM su Open Fiber e la rete, dal 2015 a oggi ne troverebbe molte decine. Ma finora non è mai successo niente. Se però l’accordo non si facesse perché condizionato all’acquisizione di Open Fiber sarebbe anche peggio. Sarebbe allora lecito pensare che TIM e KKR avrebbero voluto fare un accordo soltanto perché sono Enel e CDP – gli italiani in definitiva – che ne pagano il conto. Non credo sia vero perché soltanto averlo pensato sarebbe gravissimo.

Il CEO di TIM ha sottolineato che «La fusione con Open Fiber ha il sostegno del Governo». È certamente vero, come lo avrebbe ogni operazione che evitasse la perdita di altri posti di lavoro in TIM e nell’indotto. Ma si può migliorare la situazione in modi diversi.

Tutte le domande che vale la pena porsi

Innanzitutto, se come socio della Rete scorporata non va bene né Enel né Open Fiber, come dichiarato in sede di presentazione del nuovo piano industriale di TIM, perché allora non va bene Cassa Depositi e Prestiti, invece di KKR, un operatore finanziario di lungo termine, già socia di TIM e di Open Fiber, ma italiana?

Oppure, invece di scorporare la rete di TIM, perché non scorporare la società di servizi (SerCo), operazione molto più sicura, semplice e veloce, anche per l’occupazione, lasciando la rete con il grosso del personale e il debito in proporzione al suo valore a fondersi con Open Fiber?

Perché non spingere per varare subito senza eccessive complicazioni il tanto atteso voucher per incentivare le connessioni a prova di futuro, andando anche a sostenere il PIL in un momento in cui il Paese ne ha un disperato bisogno?  Ricordiamo, però, che il voucher fu pensato come un incentivo alla domanda – non un incentivo al consumo – proprio per le reti a “prova di futuro”. Tecnologicamente, sono soltanto quelle che, come l’FTTH, sia dal punto di vista infrastrutturale sia dell’evoluzione della domanda, possono essere considerate un punto di arrivo tecnologico di lungo periodo e tale che anche tra più di venti anni possano essere ancora considerate un’infrastruttura abilitante. Ma questa differenza, come già detto sopra, è ormai ben chiara a tutti coloro che sono stati costretti in casa a lavorare e studiare.

Infine, ma ben più importante, perché non si fa l’operazione con tutte le cautele sul futuro della rete ma facendo emergere quanto vale davvero Open Fiber?

Ricordiamoci che anche gli investimenti nella rete 5G sono fermi. Se non sarà più possibile usare Huawei, il costo del 5G per gli operatori mobili sarà ancora più alto. E già adesso hanno problemi. Ma Open Fiber è l’unico soggetto in Italia ad avere l’infrastruttura e le competenze per sbloccare la situazione e realizzare una larga parte della nuova rete 5G in modo neutrale, come una tower company, al di fuori delle grandi città, dove vive ben più della metà della popolazione. Un’opzione di cui già si discute in diversi paesi, ma anche in Italia, e porterebbe a Open Fiber un aumento di valore enorme. Fa benissimo Enel a non volerla vendere.

Open Fiber ha appena iniziato a cablare e ha una sola missione, molto semplice: realizzare e mettere in servizio per il Paese un’infrastruttura a prova di futuro. TIM ha una situazione molto più complicata e deve fare giustamente gli interessi dei suoi azionisti, che da molto non hanno soddisfazioni. Ma stando così le cose, quello che TIM offre all’Italia per integrarsi verticalmente con Open Fiber sembra un assegno in bianco sul futuro delle nostre infrastrutture di telecomunicazione che andrà all’incasso quando i giochi saranno ormai fatti.

Quindi, mi chiedo, chi volesse approvare questa fusione, che rischio sul loro futuro riterrebbe ragionevole accettare? La risposta a questa domanda è il vero futuro di Open Fiber. Tutto il resto è soltanto un semplice gioco di legittimi interessi privati.

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