Questo periodo di emergenza sanitaria e di contenimento degli spostamenti ha portato in chiara evidenza che uso della tecnologia e pervasività del digitale sono elementi costituenti della nostra società. In questo contesto diventano fondamentali temi quali la disinformazione online e il livello delle competenze digitali, la corretta via tra uso di applicazioni per il contact-tracing e la privacy e il controllo sui dati personali. Uno spunto di riflessione ci viene dall’ultimo rapporto Eurobarometer della Commissione Europea, basato su indagini realizzate a dicembre 2019, e quindi poco prima che si avesse un reale impatto in Europa dell’emergenza sanitaria.
Il rapporto misura l’atteggiamento nei confronti dell’impatto della digitalizzazione sulla vita quotidiana degli europei in 27 Stati membri dell’UE e nel Regno Unito. Copre diverse aree tra cui la digitalizzazione e l’ambiente, la condivisione di informazioni personali, la disinformazione, l’adeguatezza delle competenze digitali e l’uso dell’identità digitale. Ne viene fuori un quadro di progressiva consapevolezza sul digitale della popolazione, ma vengono evidenziate anche le carenze che sono ancora da colmare nell’approccio complessivo a questi temi da parte dei paesi europei (e quindi anche dalle politiche europee).
Margrethe Vestager, Vicepresidente esecutivo della Commissione Europea per “A Europe Fit for the Digital Age”, nella sua dichiarazione di accompagnamento al rapporto riflette pienamente questo stato del percorso europeo: “La nostra strategia digitale non consiste nel rendere l’Europa più simile alla Cina o negli Stati Uniti, ma nel rendere l’Europa più simile a se stessa. Il nuovo sondaggio conferma che gli europei sono consapevoli delle nuove opportunità che il digitale offre alle loro vite. Allo stesso tempo, vogliono anche un migliore controllo sulla loro identità digitale e sul modo in cui i loro dati vengono utilizzati. La nostra strategia mira a garantire che possiamo sfruttare appieno i vantaggi che le tecnologie digitali ci offrono. ”
Ma vediamo i risultati del rapporto per area analizzata.
Il Rapporto Eurobarometer
Sostenibilità
Quasi 8 intervistati su 10 ritengono che i produttori dovrebbero essere tenuti a semplificare la riparazione dei dispositivi digitali, con il 64% (53% il dato per l’Italia) che desidera continuare a utilizzare i propri dispositivi attuali per almeno 5 anni e l’85% disposto a riciclare quelli vecchi (con la principale condizione, per gli intervistati italiani, che non ci siano rischi per la propria privacy).
Inoltre, solo 3 intervistati su 10 affermano che le informazioni sul consumo energetico legato all’utilizzo diservizi online, come le piattaforme di streaming video o musicali, influenzerebbero il loro utilizzo di tali servizi.
Condivisione dei dati e identità digitale
Complessivamente, il 59% degli intervistati sarebbe disposto a condividere alcune delle proprie informazioni personali in modo sicuro per migliorare i servizi pubblici. In particolare, la maggior parte degli intervistati è disposta a condividere i propri dati per migliorare la ricerca e l’assistenza medica (42%), migliorare la risposta alle crisi (31%) o migliorare i trasporti pubblici e ridurre l’inquinamento atmosferico (26%). Simile graduatoria anche per gli intervistati italiani, con una percentuale però più bassa (37%) anche per l’ambito sanitario,comunque primario.
D’altra parte, la richiesta di avere un ruolo più attivo nel controllo dell’utilizzo dei propri dati è condivisa dal 58% degli intervistati europei, mentre in Italia si raggiunge il 63% con il 19% sulla posizione più estrema (nessuna condivisione per nessuna ragione). Interessante notare come la sensibilità sia molto alta in Spagna (74%) e molto bassa in Germania (45%).
La stragrande maggioranza degli intervistati che utilizzano i loro account di social media per accedere ad altri servizi online (72%) vuole sapere come vengono utilizzati i loro dati (l’Italia è in linea con questo dato). Una grande maggioranza (63%) ritiene utile disporre di una unica identità digitale sicura che possa servire a tutti i servizi online e dare loro il controllo sull’uso dei propri dati. Gli intervistati italiani appaiono rispetto alla media europea più convinti di questo (66%, rispetto al 57% della Germania).
Disinformazione
Il 71% degli intervistati afferma di incontrare notizie false più volte al mese o più spesso. Almeno due terzi affermano di imbattersi in notizie false almeno una volta alla settimana a Malta (73%), Francia e Spagna (entrambi 66%), mentre la percezione in Italia è molto più bassa, raggiungendo solo il 41% degli intervistati.
La maggior parte degli intervistati ritiene inoltre che i media dovrebbero essere responsabili della lotta alla disinformazione, seguiti dalle autorità pubbliche e dalle piattaforme dei social media, mentre in Italia le responsabilità sono distribuite equamente tra questi tre soggetti e con percentuali minori, indice di una maggiore polarizzazione nelle risposte (era consentita la risposta multipla).
Dal punto di vista delle azioni da porre in essere da parte delle autorità pubbliche l’autoregolamentazione è individuata solo dal 22% degli intervistati, mentre prevale la richiesta di aiuto a individuare la disinformazione (46%, mentre in Italia è il 43%), seguita da quelle di intervenire su chi diffonde disinformazione e di regolamentare le piattaforme di social media. Solo un intervistato su tre chiede la promozione di servizi di fact-checking.
Competenze digitali
Rispetto all’adeguatezza delle proprie competenze digitali, gli intervistati italiani esprimono una valutazione inferiore alla media europea e soprattutto in tendenza negativa rispetto alla rilevazione del 2017, mentre quella europea è in crescita, sia in ambito lavorativo (71% degli italiani, in discesa dell’8%, rispetto al 79% della Spagna e al 90% della Germania) e quotidiano (57%, in discesa dell’11%, rispetto al 64% della Francia e all’80% della Germania). La percezione degli intervistati italiani è in linea con i dati Istat-Eurostat, per cui le percentuali ci collocano nelle ultime posizioni, e questo però evidenzia consapevolezza dei limiti, base sana per uno sviluppo rapido.
Interessante il fatto che tra le barriere al miglioramento delle competenze sia posta dagli italiani in primo piano la mancanza di opportunità di formazione (il 30%, unico Paese in cui primeggia questa barriera, negli altri Paesi di riferimento come Spagna, Francia e Germania questo valore è intorno alla media europea del 22%), mentre la mancanza di tempo è scelta dal 27% degli intervistati, in linea con gli altri Paesi europei (solo in Spagna questa risposta svetta al 34%). Da notare che la risposta “non sento il bisogno di migliorare le mie competenze” è scelta dal 24% degli intervistati italiani, in media europea, mentre raggiunge il 50% in paesi come il Portogallo.
Acquisti online transfrontalieri in Unione Europea
La maggioranza (62%) degli intervistati utenti di Internet afferma di non aver effettuato acquisti online da altre paese UE, il che è confermato anche per l’Italia (65%) e sono pochi i Paesi in cui si registrano maggioranze inverse (come Belgio, Francia, Irlanda, Danimarca). La motivazione principale è la mancanza di necessità o il non volere effettuare acquisti online (45% per l’Italia) tranne che nei Paesi Bassi, dove prevale il non volere acquistare da siti di altri Paesi UE (in Italia questa motivazione è rilevante anche se con percentuale più bassa del 32%).
Intelligenza artificiale (IA)
Rispetto a dati di novembre 2019 (nell’ambito del rapporto Eurobarometro standard) sono state verificate anche le percezioni della popolazione relative all’intelligenza artificiale.
Circa la metà degli intervistati (51%, anche tra gli italiani) ha affermato che è necessario un intervento pubblico per garantire applicazioni etiche di IA. La metà degli intervistati (50%) menziona il settore sanitario come l’area in cui l’IA potrebbe essere più vantaggiosa (43% tra gli italiani dove è anche significativa l’indicazione dei temi ambientali, 34%). Una forte maggioranza (80%) degli intervistati pensa che dovrebbero essere informati quando un servizio digitale o un’applicazione mobile utilizza l’IA in varie situazioni.
Qualche spunto per l’Italia
La lettura di questi dati dell’Eurobarometro, interessanti in generale per interventi sulle diverse aree (ad esempio per incentivare il riciclo dei dispositivi), suggeriscono anche alcune riflessioni rispetto ad alcune questioni “calde” di queste settimane di emergenza. Provo a sintetizzarle.
Privacy, tracciamento e controllo dei dati
La richiesta di un maggiore controllo sull’uso dei propri dati è maggioritaria anche in Paesi con competenze digitali basse come il nostro e il bilanciamento tra l’allentamento dei diritti di privacy in casi eccezionali (per crisi come quella attuale o in generale per ragioni sanitarie) e la salvaguardia del controllo diventa quindi essenziale. Applicando questi risultati al caso specifico delle applicazioni di contact-tracing, di cui tanto si parla in queste settimane per il contenimento del contagio, la richiesta che sembra emergere è quella di valutare con attenzione l’allentamento effettivamente necessario dei diritti di privacy, come sostengono diversi esperti e come ha messo in chiara evidenza il Garante della Privacy , definendo vincoli e limiti di tempi e di modi che tutelino i diritti dei cittadini. E associata è quindi la richiesta di verificare se quel tipo di applicazione, nel contesto italiano dell’evoluzione dell’epidemia, abbia un’efficacia sufficiente per giustificare l’allentamento in assenza di una possibilità effettiva di controllo da parte dei cittadini (in una situazione in cui potrebbe forse essere più utile, invece, spingere per una programmazione basata su modelli predittivi ). In questo senso, tanto più i cittadini saranno messi nelle condizioni di controllo sull’uso dei propri dati (ad esempio seguendo la linea del progetto DECODE ) tanto più sarà possibile con maggiore tranquillità poter gestire momenti di eccezionalità. Per questo è sempre più urgente una strategia sui dati, versante sul quale si sta muovendo il MID.
Disinformazione e competenze digitali
La disinformazione online è chiaramente un problema ancora più rilevante in un periodo di emergenza sanitaria come quello che stiamo vivendo, perché mina allo stesso equilibrio personale e sociale. L’aspetto da porre sotto particolare attenzione nel nostro Paese è che le forti carenze di competenze digitali, delle quali dal sondaggio si rileva una crescente consapevolezza, si associano a una difficoltà a percepire la presenza di fake news, che infatti risultano notevolmente sottovalutate.
Questo periodo di emergenza sta forzando l’uso dei servizi digitali e di Internet sia per ragioni di lavoro sia per migliorare una quotidianità vincolata dalle misure di contenimento, e se da una parte sta accelerando l’utilizzo di Internet e anche l’acquisizione di competenze digitali, dall’altro sta aumentando l’ampiezza della popolazione esposta alla disinformazione online. Su questo versante è pertanto fondamentale intervenire in modo profondo e duraturo con una strategia complessiva, oltre che con iniziative diffuse e di sistema, come si propone l’iniziativa Repubblica Digitale promossa dal MID.
Rendere organica e più facilmente fruibile l’offerta di formazione, come viene chiesto dal 30% degli intervistati, diventa certamente uno degli obiettivi prioritari (utilizzando anche i riscontri dall’attuale esperienza delle proposte formative gratuite di Solidarietà digitale ), così come dare evidenza, da parte delle istituzioni e dei media, soprattutto quelli pubblici, ad aree specifiche dedicate al contrasto della disinformazione, dando ai cittadini un supporto per quanto possibile organico su alcuni siti di riferimento (in questo periodo di emergenza sanitaria naturalmente quello del Ministero della Salute).
Ripartire
Se uso della tecnologia e pervasività del digitale sono elementi fondamentali della nostra società, è impossibile pensare a interventi di sviluppo sociale ed economico che non partano, in modo organico, dal rafforzamento di tutte le componenti chiave per l’uso efficace del digitale, come le infrastrutture tecnologiche, la diffusione dei dispositivi (innanzitutto computer e tablet), le competenze. Componenti chiave che diventano sempre più condizioni di cittadinanza e di partecipazione alla vita sociale e lavorativa. Condizioni per esercitare diritti, ma anche per lo sviluppo. Da garantire a tutti, sostanzialmente e non solo formalmente, in ambito italiano ed europeo.
Nel quadro strategico dell’Agenda 2030, e riprendendo l’idea chiave che il lavoro agile è una leva fondamentale per l’altra emergenza, quella climatica, grazie all’impatto rilevante sulla mobilità sostenibile, la misura della velocità della ripartenza italiana (ed europea) sarà probabilmente anche basata sulla capacità di investire su queste componenti chiave della nostra società.