Riorganizzare gli spazi di lavoro, rivedere gli orari, provvedere al recupero di tutti i dispositivi di protezione individuale, come mascherine, occhiali, igienizzanti e prodotti per la sanificazione, regolamentare meglio e allargare l’utilizzo dello smart working, investire su sistemi di aerazione e ventilazione e sensibilizzare le persone sulle modalità di trasporto. La doverosa fermata imposta dalla pandemia va usata per porre le basi per la costruzione di fabbriche sicure, anche e soprattutto grazie alla tecnologia, e per recuperare il ritardo che ha finora caratterizzato la digitalizzazione delle nostre imprese.
Siamo infatti consapevoli che molto, nel prossimo futuro, cambierà, non solo nella quotidianità ma anche nel lavoro. Starà a noi dargli un indirizzo positivo, fatto di novità e opportunità. Per questo occorre iniziare a prepararsi, da subito, per quando l’emergenza sarà finita e le autorità stabiliranno la ripresa delle attività tenendo come punto fermo il rispetto del protocollo, sottoscritto da Cgil, Cisl, Uil e Parti datoriali, con la regia del Governo.
Saremo impegnati a costruire intese con le imprese che, a partire da queste premesse, possano favorire una ripresa graduale delle attività, con un occhio di riguardo alle persone più deboli, come donne in gravidanza, immunodepressi, lavoratori reduci da terapie oncologiche o con gravi forme di ipertensione o diabete, over 65, costruendo condizioni che consentano di riportare le persone al lavoro in totale sicurezza, anche utilizzando controlli con il tampone. Le imprese dovranno diventare, strutturalmente, luoghi sicuri dove a migliori condizioni di salute e sicurezza corrisponda maggiore solidità aziendale. Una straordinaria occasione di partecipazione per il Sindacato che, dopo aver tutelato la salute delle persone, dovrà occuparsi di riaccompagnarle al lavoro costruendo le condizioni necessarie fabbrica per fabbrica.
Certificare tutte le fasi del processo lungo la catena globale della produzione
Questa emergenza ha evidenziato alcuni colpevoli ritardi, economici, normativi e sociali, del nostro Paese: investire in infrastrutture digitali vuol dire accompagnare le imprese verso l’innovazione tecnologica e lanciare definitivamente lo smart working, dopo questo rodaggio, troppo spesso, improvvisato; il 5G potrebbe essere la spinta decisiva a Industria 4.0 e la soluzione ai problemi di scarsa copertura della banda larga; i permessi, strutturali, per assistere i figli sarebbero un atto di civiltà e sostegno all’occupazione femminile e avrebbero evitato problemi economici e organizzativi a tante famiglie dopo la chiusura prolungata di asili e scuole; la sanità pubblica ci sta ricordando il suo valore immenso, da difendere e rilanciare. Investire sulla cura della persona può generare maggior benessere e tanto lavoro industriale; l’Europa dovrà cambiare passo e le parole con cui Ursula Von der Leyen ha annunciato massima flessibilità sugli aiuti di Stato sono, da questo punto di vista, incoraggianti per garantire il semaforo verde per la parte dei 400 miliardi, destinata alle imprese più grandi, di prestiti stanziati dal Governo. Una risposta necessaria anche se non si ha la certezza che tale liquidità possa favorire la ripartenza degli investimenti soprattutto a fronte della condizionalità quasi nulla per accedere al prestito. Sarebbe auspicabile sostenere investimenti per guidare la transizione industriale verso la sostenibilità ambientale, riconvertendo le produzioni e accompagnando la riqualificazione delle persone.
Molto dipenderà dalla durata dell’emergenza sanitaria ma lo scenario che abbiamo di fronte è sicuramente mutato rispetto a qualche mese fa. Varie previsioni annunciano una contrazione del Pil italiano tra il 6 e l’8%, con perdite di centinaia di miliardi di euro in termini di fatturato aziendale. La catena globale del valore, in cui le imprese italiane e lombarde in particolare sono ben inserite, rischierà di spezzarsi con forti ripercussioni sulla tenuta industriale. Se considerassimo la somma degli elementi e il ciclo logistico che compongono produzioni complesse, come quelle che interessano le nostre imprese, potremmo tranquillamente affermare che queste tipologie di prodotto facciano due o tre volte il giro del mondo prima di vedere definitivamente la luce. Un’immagine che rende molto bene l’idea della complessità dei cicli produttivi, della lunghezza delle catene del valore e delle forniture e del livello di interconnessione globale tra le imprese, che stanno già manifestando le conseguenze della pandemia.
Il Covid-19 ci ha dimostrato che i problemi di un singolo paese, in questo caso il virus, possono mettere in difficoltà la catena globale del valore, con danni diffusi, difficili da contenere e quantificare. Ancora una volta le tecnologie possono venirci in soccorso per aiutarci a costruire, lungo tutta la catena globale del valore, la certificazione delle fasi del processo realizzando dei veri e propri lasciapassare digitali per chiunque voglia partecipare alla filiera accettando queste regole. Gli anelli della catena globale del valore che non avranno queste certificazioni saranno tagliati fuori. Questo ci consentirebbe di conquistare sovranità industriale e di recuperare il divario di cui la Cina ha potuto beneficiare approfittando, ad esempio, di normative sociali e ambientali meno vincolanti, riposizionando la competizione sulla qualità del prodotto. Una filiera certificata in questo modo, a maggior ragione con produzioni ad alto contenuto tecnologico, consentirebbe di spostare verso l’Europa il baricentro della catena globale del valore, candidando il nostro Continente ad avere un ruolo di contrappeso economico e politico al potere di Stati Uniti e Cina, con benefici diffusi anche per il nostro Paese che manterrebbe sovranità industriale nelle filiere strategiche.
Anagrafe delle competenze, formazione e valorizzazione del capitale umano
Puntare sull’innovazione, sulla partecipazione e sulle produzioni intelligenti, a cui corrispondono salari migliori, valorizzazione del capitale umano e ambienti di lavoro sicuri e confortevoli, significa evitare di scivolare verso un modello di industria fondato sulla riduzione dei costi, dell’occupazione e dei salari, dove precarietà e gerarchie rigide e vecchie sono la norma. Ecco perché diventa fondamentale investire sulla formazione. Il rapporto “Strategie per le competenze” dell’Ocse dipinge un’Italia impantanata nelle basse qualifiche, causa di debolezza dell’offerta e di scarsi investimenti in tecnologie che, invece, richiedono alte competenze. Il rischio, in questo caso, è che l’automazione venga utilizzata più per risparmiare sul costo del lavoro che non, invece, per valorizzare il contributo e il ruolo delle persone. Il Contratto dei Metalmeccanici, dopo aver conquistato il diritto soggettivo alla formazione per tutti, punta ora alla valorizzazione del capitale umano e alla tutela dell’occupabilità delle persone. Più si terranno agganciate le competenze delle persone alle traiettorie di sviluppo delle imprese, maggiore sarà la spinta per aziende, Paese e produttività. È urgente costruire un’anagrafe delle competenze funzionale a focalizzare gli interventi formativi sulle reali necessità dei territori e delle imprese e avere un quadro fedele delle professionalità presenti al lavoro e di quelle da riallocare, colmando eventuali divari di competenze e incrociando domanda e offerta, fattore decisivo, e urgente, in questa crisi che produrrà disoccupazione.
La tecnologia creerà opportunità di aumentare, e migliorare, il valore e la qualità del capitale umano industriale, diventando uno straordinario alleato per raccogliere e analizzare l’enorme quantità di dati disponibili, che non vengono utilizzati, per monitorare il reale andamento delle competenze delle persone individuando, ad esempio, i talenti che non vengono valorizzati o il rischio di obsolescenza professionale. Oggi nessuno si occupa del ciclo di vita delle competenze del capitale umano che saranno il nuovo fattore di competitività delle imprese, senza le quali l’industria non ha futuro.
Recuperare i ritardi in tecnologie e innovazione per modernizzare il Paese
Formazione, contrattazione e partecipazione sono dunque vere e proprie operazioni di politica industriale a costo zero, con effetto moltiplicativo senza eguali. Su queste direttrici sarebbe facile incentivare la crescita dimensionale delle imprese dando così, a tutte, la possibilità di dotarsi di disponibilità economiche e intellettuali per una struttura organizzativa all’altezza delle sfide dell’industria 4.0, raggiungere mercati lontani e inserirsi, meglio, nella catena globale del valore e in supply chain più lunghe con benefici sia in termini di competitività che di occupazione.
Il piano Industria 4.0, nel 2016, ha avuto il merito di rimettere l’industria al centro dell’agenda politica, facendo ripartire gli investimenti, svecchiando e modernizzando gli impianti produttivi che nel 2016 avevano, secondo i dati Ucimu, un’anzianità media di 13 anni e creando migliaia di posti di lavoro. È apprezzabile che il Governo abbia ripreso quel percorso che oggi prende il nome di Impresa 4.0 anche se preoccupa il fatto che le risorse siano contenute e che il meccanismo del credito di imposta, a giudizio delle imprese, non sia automatico come prima. Per facilitare e programmare gli investimenti, tuttavia servono orizzonti più ampi, di almeno tre anni e una forte dose di strabismo politico, con un occhio puntato sul presente dell’emergenza e uno sul futuro per guidare la nostra riscossa. È urgente, dunque, recuperare i ritardi in tecnologia e innovazione che, tra l’altro, sono direttamente proporzionali ai “cervelli in fuga”, perché la leadership digitale coinciderà anche con il benessere industriale. L’Agenda Digitale, lanciata nel 2012, va completata per modernizzare il Paese e renderlo più semplice e più efficiente, liberandolo dai vincoli burocratici che soffocano la produttività, assorbono risorse e annebbiano il futuro. Le tecnologie digitali necessitano di infrastrutture e servizi oltre che di regole, quadri normativi e procedure snelle e chiare. Solo in questo modo potremmo fare dello smart working, della didattica a distanza, delle video conferenze, dei servizi e delle applicazioni digitali, realtà in grado di migliorare la qualità della nostra vita e del nostro lavoro.
Protezione dei dati come fattore di attrazione di investimenti
La pandemia ha dimostrato che avremmo avuto bisogno di politiche molto più coordinate a livello di Unione Europea che, invece, resta prigioniera degli egoismi e dei nazionalismi dei singoli stati. Abbiamo, ora, l’occasione inaspettata per recuperare terreno nei confronti delle politiche di Stati Uniti e Cina, il make America great again e la belt and road initiative (le vie della seta), in quarantena da coronavirus. La Cina sta ancora contando i danni della pandemia e, negli Stati Uniti, Trump ha per il momento congelato il USMCA Agreement (accordo di libero scambio Stati Uniti, Messico e Canada) per concentrarsi sull’emergenza sanitaria e, soprattutto, sulla scia di disoccupazione che, come noto, è nemica mortale per ogni Presidente uscente alle prese con la rielezione. Ecco perché l’Unione Europea deve capitalizzare questa tregua forzata per candidarsi a centro regolatore mondiale, giocando un ruolo fondamentale anche nella conquista dell’indipendenza tecnologica e nella capacità di mantenere il controllo delle tecnologie indispensabili per lo sviluppo, recuperando i ritardi sui settori del futuro: batterie al litio per auto elettrica, auto autonoma, intelligenza artificiale, innovazione medicale, reti digitali, internet of things.
L’efficienza della cyber-security sarà fonte di attrattività per gli investimenti e condizione per buone relazioni tra super potenze basate su reti sicure che condizioneranno scelte geopolitiche, industriali e occupazionali. Si dice che i dati siano il nuovo petrolio. Un tema fondamentale che, per la Fim Cisl, deve diventare oggetto di contrattazione aziendale. La raccolta e l’analisi dei big data diventano operazioni fondamentali, ad esempio, per migliorare i processi aziendali, gestire la manutenzione predittiva e monitorare la complementarietà tra le competenze delle persone e l’andamento aziendale e, eventualmente, intervenire per tempo. I dati, determinanti per la produttività e custodi del sapere operaio, diventano quindi patrimonio collettivo i cui benefici devono essere redistribuiti, in termini di maggior benessere per il lavoratore, in una nuova logica partecipativa.
In questa fase di emergenza sanitaria l’utilizzo di tecnologie informatiche e test medici, integrate e regolate da protocolli aziendali e disposizioni in materia di privacy, potrebbero giocare un ruolo fondamentale per contribuire a riavviare in sicurezza le attività lavorative. È possibile, infatti, incrociando dati medici e digitali, “isolare” chi è entrato in contatto con persone positive al virus, ricostruendone la filiera dei contatti con precisione scientifica, e garantire la ripresa graduale delle attività, la cura dei contagiati, la tutela della salute di tutti e il lavoro in totale sicurezza. Un esempio di come le tecnologie, se governate e utilizzate per promuovere benessere e migliori condizioni per le persone, possono diventare una straordinaria occasione di sviluppo umano, sociale ed economico.