Fase 2 e 3 del coronavirus

Proprietà intellettuale leva di ripartenza, è l’ora della massima tutela

La fase di emergenza sta registrando un boom di nuovi marchi e brevetti legati al Coronavirus: dalla maschera da snorkeling anti-contagio ai prodotti terapeutici. Ma serve distinguere le idee innovative dalle truffe alzando la guardia sulla Intellectual Property. Così da proteggere l’industria groundbreaking

Pubblicato il 20 Apr 2020

Isabella Corrias

Associate Rödl & Partner

Nadia Martini

Partner e Head of Data Protection Rödl & Partner

Rosa Mosca

IP specialist - Rödl & Partner

riuso software

In questo periodo storico di emergenza si stanno sviluppando grandi idee che possono cambiare il corso della storia. Ma vengono anche registrati marchi contenenti la dicitura “CORONAVIRUS” e diffusi messaggi promozionali che millantano soluzioni anti Covid-19. In ultimo, sempre più rilievo è dato allo smart working. Ma quali sono le regole da seguire per proteggere la proprietà intellettuale? E quali i vantaggi per le imprese?

Brevetti: la maschera da snorkeling anti-contagio

Tramutare maschere per immersioni in una protezione contro il contagio? Ebbene sì. Un’azienda genovese ha deciso di trasformare le proprie maschere integrali da snorkeling in maschere protettive da indossare in ospedale o a casa. La società ha depositato, a tal fine, un brevetto avente ad oggetto un adattatore che possa accogliere filtri “a vite” P3, multipurpose o respiratori.

I primi prototipi sono già stati realizzati tramite una stampante 3D. Il vero e proprio stampo potrebbe potenzialmente avere una diffusione molto ampia. L’adattatore potrà infatti essere modificato e disposto su tante altre maschere da snorkeling.

Ma non è tutto. Una startup di Brescia, partendo dall’idea di un ex medico primario, sta realizzando altri prototipi attualmente in fase di test. Gli inventori hanno in particolare smontato, studiato e modificato la nota maschera da snorkeling full-face “Easybreath” di Decathlon, modello che più si confaceva alle loro esigenze, e stampato in 3D i raccordi di collegamento tra la maschera e i tubi ospedalieri “standard” che così potranno essere utilizzati nella maggior parte delle strutture sanitarie.

L’azienda ha deciso di brevettare questa valvola di raccordo, chiamata “Charlotte”, per impedire speculazioni sul prezzo del componente, ma intende lasciare il brevetto ad uso libero in modo che tutti gli ospedali in stato di necessità possano usufruirne. Inoltre, ha diffuso le istruzioni per realizzare il raccordo in stampa 3D: in questo modo le case di cura potranno acquistare le maschere Decathlon e far realizzare agli stampatori il pezzo necessario per completarle.

Come noto, un’invenzione è brevettabile se risolve in maniera originale un problema tecnico. Da un punto di vista giuridico, un brevetto per essere valido deve presentare i seguenti requisiti: industrialità, novità, originalità e liceità. Tali requisiti paiono sussistere pienamente nel caso di specie, non essendo noto, fino ad oggi, l’impiego di una maschera da snorkeling per scopi sanitari.

Marchio “coronavirus”: supererà la fase d’esame?

Lo scorso 28 febbraio, la G.L. GROUP ITALIA S.R.L. ha depositato presso l’UIBM (Ufficio Italiano Brevetti e Marchi) il marchio denominativo CORONAVIRUS. Il marchio è attualmente in fase d’esame da parte dell’esaminatore che stabilirà se siano stati rispettati i requisiti formali e sostanziali necessari per procedere con l’iter di registrazione. Al momento, diversamente da quanto erroneamente affermato da più fonti, il marchio non risulta ancora registrato. Tuttavia, il marchio non appare allo stato nemmeno validamente registrabile.

Come noto, infatti, un marchio è valido se dotato di alcuni requisiti:

  • Novità: ai sensi dell’art. 12 del Codice della proprietà industriale (CPI), non possono costituire oggetto di registrazione segni che non sono nuovi, ossia qualora siano già presenti sul mercato segni identici o simili per contraddistinguere prodotti o servizi identici o affini a quelli per i quali si chiede la registrazione.
  • Capacità distintiva: il segno, ai sensi dell’art. 13 CPI, non può: consistere esclusivamente in segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi costanti del commercio (ad esempio parole come “super”, “extra”, “ciao”); essere costituito esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono (ad esempio “bittèr” per aperitivi, “espresso” per macchine da caffè).
  • Liceità: il segno non può essere in contrasto con l’ordine pubblico e non deve violare le disposizioni di legge (art. 14 CPI).

Requisiti che, allo stato, paiono mancanti.

In primis, il requisito della novità: CORONAVIRUS è infatti una dicitura scientifica indicante una patologia specifica. Così vale anche per la capacità distintiva, in quanto tale termine, ormai noto al pubblico più disparato, richiama espressamente il virus dei nostri giorni.

Infine, il segno è stato depositato per diverse classi merceologiche: suonerie per cellulari scaricabili, custodie per telefoni cellulari, applicazioni software scaricabili, applicazioni per cellulari; metalli preziosi e loro leghe; gioielleria, bigiotteria, pietre preziose; orologeria e strumenti cronometrici; carta e cartone; stampati; articoli di abbigliamento e scarpe; giochi e articoli per sport; cibo e ristorazione (classi 9, 14, 16, 25, 28, 29, 30 e 43). L’esaminatore riterrà valido il deposito della dicitura CORONAVIRUS?

Smart working e segreti commerciali

L’allarme del Covid-19 ha imposto alle aziende di ripensare i modelli organizzativi del lavoro e introdurre il c.d. “smart working”. Questo cambiamento ha sicuramente conseguenze positive per il tessuto produttivo del nostro paese, ma ci sono anche grossi rischi, le cui conseguenze potrebbero essere negative per un’economia già in ginocchio. Lo smart working improvvisato rappresenta infatti una minaccia per i diritti di proprietà intellettuale, oltre che per la privacy e la cybersecurity.

Le connessioni da casa, ove non protette, possono infatti agevolare attacchi di hacker che potrebbero entrare in possesso di informazioni commerciali di vario tipo, quali documenti contrattuali riservati, know-how sui processi produttivi, progetti strategici, idee, invenzioni, liste di clientela e fornitori e via dicendo. Senza dimenticare che la maggior parte del personale ignora le minime procedure di protezione delle informazioni e dei dati.

Per permettere dunque ai lavoratori di operare da casa in condizioni di piena sicurezza, occorre che le aziende regolino l’utilizzo della rete e dei dispositivi informatici da remoto, adottando tutte le misure necessarie a proteggere i segreti commerciali in maniera adeguata.

Ai sensi dell’art. 98 CPI, le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, possono essere tutelate come segreti commerciali se non sono generalmente note o facilmente accessibili agli esperti del settore, se traggono valore economico dalla loro stessa segretezza e, soprattutto, se sono sottoposte a misure di sicurezza “ragionevolmente” adeguate. Ad esempio le seguenti:

  • adozione e implementazione di policy e linee guida aziendali ad hoc;
  • tecniche di cifratura che impediscano ai dipendenti di sottrarre informazioni segrete all’azienda tramite dispositivi mobili come chiavette USB, hard-disk e simili;
  • utilizzo di apposite misure IT volte a proteggere la documentazione digitale e le reti telematiche, come uso di username e password, chiavi di rete, richieste di autorizzazioni, firme digitali, firewall, elementi “fingerprint” di codifica dei documenti e tracciabilità dell’accesso;
  • sensibilizzazione e formazione del personale;
  • stipula di appositi accordi di non divulgazione e confidenzialità (per i dipendenti anche tramite l’inserimento di clausole ad hoc all’interno dei contratti di lavoro);
  • marcatura della documentazione di rilievo con le note di riservatezza (ad esempio mediante la stampigliatura “segreto” o “confidenziale” sulla prima pagina degli stessi).

Pratiche commerciali scorrette e pubblicità ingannevole

Nell’ultimo periodo, l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) ha ricevuto diverse segnalazioni contro molti siti web che pubblicherebbero messaggi pubblicitari ingannevoli in merito all’efficacia contro il Covid-19 di prodotti igienizzanti/disinfettanti, prodotti cosmetici, integratori e altri simili, oggetti cioè che in questo periodo sono particolarmente ricercati.

Come noto, il Decreto Legislativo n. 145 del 2007 definisce all’art. 2 la pubblicità ingannevole come “qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione è idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente”. L’errore indotto dalla pubblicità può riguardare le caratteristiche dei beni o dei servizi pubblicizzati, il prezzo, le condizioni alle quali i beni e i servizi vengono forniti nonché l’identità, il patrimonio, i diritti di proprietà intellettuale e industriale, i premi e i riconoscimenti di colui che ha commissionato il messaggio pubblicitario e del suo autore.

Appare evidente che nei casi di specie, il carattere ingannevole risiede nel messaggio falso e nella volontà di influenzare il comportamento del possibile acquirente che, spinto dall’emergenza del momento, compierebbe delle scelte economiche che altrimenti non avrebbe probabilmente preso.

L’Autorità ha infatti ritenuto che le modalità di promozione di tali prodotti fossero prima facie ingannevoli e aggressive, in quanto sfruttano l’alterata capacità di valutazione del consumatore dovuta all’allarme suscitato dal costante aumento del numero dei soggetti contagiati dal virus. In tali casi, è stata in particolare disposta l’eliminazione – anche in via cautelare – di ogni riferimento all’efficacia preventiva contro il Covid-19 dei prodotti scorrettamente pubblicizzati e commercializzati. E in casi più gravi, il totale oscuramento del sito web. Tali misure sono state necessarie in quanto nessuna delle affermazioni indicate nei siti incriminati trovava conforto nella letteratura scientifica e nessuno dei prodotti pubblicizzati rappresentava un presidio medico-chirurgico.

A seguito delle azioni intraprese dalle autorità italiane, la Commissione Ue e la rete di autorità nazionali per la protezione dei consumatori Ue stanno lavorando a linee guida comuni per coordinare autorità, commercianti e piattaforme online contro le frodi in rete e rimuovere rapidamente prodotti e pubblicità false in aumento da quando è iniziata l’epidemia.

Agevolazioni per gli imprenditori

Infine, si segnala che quasi tutti gli uffici marchi e brevetti del mondo hanno posticipato le scadenze, fermando a livello burocratico lo scorrere del tempo dall’inizio di marzo all’inizio di aprile; l’EUIPO (Ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale) addirittura sino al prossimo 3 maggio.

Inoltre, a livello italiano, sono stati prorogati i termini di alcuni bandi di finanziamento che consentirebbero alle aziende di rientrare dell’80% di quanto speso per la difesa dei propri titoli di proprietà intellettuale. Queste azioni rappresentano senz’altro un’importante agevolazione per gli imprenditori che, in questo momento così critico, da un lato possono posticipare le decisioni relative agli adempimenti amministrativi dei marchi e dei brevetti e dall’altro possono provvedere a tutelare i propri asset immateriali, certi che rientreranno delle spese sostenute.

Ruolo della proprietà intellettuale

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, emerge che anche nel contesto di una forte e improvvisa crisi come quella attuale, la proprietà intellettuale deve continuare a essere adeguatamente protetta e tenuta in considerazione nell’attività aziendale.

Non solo. La proprietà intellettuale, anche in un momento così statico, rappresenta un elemento fondamentale per la messa a terra e la protezione di tutte le idee che stanno nascendo in questo periodo e che stanno portando ottimi e fondamentali risultati. In altre parole, l’IP ora più che mai costituisce un valido strumento di business e di risollevamento dell’economia. Da un lato, infatti, la corretta brevettazione degli innovativi componenti in campo sanitario di cui si è sopra discusso può garantire la protezione di idee innovative e rivoluzionarie molto utili nel contesto emergenziale in corso.

Parimenti, la registrazione di validi marchi costituisce utile strumento per la valorizzazione dell’attività di impresa, ove fatta nel rispetto delle regole vigenti. Inoltre, i messaggi pubblicitari, ove realizzati in maniera corretta, possono coadiuvare l’attività di impresa. Infine, lo stesso smart working, motore dell’attività economica attuale, non può funzionare senza le misure necessarie per proteggere il know-how.

Insomma, la proprietà intellettuale cammina fianco a fianco dell’economia, costituendone strumento di ripresa nell’era del coronavirus.

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