Lo scenario economico italiano, investito dall’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19, è caratterizzato più che mai dall’incertezza. Da un lato, non sono ancora chiari ed evidenti i risvolti della crisi che stiamo vivendo. Dall’altro, le istituzioni sia nazionali sia europee non si stanno muovendo in modo coordinato e coerente. Il governo e la politica, in generale, non sembrano in grado di elaborare un piano per la ricostruzione dopo le macerie che si lascerà dietro questo periodo di accentuata depressione.
Eppure una strategia e una visione strutturate della politica industriale e tecnologica che si vuole portare avanti sarebbero fondamentali nelle attuali circostanze. Se abbiamo anche una sola possibilità di ripartire è necessario costruire alcuni punti chiari e uno di questi è che ci servono sempre più innovazione e diffusione della medesima a tutti i livelli nei settori produttivi.
I problemi principali del tessuto produttivo
Partendo dalle priorità, tra i problemi principali per il tessuto industriale italiano vi saranno (a parte cercare di non collassare definitivamente) il blocco degli investimenti e la necessità di riorganizzare i processi interni. Nel primo caso il rischio è quello che i tagli principali vengano effettuati sulle spese per ricerca e sviluppo e per l’ammodernamento o l’installazione e l’aggiornamento di macchinari, stabilimenti e filiere di produzione. Dopo un importante sforzo compiuto negli anni precedenti, incentivato anche dalle politiche pubbliche favorevoli, mantenere un certo livello di investimenti sarebbe importante per ripartire e per consolidare una eventuale ripresa economica.
Inoltre, soprattutto per quanto riguarda la fase di ricerca e sviluppo, rappresentano un aspetto fondamentale della competitività. La manifattura italiana, fiore all’occhiello e ancora di salvezza, si troverà nuovamente a competere contro giganti che possono reagire e ripartire in modo molto più rapido e che già si trovavano in vantaggio prima dell’epidemia.
L’organizzazione dei processi produttivi e del lavoro
Il virus ha mostrato un aspetto fondamentale, spesso poco compreso e dibattuto: la produttività. Un fattore che, oggi più che mai, è complesso e non dipende solamente da uno o due aspetti, ma ne contempla diversi. Tra quelli che sono emersi maggiormente nelle ultime settimane vi è l’organizzazione dei processi produttivi e del lavoro. Le aziende già predisposte all’automazione e vicine alla frontiera tecnologica nella supply chain sono quelle che stanno affrontando meglio la situazione emergenziale e con probabilità potranno riprendersi facilmente. Allo stesso modo è stato valorizzato il lavoro a distanza e i vantaggi che pone sotto diversi punti di vista.
Lasciando perdere gli aspetti meno produttivi (ore e ore di videochiamate inutili) la transizione verso lo smart working potrebbe ricevere un inaspettato stimolo. E tutti i processi produttivi, ove si possa realizzare in modo agile, ne potrebbero beneficiare. Senza considerare il benessere o le migliori condizioni per il lavoratore stesso. Tuttavia, molte organizzazioni rimangono ancora fuori da queste logiche organizzative e potrebbero essere penalizzate negli scenari futuri.
Un piano di rilancio per le sfide del futuro
Fino ad oggi la politica e gli organi di governo hanno fornito risposte generiche, poco coordinate e molto burocratizzate alla crisi. Manca totalmente un piano di rilancio che non guardi al domani, ma guardi alla possibilità di incidere sulle strategie industriali e affrontare le sfide del futuro. Il Decreto Liquidità, di recente varo, è una misura che copre con una garanzia dei crediti ad ampio raggio il settore impresa, autonomi e professionisti con agevolazioni dirette sia al mercato esterno, con il supporto alle esportazioni, che al mercato interno, con prestiti diretti a fronteggiare esigenze originate da costo del personale, eventuali investimenti e necessità di circolante.
La garanzia di Sace, con coinvolgimento sia del Fondo di garanzia che del sistema dei Confidi. Nonostante le buone intenzioni rischia di essere una misura ad hoc con elevati costi amministrativi. La liquidità deve passare il filtro delle banche, che sono a mezzo servizio e alle prese con trasformazioni organizzative in atto prima del virus. Inoltre si richiede un notevole sforzo ai beneficiari dal punto di vista burocratico, richiedendo ad esempio alle imprese di fornire i dati fiscali ufficiali relativi al 2019 quando molti non ne sono ancora in possesso.
Transizione 4.0, il momento è ora
Come agire? Se la liquidità è un’esigenza immediata e inevitabile per le imprese, i professionisti e le famiglie, è ipotizzabile che per il futuro sia necessario agevolare investimenti, tecnologia e riorganizzazione aziendale. Perché allora non prevedere, fin da ora, una seconda fase di interventi legati alla strategia industriale che si vuole portare avanti. Il governo punta sulla transizione 4.0? Bene, potrebbe essere il momento “culturale” giusto per farlo. L’emergenza ha rivelato la necessità di tecnologia e innovazione e ne ha mostrato anche la fattibilità. Si aprono diverse possibilità di creare policy in questa direzione.
Innanzitutto, potrebbe essere utile introdurre agevolazioni a fondo perduto e/o tasso agevolato, con erogazione anticipata, a copertura del 100% dell’investimento, per start up e imprese che attuino investimenti innovativi.
Agire sulla leva fiscale con un sistema di detrazioni, incentivazione di investimenti ed eventuale ampliamento dei termini del super ed iper ammortamento, ripristinando le condizioni del Piano Industria 4.0 del 2016. Restituendo i debiti della Pubblica Amministrazione, che ammontano a 57 miliardi, sfruttando il momento della sospensione del Patto di stabilità e crescita, e vincolandone parte dell’utilizzo a investimenti in ricerca e sviluppo, produzione brevettuale, riorganizzazione interna produttiva e del lavoro, nonché formazione dei lavoratori alle competenze digitali e 4.0.
Si tratta di alcune misure incisive che possono sostenere gli investimenti e incentivare un nuovo assetto della produzione e dell’occupazione più calibrati verso una strategia nazionale. Una vera Fase 2 in grado di guardare non solo alle macerie, ma anche a quello che sorgerà nel futuro al loro posto.
Le altre realtà si stanno già preparando e saranno pronte ad un rilancio rapido e consistente. Non credo ci convenga aspettare questa volta.