LA PROPOSTA

Meno barriere al Fintech, così diamo liquidità alle imprese italiane

Servono strumenti agili per fornire rapidamente liquidità al sistema imprenditoriale colpito dalla crisi Covid-19. I servizi finanziari innovativi offrono soluzioni efficienti e rapide. Ecco una serie di interventi “di manutenzione” della normativa esistente per estendere e accelerare la loro introduzione

Pubblicato il 30 Apr 2020

Giovanni Cucchiarato

Group General Counsel Dedalus - Fellow IIP

Financial technology concept. Technological abstract background.

Gli strumenti di finanza alternativa e i servizi degli operatori Fintech sono in grado di apportare velocemente sostegno alle aziende italiane in crisi. Ma serve estenderne la portata e incentivarne l’adozione. Vediamo quali correzioni normative sono necessarie per liberarne il potenziale.

Impatto del Covid-19 sulle aziende italiane

La drammatica crisi venutasi a creare con l’emergenza epidemiologica da COVID-19 avrà ripercussioni economiche di inimmaginabile gravità sulle nostre aziende, ed in particolare sulle piccole e medie imprese, che – come noto – sono fortemente dipendenti dai finanziamenti erogati loro dal sistema bancario.

In un tale contesto – parallelamente agli importanti provvedimenti di sostegno alle imprese emanati dal Governo, in particolare con la recentissima approvazione del cd. Decreto Liquidità (che vede lo Stato, anche per il tramite di altre istituzioni e soggetti pubblici o a partecipazione pubblica, assurgere al ruolo di garante di ultima istanza per la restituzione dei finanziamenti erogati dalle banche), ed alle misure che verranno ulteriormente implementate nel prossimo futuro dai decision-makers italiani ed europei – sarà necessario percorrere anche altre e diverse vie che possano contribuire a garantire la liquidità indispensabile alla sopravvivenza del nostro tessuto imprenditoriale, e la conseguente tenuta del sistema economico e sociale.

Si ritiene che una di tali vie (ovviamente non l’unica percorribile, e sicuramente non la più rilevante in termini di potenziale impatto economico) possa essere individuata nel rafforzamento e nello sviluppo dei cosiddetti “strumenti di finanza alternativa”, tipicamente riconducibili ai servizi prestati dalle società FinTech, ma non solo.

Si pensi al mondo dei fondi di investimento alternativi (FIA), o a quello delle applicazioni della tecnologia blockchain ai mercati finanziari. Si pensi inoltre alle piattaforme on-line attraverso le quali – per limitarci al cd. “investment crowdfunding” e senza pertanto tenere qui in considerazione l’altrettanto importante settore del donation-based crowdfunding – vengono erogate alle aziende somme di denaro raccolte tramite investimenti on-line, che possono consistere nella sottoscrizione di una partecipazione al capitale sociale (“equity crowdfunding“) o di obbligazioni emesse dalle società finanziate, ovvero nella corresponsione di un finanziamento a titolo di mutuo (“lending crowdfunding“), o nell’acquisto pro soluto di fatture non ancora riscosse (il cd. “invoice trading“, che ha già assunto notevole importanza in Italia e rappresenterà sempre più in futuro una valida soluzione per fornire liquidità alle imprese).

Digitalizzazione dei processi finanziari

Il FinTech, inoltre, tramite la digitalizzazione dei processi e la gestione on-line delle operazioni, offre notevoli vantaggi anche in termini di tempistiche, evitando la burocrazia e le lungaggini tipiche dei canali di finanziamento più tradizionali, e permettendo così l’erogazione delle somme raccolte in tempi rapidi.

Alla luce del ruolo che gli strumenti di finanza alternativa potranno svolgere nel reperimento da parte delle aziende italiane della liquidità indispensabile per la loro sopravvivenza, andranno introdotte delle misure che – pur nel rispetto del principio di protezione degli investitori retail – ne semplifichino ed incentivino l’utilizzo.

Nel presente contributo verranno brevemente illustrate alcune proposte concrete che, pur non avendo alcuna pretesa di esaustività, ad avviso di chi scrive possono contribuire – tramite semplici interventi “di manutenzione” della normativa esistente – a dare un rilevante impulso allo sviluppo degli strumenti di finanza alternativa e dei servizi degli operatori FinTech, al fine di incentivarne l’utilizzo a sostegno del nostro tessuto imprenditoriale.

Le SIS a supporto delle PMI

Uno strumento che potrebbe rivelarsi molto utile al sostegno del tessuto economico-produttivo italiano è rappresentato dalle società di investimento semplici (SIS), introdotte nel nostro ordinamento dal cd. “Decreto Crescita” (Decreto Legge n. 34 del 30 aprile 2019), ma la cui disciplina si ritiene abbisogni, però, di alcune modifiche.

La società di investimento semplice è definita dall’articolo 1, comma 1, lettera i-quater) del TUF come «il FIA italiano, costituito in forma di Sicaf che gestisce direttamente il proprio patrimonio e che rispetta tutte le seguenti condizioni: 1) il patrimonio netto non eccede euro 25 milioni; 2) ha per oggetto esclusivo l’investimento diretto del patrimonio raccolto in PMI non quotate su mercati regolamentati di cui all’articolo 2 paragrafo 1, lettera f), primo alinea, del regolamento (UE) 2017/1129 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2017 che si trovano nella fase di sperimentazione, di costituzione e di avvio dell’attività, in deroga all’articolo 35-bis, comma 1, lettera f); 3) non ricorre alla leva finanziaria; 4) dispone di un capitale sociale almeno pari a quello previsto dall’articolo 2327 del codice civile, in deroga all’articolo 35-bis, comma 1, lettera c)».

Rispetto alla prima versione del Decreto Crescita, il testo definitivo della norma non prevede più, a seguito della sua conversione in legge, che la sottoscrizione delle azioni o degli altri strumenti finanziari partecipativi emessi dalle SIS sia riservata agli investitori professionali. Tale azioni e strumenti finanziari partecipativi possono pertanto essere sottoscritte anche dagli investitori meno sofisticati (retail).

Le SIS sono, semplificando, dei fondi di investimento “leggeri”, in quanto godono di alcune importanti esenzioni rispetto alla disciplina applicabile agli altri organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR), in materia, ad esempio, di adeguatezza patrimoniale, contenimento del rischio e partecipazioni detenibili, trasparenza, etc. Tali esenzioni, unite al regime fiscale di favore di cui godono (essendo soggette al regime degli OICR residenti sia ai fini IRES che IRAP), rendono le SIS degli strumenti estremamente interessanti sia per i gestori del risparmio (newcomers o incumbents), che per gli investitori e (non ultime) per le potenziali società-target destinatarie dei loro investimenti, che possono così usufruire di una importante fonte di finanziamento alternativa/aggiuntiva al sistema bancario.

SIS, il nodo interpretativo

L’effettiva possibilità di utilizzare tale veicolo di investimento si trova però attualmente in una fase di stallo, dovuta anche ad alcune perplessità interpretative relative alla sopra citata definizione normativa, ai sensi della quale le SIS devono avere quale oggetto esclusivo l’investimento diretto del patrimonio raccolto in PMI non quotate su mercati regolamentati che si trovano nella fase “di sperimentazione, di costituzione e di avvio dell’attività”.

Se il riferimento alle PMI non desta problemi interpretativi (in quanto per esse, a norma del Regolamento (UE) 2017/1129, si intendono le società che, in base al loro più recente bilancio annuale o consolidato, soddisfano almeno due dei seguenti tre criteri: (i) numero medio di dipendenti nel corso dell’esercizio inferiore a 250; (ii) totale dello stato patrimoniale non superiore a 43 milioni di euro; (iii) fatturato annuo netto non superiore a 50 milioni di euro), la limitazione degli investimenti delle SIS alle PMI che “si trovano nella fase di sperimentazione, di costituzione e di avvio dell’attività” desta non poche perplessità, dal momento che non esiste un univoco riferimento normativo che chiarisca cosa si intenda per tali fasi di sviluppo.

Ad ogni modo, e al di là delle citate difficoltà interpretative, si ritiene necessario che il sopra citato riferimento alla “fase di sperimentazione, di costituzione e di avvio dell’attività” vada eliminato, in modo da poter utilizzare questo nuovo strumento di gestione collettiva del risparmio (in analogia alle politiche europee in materia di fondi alternativi) per il sostegno di tutta l’economia reale e pertanto di tutte le piccole e medie imprese che ne formano la base portante, a prescindere dalla fase di sviluppo o maturità in cui le stesse si trovano, o del settore in cui operano.

Estensione dell’equity crowdfunding

Ad oggi, la possibilità di utilizzare i portali di equity crowdfunding autorizzati in Consob per ricevere investimenti in equity o tramite l’emissione di bonds (obbligazioni o titoli di debito) è riservata alle PMI (ossia alle società aventi i requisiti dimensionali elencati al precedente paragrafo).

Chi scrive è convinto che tale limitazione vada superata, in modo da permettere anche alle società di maggiori dimensioni (anch’esse pesantemente colpite dall’attuale stato di emergenza e crisi economica determinati dall’epidemia di COVID-19) di raccogliere investimenti tramite l’emissione di strumenti finanziari di rischio (equity) o di debito (bonds) da offrire al pubblico sui portali on-line autorizzati.

Se da un lato, infatti, a causa della crisi che stiamo vivendo anche le realtà imprenditoriali più grandi avranno bisogno di testare l’utilizzo di canali alternativi per ottenere liquidità, dall’altro lato non si vedono particolari problemi sul fronte della tutela degli investitori retail, dal momento che – di norma – le aziende di maggiori dimensioni non rappresentano certo un rischio di investimento maggiore rispetto alle start-up o alle PMI.

La posizione di cui sopra è ulteriormente avvalorata del fatto che il testo del Regolamento UE sugli “European Crowdfunding Service Providers” – attualmente in discussione tra le istituzioni Ue e che armonizzerà in un futuro non troppo lontano le normative dei singoli Stati membri in materia di investment crowdfunding – non prevede alcun limite dimensionale delle imprese emittenti, né una tale limitazione si riscontra nelle regolamentazioni in materia degli altri paesi europei.

Sottoscrizione di bond tramite portali on-line

Sempre con riferimento agli investimenti tramite i portali di crowdfunding autorizzati in Consob, si ritiene necessario estendere a tutti gli investitori retail la possibilità di sottoscrivere per mezzo degli stessi gli strumenti finanziari di debito (bonds) emessi dalle società emittenti, ovviamente nel rispetto delle garanzie previste dalla normativa applicabile.

Come evidenziato in altri precedenti contributi, la possibilità di sottoscrivere bonds tramite i portali on-line è infatti ad oggi riservata agli investitori professionali e (limitatamente alle obbligazioni emesse dalle S.p.A.) ad altre speciali categorie di investitori aventi determinate caratteristiche.

L’estensione a tutti gli investitori della possibilità di sottoscrivere bonds tramite i portali on-line porterebbe con sé l’auspicabile risultato di allargare in modo consistente la platea dei soggetti che, tramite i loro investimenti, potranno contribuire ad apportare liquidità al tessuto imprenditoriale italiano.

Si ritiene pertanto che – anche in considerazione della minore rischiosità degli investimenti in strumenti finanziari di debito rispetto a quelli in strumenti finanziari di rischio (i.e. rispetto a quelli in equity, per i quali la normativa non prevede limitazioni di sorta con riferimento agli investitori retail) –, l’attuale regolamentazione vada modificata, estendendo a tutti gli investitori non professionali la possibilità di investire in titoli di debito emessi da società costituite in forma di S.r.l. e in obbligazioni emesse da S.p.A., senza sottostare ai limiti previsti dalla normativa applicabile, laddove tali strumenti finanziari formino oggetto di una offerta al pubblico tramite portali autorizzati.

Investimento tramite portali di crowdfunding

Al fine di incentivare gli investimenti nell’economia reale tramite gli strumenti di finanza alternativa, andrebbero rimossi alcuni formalismi che ne rendono a volte difficile l’utilizzo da parte di determinati investitori.

Un esempio in tal senso è rappresentato dall’obbligo di richiedere un codice fiscale italiano in capo agli investitori stranieri (o meglio, a quelli non residenti in Italia) che ne siano sprovvisti, al fine di dare efficacia al loro investimento nel capitale di rischio di società italiane effettuato tramite un portale, attraverso la loro iscrizione come soci presso i competenti Registri delle Imprese.

La previsione di un tale obbligo rappresenta, evidentemente, un forte limite all’investimento da parte dei soggetti esteri, frustrando le esigenze di speditezza tipiche degli operatori FinTech e dei loro utenti.

Pur essendo stato eliminato, ormai da qualche anno, l’obbligo di indicare negli atti e negozi conclusi tramite intermediari finanziari il codice fiscale italiano dei soggetti stranieri (e pertanto di ottenerlo nel caso essi ne siano sprovvisti), e pur rientrando i gestori di portali on-line nella categoria degli intermediari finanziari, i Registri delle Imprese continuano a richiedere l’indicazione del codice fiscale per l’iscrizione quali soci dei soggetti stranieri che sottoscrivono tramite tali portali quote di società a responsabilità limitata.

Si ritiene quindi necessaria una modifica normativa volta a chiarire/confermare che l’esenzione dall’indicazione del codice fiscale per i soggetti stranieri si applica anche agli atti e negozi conclusi tramite i gestori di portali autorizzati, in quanto intermediari finanziari.

Tale intervento normativo potrebbe eventualmente essere accompagnato dall’inclusione dei gestori dei portali tra i soggetti tenuti ad effettuare le verifiche antiriciclaggio ai sensi del D. Lgs. 231/2007, in modo da superare possibili preoccupazioni legate all’assenza o carenze di controlli antiriciclaggio relativi ad investimenti di soggetti stranieri tramite banche estere considerate poco affidabili da tale punto di vista.

Accesso alla sandbox: apertura agli operatori stranieri

Con riferimento, in generale, alle società attive nel settore del FinTech, è in fase di definizione la regolamentazione italiana sulla cd. “sandbox (introdotta dal già citato Decreto Crescita), essendosi recentemente conclusa la pubblica consultazione avviata dal Ministero per l’Economia e le Finanze sulla proposta di Regolamento di attuazione che disciplinerà le condizioni e modalità di svolgimento del periodo di sperimentazione (la sandbox, appunto) di massimo 18 mesi di cui potranno usufruire le imprese che operano in ambito FinTech.

Come evidenziato anche in un altro recente contributo, è opportuno che il sopra citato Regolamento attuativo della sandbox – del quale si auspica una rapida approvazione – preveda meccanismi di selezione che siano più semplici e snelli possibile ed incentivi (o quanto meno non ostacoli) l’applicazione della stessa sandbox agli operatori stranieri.

Se ciò avverrà, infatti, il regime derogatorio e di favore applicabile durante la fase di sperimentazione incentiverà l’attrazione e la crescita in Italia di operatori qualificati, anche stranieri, nel settore del FinTech, che potranno così contribuire alla digitalizzazione ed innovazione dei nostri servizi finanziari ed al finanziamento delle nostre imprese tramite l’erogazione dei loro servizi.

Offerte iniziali e scambi di cripto-attività

Ad inizio 2020 Consob ha pubblicato il proprio rapporto finale su una possibile regolamentazione in Italia delle offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività, rapporto che ha fatto seguito ad una consultazione pubblica tenutasi tra marzo e giugno 2019 e ad un public hearing tenutosi alla Bocconi di Milano il 21 maggio 2019.

Tale iniziativa, sulla quale chi scrive ha avuto modo di esprimersi in due precedenti contributi, è volta ad offrire al Governo una proposta di testo legislativo relativamente ad una possibile definizione delle cripto-attività (normalmente denominate nella prassi anche “crypto-assets” o “tokens”), ed alla regolamentazione delle offerte di crypto-assets di nuova emissione (“initial coin offerings” o “initial exchange offerings”), nonché della successiva fase di loro negoziazione e scambio tramite i cosiddetti “exchanges”, e dei servizi relativi alla loro custodia e trasferimento prestati dai cosiddetti “wallet providers”.

Senza entrare qui nel merito della proposta normativa di Consob, si ritiene necessaria ed urgente l’approvazione anche in Italia di una normativa che regolamenti in maniera chiara ed efficace le offerte iniziali di tokens, ossia di quelle cripto-attività che vengono emesse e scambiate (normalmente attraverso pagamenti effettuati in cripto-valute, ma anche in moneta FIAT) tramite l’utilizzo della tecnologia blockchain e, in generale, delle “distributed ledger technologies” (“DLTs”), e pertanto in modo disintermediato rispetto ai soggetti tipicamente operanti sui mercati dei capitali.

Tale modalità di raccolta dei capitali, se sapientemente regolamentata attraverso una normativa che sappia trovare il giusto bilanciamento tra deroghe normative ed esigenze di tutela degli investitori retail, può rivelarsi molto utile, e si ritiene che l’urgenza di poter utilizzare anche in Italia innovativi strumenti per il finanziamento del tessuto imprenditoriale non permetta (purtroppo) di attendere i tempi necessari all’approvazione di una normativa comune ed armonizzata a livello europeo.

Ciò nonostante, il legislatore italiano, partendo dal meritorio lavoro fatto dalla Consob, potrà tenere in debita considerazione le iniziative che nel frattempo sono state poste in essere dall’Unione europea (dove, ad esempio, tra dicembre 2019 e marzo 2020, la Commissione ha lanciato una pubblica consultazione per l’adozione di un “EU framework for markets in crypto-assets”), nonché i recenti interventi regolamentari in materia di alcuni Stati membri, come la Germania, o di paesi non appartenenti alla UE, come la Repubblica di Albania.

Come prevedere incentivi fiscali

Sempre al fine di incentivare gli investimenti a sostegno dell’economia reale da parte del risparmio privato, effettuati (anche, ma eventualmente non solo) tramite gli strumenti di finanza alternativa sopra descritti, è necessario introdurre importanti agevolazioni fiscali, e si ritiene a tale riguardo che l’attuale gravissima crisi economica ne giustifichi l’emanazione anche eventualmente in deroga alle normative europee in materia, ad esempio, di aiuti di Stato.

La lista delle possibili iniziative sul fronte fiscale potrebbe essere lunga. Si riportano pertanto qui di seguito alcune proposte, a mero titolo esemplificativo:

  • l’applicazione a tutte le PMI degli incentivi fiscali previsti per gli investimenti nel capitale di rischio di start-up e PMI innovative, pari attualmente al 30% dell’importo investito, a titolo di detrazione dall’IRPEF per gli investitori persone fisiche e di deduzione dall’IRES per gli investitori persone giuridiche;
  • l’innalzamento (quanto meno) al 50% dell’aliquota sopra citata, prevedendo eventualmente una percentuale ancora più elevata per gli investimenti in start-up e/o PMI innovative;
  • l’innalzamento degli attuali importi massimi agevolabili e, in generale, un alleggerimento dei requisiti per fruire degli incentivi fiscali sopra descritti;
  • la riduzione delle aliquote attualmente applicabili sui proventi derivanti da qualsiasi tipo di investimento effettuato tramite strumenti di finanza alternativa;
  • un regime fiscale di particolare favore per le società operanti nel settore del FinTech che offrono servizi di finanza alternativa.

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