Nel contesto attuale fortemente influenzato dall’emergenza coronavirus, il bisogno di ricorrere a strumenti digitali ha permesso di spingere l’innovazione in Italia. Tuttavia, non sarà sufficiente per il futuro servirsi della tecnologia solo per rispondere a una specifica necessità. Infatti, affinché l’innovazione possa esprimere il proprio potenziale impattando in maniera significativa sulla società, è importante creare un ecosistema idoneo, permeato di tecnologia. Considerando questa visione di scenario, è interessante riflettere sullo sviluppo dei contesti urbani smart e sul loro rapporto con le nuove esigenze che l’epidemia ha portato alla luce, come lo smart working.
Innovazione in Italia, la lezione del coronavirus
Per innovare in maniera efficace, è necessario prevedere investimenti e adottare una visione, cioè un piano di miglioramento considerando un’utilità concreta delle soluzioni tecnologiche per la società. È necessario essere lungimiranti e non puntare solo all’ultima innovazione presente sul mercato, la quale potrebbe avere un ciclo di vita breve senza apportare particolari benefici. Poco utile anche concentrarsi solo sul miglioramento di una singola parte di un processo che richiede di essere ottimizzato. Per innovare nella maniera corretta, è indispensabile la propensione a rompere gli schemi, confidando nelle tecnologie e impegnandosi alla ricerca dei giusti strumenti coinvolgendo più attori, adottando un approccio olistico alla risoluzione di un problema o a colmare una lacuna.
La situazione di criticità legata all’epidemia di coronavirus ha consentito di fare un salto in avanti repentino, modificando il nostro modo di vivere e pensare al futuro. Nella quotidianità, questo aspetto si può notare nell’incremento dello smart working, soprattutto nell’ambito pubblico dove negli anni si è poco investito in questa modalità operativa. Proprio questo risulta evidente nel momento in cui si capisce che attivare lo smart working non significa solo dotare un dipendente di un computer e di un software, ma costruire un ecosistema di tecnologie, interazioni, servizi e procedure intorno all’attività stessa del lavoratore. Le realtà che non erano pronte, di fronte all’emergenza si sono rese conto di tutto ciò loro malgrado, nel momento in cui si sono presentati concreti rischi per la business continuity.
Le sfide dopo l’emergenza
Al di là quindi di soddisfare una necessità del momento, questo periodo di emergenza ci deve far capire come sia urgente adottare una prospettiva ampia e capire che nessuno può pensare di essere la soluzione, ma che tutti sono parte del processo di risoluzione. Altrimenti, rischiamo di rimanere nelle nostre case con un computer di ultima generazione non connesso alla rete internet .
Questa visione risulterà particolarmente importante nel momento in cui si pianificherà la ripresa. Soluzioni lungimiranti, adottate con la collaborazione di più attori di diversi settori e senza reticenze, possono rappresentare la chiave di svolta per la risalita dopo questo momento buio. È evidente quindi l’importanza di un contesto capace di far fronte all’innovazione tecnologica. Questa è la sfida principale che la pubblica amministrazione si troverà ad affrontare nelle fasi successive all’emergenza vera e propria. Le priorità saranno di carattere anche normativo e riguarderanno diversi aspetti, scientifici, sociali ed economici.
Le smart city per la ripresa economica e sociale
In quest’ottica, parlare di smart city è quindi più che mai attuale. Infatti, il bisogno di un ecosistema innovativo che abbiamo riscontrato negli ultimi mesi si scontra con le difficoltà tecniche e amministrative che frenano la realizzazione di quanto necessario all’implementazione di soluzioni in grado di portare benefici all’economia e alla società. In particolare, è urgente che si proceda a definire delle chiare e nuove strategie di supporto all’innovazione e alla riqualificazione del mondo del lavoro, rivedendo tematiche che ormai non sono più adeguate alle tecnologie di oggi. Non bisognerà trascurare gli aspetti fiscali, uniformando e semplificando i regimi di tassazione per poter accedere più rapidamente agli strumenti innovativi.
Rendere smart un contesto urbano significa implementare applicazioni capaci di risolvere un problema, partendo da esigenze reali della popolazione, delle aziende e delle amministrazioni. Per esempio, installare una telecamera su un palo non è una soluzione smart: al contrario, lo è rendere il palo in grado di rilevare la presenza di traffico, la coda alla posta o per fare la spesa o ancora di sorvegliare in modo intelligente un parcheggio. I sistemi di illuminazione pubblica possono così diventare fondamentali pilastri non solo per la crescita dell’Italia come nazione innovativa, ma anche per creare benessere a chi vive e lavora in città. Altre nazioni, fra l’altro, stanno già sfruttando questo enorme potenziale infrastrutturale e sarebbe un peccato non poterne anche noi come paese Italia poterlo portare a frutto.
Un altro tema rilevante su cui sarebbe utile investire fondi pubblici è quello della eco-circolarità. Immaginiamo un eco-trasformatore di rifiuti condominiali che genera energia, utile per alimentare di notte i quadri dell’illuminazione pubblica di una e di giorno gli apparati di ricarica delle auto elettriche sui pali della luce. Una soluzione che eviterebbe la circolarità dei trasferimenti, l’accumulo di rifiuti, la necessità di smaltimento e l’emissione di CO2 ,con conseguente azzeramento delle spese correnti, forse fra le più importanti, e la fornitura di nuovi servizi al cittadino.
Il caso: le soluzioni Alosys
Un esempio di realtà al lavoro per implementare soluzioni smart nelle città italiane è dato da Alosys. L’azienda punta sulla rete di illuminazione pubblica come infrastruttura idonea allo sviluppo di soluzioni smart in contesti urbani, brevettando anche strumenti come Alosys Switch con l’obiettivo di fornire punti di alimentazione costanti, ventiquattr’ore su ventiquattro. Tuttavia, nonostante l’entusiasmo degli enti locali, nell’implementazione di tali strumenti emergono comunque difficoltà date da ostacoli burocratici e di infrastruttura. Tra questi, la corretta attribuzione dell’IVA applicata all’utilizzo di alimentazione dei servizi a valore aggiunto nel servizio illuminazione, oppure la diversa responsabilità sulla proprietà dei pali della luce relativamente a manutenzione e fornitura del servizio.
Questi limiti sono stati superati dalle municipalità sperimentatrici dell’Alosys switch, che hanno saputo attivare il cambio di paradigma in zone test. Sono municipalità che hanno saputo percepire l’opportunità di una rete di illuminazione abilita all’alimentazione di dispositivi H24 ed ora applicano i sistemi all’emergenza, perché non si sono limitati ad acquisire dispositivi Smart ma hanno saputo applicarli in modo smart.
L’articolo è parte di un progetto di comunicazione editoriale che Agendadigitale.eu sta sviluppando con il partner Alosys.