Il tornado Covid-19 sta sparigliando le carte dell’Agenda Digitale della Sanità italiana. Ma non è questo il momento di mettere in stand-by i processi avviati. Anzi. E’ ora che serve adottare il “metodo Londra” che permise – sotto le bombe del ’44 – di ri-progettare il futuro della città.
Sanità digitale, effetto nebbia in tempi di virus
Ciò che più sorprende, osservando e ascoltando le informazioni dei media in questi giorni di quarantena da Covid-19, è un certo ‘annebbiamento’ del sistema informativo della sanità italiana. Abbiamo per oltre 10 anni lavorato con passione – e con un alternarsi di picchi di euforia e di delusione – alla costruzione di un sistema informativo nuovo, europeo, per la salute degli italiani.
Un sistema basato su architetture eHealth. Il FSE, il Dossier Sanitario, la Cartella Clinica Elettronica, i CupWeb regionali, i PAI dematerializzati di presa in carico per i malati cronici. Tutto su backbone, dorsali di reti regionali eHealth, come Sole, Sis, 3C, ecc., totalmente interoperabili regione-regione, regioni-centro.
In sostanza abbiamo riposto tutte le speranze in un sistema non più basato soltanto sui vecchi flussi di rendicontazione amministrativa delle visite, dei ricoveri, della spesa farmaceutica, ma citizen centered, centrato sull’interazione medico paziente; nonché connected care, con un cittadino-assistito permanentemente connesso per motivi di salute. Gli step che avevamo davanti alla fine del 2019 erano quelli di una vera interoperabilità del sistema a livello nazionale e della interazione di questa nascente rete con i Big Data e le tecnologie di Intelligenza Artificiale.
Con l’arrivo del tornado Covid-19 si ha come la strana sensazione che questa catena progettuale si sia spezzata. Che il sistema non abbia retto all’impatto con la grande emergenza sanitaria. Certo, FSE e reti regionali eHealth sono ancora un ‘sistema in fieri’, non in condizioni strutturali di reggere a un così enorme carico emergenziale.
E-health messa all’angolo dall’emergenza
I motivi possono essere diversi. L’eHealth che stava faticosamente nascendo in Italia – come mi sembra abbia riconosciuto anche il nuovo ministro della Sanità – è inter-regionale e non nazionale. Inoltre presenta forti lacune in alcune regioni, non soltanto del sud d’Italia. In alcuni casi, poi, risulta perfino eterogenea anche all’interno di singole regioni. Inoltre è solo parzialmente patient centered e pochissimo connected care (la telemedicina in una moderna versione eCare è praticamente assente).
Così, nella gestione dell’emergenza la nostra eHealth è stata quasi messa in stand by e sostituita dalle reti emergenziali in uso per le catastrofi come i terremoti. Si telefona a ogni regione, a ogni prefettura e così si hanno dati in tempo reale che noi tutti possiamo leggere sul sito della Protezione Civile.
Paradossalmente, però, l’emergenza Coronavirus sta anche dando una buona spinta al treno dell’innovazione digitale che si muove a singhiozzo. Con centinaia di migliaia, forse milioni di persone che oggi lavorano in smart working o sono assistite da casa. E c’è subito da chiedersi se tutta questa gente ritornerà tra un mese o due ai vecchi rapporti di lavoro e di assistenza.
Anche se non sempre questo respiro assume valenza tecnologica nei provvedimenti di urgenza. Ad esempio, in materia di sanità elettronica la Protezione Civile, con l’ Ocdpc n. 651 del 19 marzo 2020, “considerata la necessità di garantire la piena funzionalità dei servizi di comunicazione elettronica su tutto il territorio nazionale, al fine di assicurare il lavoro agile per ridurre la mobilità sul territorio dei cittadini lavoratori” e “per superare il promemoria cartaceo della ricetta”, dà disposizioni a medici, farmacie, imprese del settore e Regioni. Un provvedimento che per la ricetta elettronica in realtà non servirebbe a chi ha il FSE attivo, ma che appare comunque interessante dove invita le imprese “a garantire, sul territorio nazionale, la più ampia disponibilità di servizi a banda larga e ultra larga, idonea ad assicurare in forma generalizzata la fruibilità delle applicazioni per il lavoro agile” e “le richieste di connettività ed erogazione e implementazione dei servizi provenienti dalle strutture ospedaliere”.
Ripartire dai 3 pilastri della Sanità digitale
Insomma, il Coronavirus cambia le carte in tavola. Siamo fermamente convinti – lo abbiamo già detto – che ben poco potrà ritornare come prima. Non vi è dubbio che in una situazione emergenziale grave, come quella che stiamo vivendo, la sanità italiana deve poter disporre non solo di un sistema informativo adatto alle catastrofi (della Protezione Civile) ma di una rete eHealth al Alta Comunicazione per svolgere funzioni di monitoraggio e controllo; predizione, diffusione della morbosità; implementazione di azioni preventive rispetto alla diffusione della patologia.
La situazione emergenziale ci porta così a riconsiderare l’insieme dei processi strategici messi in atto nell’ultimo decennio per dare attuazione all’Agenda Digitale in sanità e costruire un sistema eHealth nazionale. Quest’ultimo, come è noto, si basa sui tre pilastri, senz’altro fortemente innovativi, della governance real time, della personalizzazione della cura e della presa in carico del paziente lungo il percorso assistenziale di patologia.
A questo punto è indispensabile un impegno straordinario e immediato di riprogettazione dell’Agenda Digitale Sanitaria adottando quello che ormai nel gergo dei progettisti di sistemi complessi si chiama ‘Metodo Londra’. Nell’ultimo periodo della Seconda Guerra Mondiale, con l’intensificarsi dei bombardamenti tedeschi su Londra, un pool di architetti riuniti in un bunker disegnavano il nuovo piano regolatore della città partendo dalle grandi distruzioni prodotte dalle bombe. Il terribile danno diventava occasione per pensare e progettare la metropoli moderna del secondo Novecento, più funzionale e più bella.
Sanità digitale e Covid-19, best practice
Il COVID 19 è una catastrofe da cui possiamo e dobbiamo uscire imparando molte cose e con la consapevolezza, lo ripeto, che niente sarà come prima. Le misure organizzative di funzionamento del servizio sanitario assunte in situazione di emergenza lato dipendenti (smart working), lato assistiti (assistenza a distanza, eCare e telemedicina-teleconsulto-teleascolto), lato strutture (sicurezza di accesso ai presidi di cura, scaglionamento e specializzazione degli accessi), disegnano, in un certo modo, la sanità del domani e richiedono forme spinte di dematerializzazione e virtualizzazione del sistema. Un vero ‘cambio di medium’ perché nulla, appunto, può ritornare come prima.
Faccio un esempio. L’Istituto Nazionale Tumori di Milano ha posto in questi giorni in smart working e in telelavoro oltre 200 dipendenti del settore amministrativo e ha nel contempo attivato programmi di assistenza a distanza (telemedicina) per un numero considerevole di pazienti. Non è pensabile che a fine emergenza Coronavirus tutti tornino a lavorare come prima. Molte di queste misure hanno dato prova di buon funzionamento. I dipendenti da casa spesso lavorano più intensamente di quanto non facevano in ufficio. Non c’è motivo quindi per interrompere questa forma di lavoro intelligente non appena l’emergenza sarà cessata richiamandoli tutti in ufficio.
I pazienti seguiti a casa dai reparti di cura evitano di intasare le sale di attesa e le corsie degli ospedali perdendo ore ed esponendosi a situazioni di contagio anche in condizioni non emergenziali.
Grande parte del sistema emergenziale va quindi portato a regime e perfezionato, non smantellato. Ma ciò richiede, sul versante digitale, un brusco passaggio dalla vecchia informatizzazione ospedaliera dei Sistemi Informativi Ospedalieri a impianti eHealth avanzati centrati sull’interazione medico-paziente, seguiti da matrici di project intelligenti e da programmi di machine learning.
Dal nostro bunker dobbiamo quindi pensare al ‘nuovo piano regolatore della sanità digitale’. Esso richiede immediatamente:
- dinamiche temporali di attuazione dei programmi completamente riviste in base alle esigenze emergenziali e un procurement di supporto completamente ridisegnato (scordiamoci le gare che durano dai sei mesi ad un anno per acquistare cose o servizi! Una procedura costruita solo per dare ‘garanzie’ alla burocrazia). Il tempo non è più una variabile indipendente.
- un sistema informativo della salute degli italiani riprogettato con procedure – mi sia permessa la metafora, anche se abusata – da ‘Ponte Morandi’. Dobbiamo in pochissimo tempo passare da un sistema informativo nazionale ‘economico-amministrativo’ ad uno ‘sanitario-epidemiologico’, sotto il controllo del Ministero della Sanità anche (soprattutto) in condizioni emergenziali. In tutti i paesi del mondo la Protezione Civile non è lo strumento per monitorare la diffusione delle malattie e per assumere azioni necessarie di intervento sanitario. Può soltanto essere uno strumento straordinario di supporto logistico. Si utilizzi pertanto la rete di generazione Internet costruita con il FSE ormai in quasi tutte le regioni e i Big Data estrapolabili con le tecniche del web analitics come la sentiment analysis. Le reti del FSE sono in grado di fornici, ovviamente in formato digitale e real time, i dati clinici e farmaceutici di tutte le interazioni medico-paziente nel territorio e negli ospedali, cioè sia quelle con i medici di famiglia che con i medici specialisti. Oggi non abbiamo a livello centrale questi dati in tempo reale e sappiamo che senza una conoscenza delle informazioni in possesso dei medici di base non è possibile avere l’esatta situazione della diffusione del morbo. Rendendo interoperabili tutti i nodi regionali di questa rete (le specifiche tecniche esistono già perché su questo punto AgID e le in House ICT regionali hanno fatto un buon lavoro) è possibile raccogliere informazioni in tempo reale attraverso ‘cruscotti’ di business intelligenza epidemiologica integrabili con le opinioni e il comportamento degli italiani (Big Data del web).
Nessun alibi alla burocrazia
Si ha così un livello avanzato di conoscenza e monitoraggio della situazione emergenziale, dell’impatto che essa ha con le strutture del SSN. Ciò è reso possibile perché con i dati del FSE c’è la possibilità di disporre di un data lake della popolazione in condizione di pericolo (reale o potenziale) monitorando i soggetti affetti da particolari fragilità di salute (patologie croniche, morbilità, rapportate al dato anagrafico: età, localizzazione). L’obiezione, tipicamente burocratica, che ciò non sarebbe possibile per via delle norme a tutela della privacy dei cittadini appare, oggi, oltre che inesatta, francamente ridicola. Con questi dati e con il supporto di tecnologie di Intelligenza Artificiale è possibile ‘virtualizzare’ l’impatto sanitario e sociale delle azioni intraprese. Costruendo così, nell’immediatezza, modelli di ‘assistenza ai decisori’, quanto mai utili nella situazione che oggi viviamo.
Voglio sottolineare l’importanza, soprattutto nell’attuale situazione emergenziale, di avere real time mappe delle fragilità sanitarie della popolazione, cioè la distribuzione della popolazione fragile sul territorio, geo-localizzata, soprattutto rapportata all’età dei soggetti e alla presenza di pluri-patologie croniche: mappe delle complicanze che alimentano la diffusione di infezioni virali spesso con esiti mortali; ottenute attraverso algoritmi via via ‘allenati’ e in grado di estrapolare informazioni sempre più di natura predittiva sull’evoluzione delle malattie e sui potenziali target della popolazione a rischio.
Cineca: il ruolo dei competence center
Un progetto simile è già stato proposto, in un periodo appena precedente la diffusione del virus, cioè nel mese di ottobre 2019, e presentato a un meeting svoltosi all’Archiginnasio di Bologna (presente il Ministero della Sanità) da un team composto da CINECA (Consorzio per il super calcolo del MIUR e delle Università italiane), dalle società in House delle Regioni rappresentate in AssinterItalia e da alcune grandi università italiane. Il progetto prevedeva la costituzione di un ‘competence center’ per l’analisi e le best practices di utilizzo dei dati dematerializzati e dei Big Data riferiti al sistema sanitario e socio-sanitario. È auspicabile che queste progettualità avanzate trovino pieno supporto nel nuovo quadro dettato dalla situazione emergenziale.
Infatti una ulteriore bad practice, assolutamente da evitare oggi, è il rinvio di ogni forma di progettualità innovativa a causa dell’emergenza sanitaria. La progettualità deve partire dall’emergenza, non essere annullata da questa. Sarebbe miope rincorrere la drammaticità degli eventi, perfino catastrofici, rinunciando a costruire i ponti per il futuro.
Il decennio appena concluso è stato per la sanità italiana un cantiere di idee e progetti innovativi. La realizzazione del FSE è stato uno dei pochi punti veramente qualificanti dell’Agenda Digitale italiana. Ma ‘il cambio di medium’ ancora non c’è stato. Il sistema è rimasto ‘a bassa comunicazione’ con una spesa minima per l’innovazione digitale e tagli significativi alla rete assistenziale non raccordati all’innovazione tecnologica (3,2 posti letto a terapia intensiva per 1.000 abitanti colloca l’Italia al sesto posto dal basso dell’UE che ha una media di 5 posti letto disponibili per 1.000 abitanti).
Il Coronavirus è quindi anche un’occasione formidabile per fare il grande salto culturale ancor prima di quello tecnologico: la sanità non solo in ambulatorio o in ospedale; il cittadino che non è più un utente passivo che usa le prestazioni sanitarie come un bancomat ma si informa e agisce di conseguenza con grande senso di responsabilità per la sua salute e quella di tutti; decisori dotati di nuovi strumenti informativi intelligenti a supporto di ogni passo della governance del sistema salute.