Prima i processi e le persone, poi gli strumenti. E’ questa una pietra miliare nell’approccio alla sicurezza delle informazioni. Purtroppo si tratta di un modello largamente disatteso su molti fronti nel corso dell’emergenza COVID-19. La scuola digitale è uno fra questi: analizziamo i dettagli e gli effetti collaterali delle scelte operate dal governo italiano.
Digitalizzazione a tempi forzati
E’ indiscutibile che l’emergenza ha richiesto di forzare i tempi della digitalizzazione (o delle modifiche al modo di operare) anche in ambienti dove gli strumenti informatici erano poco o per nulla utilizzati. Purtroppo però l’approccio è stato più spesso quello, sbagliato, di cercare “il tool” e non di capire le necessità operative e le esigenze delle persone che avrebbero subito questa digitalizzazione forzata. Il caso della scuola, anche per la sua dimensione, è emblematico e non è diverso da quanto spesso si vede in realtà private o più piccole: è stata posta scarsa attenzione agli utenti e si hanno conseguenti inefficienze.
Abbiamo un problema: troviamo un tool
Il DPCM dell’8 marzo 2020 ha fatto interrompere quasi ogni attività di didattica in presenza, permettendo la possibilità di svolgere attività di attività formative a distanza. Il Ministero dell’Istruzione (MIUR) si è subito attivato e ha aperto una pagina web dedicato alla didattica a distanza presentando strumenti informatici utili a questo scopo.
Peccato che l’iniziativa del MIUR si sia fermata lì e non abbia fornito ulteriore supporto a docenti e genitori. Il ministero si è limitato a presentare sinteticamente gli strumenti e le modalità per accedervi e a rimandare alle pagine di supporto del singolo strumento.
Nessuna istruzione semplificata e specifica per il caso italiano è stata fornita per gli insegnanti (per esempio, come avviare video lezioni, come assegnare i compiti, come monitorarne le scadenze e la consegna) e per gli alunni e genitori (per esempio, come accedere alle video lezioni, monitorare l’assegnazione dei compiti, consegnarli). Insomma, nessuna indicazione “for dummies” ad una popolazione molto eterogenea quanto a disponibilità di strumenti informatici e di competenze in merito.
Così molti insegnanti e molti genitori si sono attivati in modo volontaristico cercando di capire, classe per classe, come usare gli strumenti e come coinvolgere i genitori meno disinvolti nel loro utilizzo. A onore del merito, una nota del MIUR del 17 marzo fornisce “Prime indicazioni operative per le attività didattiche a distanza”. Queste includono considerazioni sulla necessità di avviare iniziative di didattica a distanza e le peculiarità da considerare per i diversi ordini di scuola.
Strumenti per la didattica a distanza
Stando alla nota, è stata nominata una task force per selezionare alcuni strumenti. Gli strumenti sono stati sì selezionati, ma il lavoro, purtroppo, sembra si sia concluso con la selezione e la deselezione di alcuni strumenti (il sito, fino a inizio aprile, includeva le piattaforme WeSchool, Edmodo e Zoom, poi scomparse; il giorno 9 aprile era presente Facebook, ma il 10 non lo era più; il giorno 16 era ricomparso WeSchool).
Un’analisi delle piattaforme valutate e rivalutate e le ragioni per la loro inclusione o esclusione avrebbe rappresentato un chiaro segnale dell’attenzione posta al problema da parte della task force che invece sembra essersi limitata a presentare in modo esteticamente corretto le piattaforme sul sito del MIUR. Curiosamente, poi, il supporto al sistema scolastico, rivolto alle “community” (perché l’inglese è sempre d’obbligo), è basato sulla piattaforma WeSchool, non sempre presente tra quelle consigliate dal Ministero.
Reazione di insegnanti, studenti e genitori
Alcuni insegnanti hanno reagito con entusiasmo e avviato iniziative di didattica a distanza, altre si sono sentite impreparate e si sono limitate a preparare esercizi e lezioni da inviare via WhatsApp o via email. In molti casi, l’impreparazione degli insegnanti ha visto un avvio molto confuso e molto faticoso per gli studenti e i genitori: invio delle lezioni senza alcun criterio di frequenza, mancanza di scadenze, uso di troppi canali di comunicazione.
Alcune famiglie, poi, hanno visto arrivare esercizi che richiedevano la stampa di documenti, ma senza avere i mezzi per stampare, altre famiglie non hanno né i dispositivi da dedicare allo studio dei figli (per esempio, perché hanno pochi dispositivi e da usare per il lavoro o hanno dispositivi obsoleti), né gli spazi dove i figli possano seguire le lezioni.
Va anche detto che alcune famiglie, pur volonterose, si sono trovate in difficoltà per la difficoltà di procurarsi gli strumenti mancanti. Tutto considerando, il problema dell’inclusione di tutti i bambini nel sistema scolastico si è posto in modi e forme diverse.
Scuola digitale, il giallo delle piattaforme scomparse
Inizialmente, il sito del MIUR includeva, tra le piattaforme segnalate, WeSchool e Edmodo. WeSchool è simile alle BBS degli anni Novanta, ma meno semplice da seguire: i nuovi commenti o le nuove indicazioni non sono evidenziate e questo forza i partecipanti a visitare tutte le board per verificare se sono presenti nuovi commenti. Sembra, insomma, una versione semplificata di Facebook, spacciata però per piattaforma di supporto alla scuola.
Edmodo è più complesso e completo, ma la prima funzionalità presentata ai partecipanti è quella di chat, uguale al wall di Facebook. E’ relativamente semplice identificare i compiti assegnati e le scadenze; più difficile seguire i commenti degli insegnanti.
E’ chiaro che si tratta di prodotti che potrebbero essere migliorati, ma il loro utilizzo non richiede un pagamento in denaro e forse non si può pretendere più di tanto. Dall’altra parte, è bene ripeterlo, istruzioni semplici per insegnanti, alunni e genitori italiani sulle funzionalità di base dovevano essere predisposte. Infatti alcuni insegnanti e alcuni genitori sono stati costretti a un super lavoro per istruire tutte le famiglie non sufficientemente abili nell’utilizzare gli strumenti necessari e a preparare istruzioni che ci sarebbero già dovute essere.
Il MIUR si è spesso limitato a fornire i link alle pagine di supporto delle piattaforme, spesso orientate alla promozione del prodotto o a rispondere a questioni molto specifiche.
Didattica online, il nodo privacy
Sulla privacy il Garante si è già espresso e sembra che tale argomento non fosse stato affrontato con la dovuta attenzione.
Una delle applicazioni inizialmente proposte dal Ministero, Zoom, è stata segnalata come problematica per la riservatezza delle comunicazioni. Forse è questo uno dei motivi per cui non è più presente sul sito del Ministero, ma, senza alcuna trasparenza non è segnalato, né sono fornite le motivazioni per cui gli strumenti sono prima consigliati poi dimenticati.
Considerando che il Ministero sta suggerendo di fornire dati personali di tutti i minorenni italiani (e ricordiamo che le piattaforme suggerite sono quelle dei giganti tech Google, Microsoft, Amazon e Facebook, che compaiono spesso in alcune analisi sui trattamenti impropri di dati personali), era meglio se le analisi sulla privacy (ossia le PIA) fossero state fatte e pubblicizzate.
Quel che serve alla scuola (ma non solo)
Il caso della scuola italiana, in realtà, riflette esperienze già viste nelle aziende private e pubbliche, ossia la forzata informatizzazione senza adeguato supporto, come se ogni cosa potesse essere risolta con un “tool informatico” e basta.
E’ invece ben noto che in ambienti complessi ogni progetto di informatizzazione, o di cambio degli strumenti digitali, non può essere affrontato come il cambio di un giochino sul proprio smartphone: è necessaria un’analisi degli utenti e dei loro fabbisogni, delle funzionalità necessarie, dei fabbisogni di sicurezza delle informazioni e dei dati personali, oltre alla preparazione di istruzioni e, infine, nei casi più complessi, un affiancamento preventivo e per un certo periodo dopo l’avvio del progetto per affinare le competenze degli utenti.
Purtroppo, ancora una volta, è il caso di dire che la classe dirigente si è dimostrata impreparata a questa sfida. E’ il caso di ribadire la necessità di prevedere, nei piani di studi per i futuri dirigenti (per esempio nelle università di Economia e commercio o di Scienze politiche) l’informatica non solo da un punto di vista tecnologico, ma anche sociale.