Il caso editori italiani contro Telegram potrebbe portare a una riforma normativa in materia, per ampliare il potere di Agcom: è quanto chiederà la stessa Agcom domani con una proposta al Governo e al Parlamento. E così poter intervenire su tutti i soggetti, anche non italiani, ne ne usino anche indirettamente le numerazioni (è il caso Telegram, Whatsapp e altri).
La proposta fa seguito alla delibera n. 164/20/CONS, con cui l’Autorità garante delle comunicazioni (Agcom) ha archiviato il procedimento aperto nei confronti di Telegram, su segnalazione della Federazione Italiana Giornali ed Editori (FIEG), che avrebbe potuto condurre all’oscuramento della nota piattaforma di messaggistica istantanea.
L’accusa? Illecita diffusione di copie digitali di quotidiani nazionali attraverso alcuni dei canali pubblici accessibili tramite Telegram.
La vicenda, al di là dell’esito abbastanza scontato, è interessante sotto molteplici punti di vista ed evidenzia, semmai ce ne fosse bisogno, il ruolo centrale (per garanzia ed equilibrio del sistema) che l’Agcom è da tempo chiamata a svolgere in tema di diritto d’autore online.
Un ruolo che, sicuramente, troverà rinnovato vigore in sede di recepimento della c.d. direttiva copyright (direttiva 2019/790/UE) e del codice europeo delle comunicazioni elettroniche (direttiva 2018/1972/UE) e che impegnerà la nuova consiliatura quando il rinnovo dell’Autorità, da luglio 2019 in regime di prorogatio, sarà operato.
Il caso Telegram e i giornali italiani
Ma veniamo al caso Telegram. Nel suo provvedimento l’Autorità ha riconosciuto il carattere illecito della diffusione di intere edizioni dei giornali ma, in ossequio a quanto previsto dal proprio regolamento (delibera n. 680/13/CONS del 12 dicembre 2013, recante “Regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70”, poi modificata dalla delibera n. 490/18/CONS), ha disposto l’archiviazione perché, quando la violazione si verifica su di un sito ubicato fuori dal territorio nazionale, l’unica misura a disposizione di AGCOM è metaforicamente equiparabile ad un’arma di distruzione di massa.
L’Autorità, infatti, può unicamente richiedere agli Internet Service Provider stabiliti in Italia di disabilitare l’accesso all’intero sito o servizio: in altri termini, si sarebbe dovuto impedire l’uso di Telegram a tutti gli utenti che si collegano dall’Italia anche per quelle parti del servizio che nulla hanno a che vedere con la violazione del copyright.
Non parliamo solo del servizio di messaggistica interpersonale che, in quanto tale, è sottratto al potere di intervento dell’Autorità in materia di diritto d’autore, ma anche di quei canali istituzionali presenti su Telegram che diffondono notizie ed informazioni di pubblica utilità (basti pensare che, a seguito dell’emergenza Covid-19, anche il Ministero della Salute ha aperto il suo canale telegram per dare informazioni ufficiali alla popolazione).
Proprio per la particolare invasività, la misura della disabilitazione, ai fini della sua legittimità, richiede il rigoroso rispetto dei principi di gradualità, proporzionalità e adeguatezza.
Orbene, come rilevato dall’Autorità in casi analoghi, a fronte di utilizzazioni perfettamente lecite non può considerarsi proporzionata l’adozione di un provvedimento di disabilitazione tout court.
Non è vero che Agcom ha chiesto di chiudere canali Telegram
Per dovere di cronaca (e amor della verità), va detto che rappresenta una e vera e propria fake news quella diffusa da alcuni quotidiani, all’indomani del provvedimento, secondo cui AGCOM avrebbe ordinato la chiusura dei canali oggetto di contestazione. Ciò non è avvenuto e non sarebbe potuto avvenire: è Telegram che, a seguito della notifica di avvio del procedimento, ha verificato la contrarietà dei predetti canali ai propri termini d’uso e ha provveduto spontaneamente alla loro cancellazione.
Fin qui, allora, nulla di nuovo o di eclatante.
Agcom chiede una nuova norma
L’aspetto interessante della vicenda sta, però, nel fatto che, a differenza del passato, l’Agcom ha sentito la necessità di accompagnare il provvedimento di archiviazione con una segnalazione al Governo e al Parlamento circa la necessità di introdurre una nuova norma che ampli il perimetro di intervento dell’Autorità e legittimi il suo potere sanzionatorio in materia.
Partiamo da questo secondo aspetto: come gli addetti ai lavori ricorderanno, il Consiglio di Stato con la sentenza n. 4993/2019, pur riconoscendo la legittimità del regolamento in materia di diritto d’autore online, aveva rilevato l’insussistenza di una norma primaria che legittimasse il potere sanzionatorio dell’AGCOM in caso di inottemperanza degli ordini così impartiti.
In sostanza, a seguito della sentenza summenzionata, l’Autorità si trova ora con le armi spuntate, potendo certamente ordinare di porre fine ad una violazione, ma non potendo più sanzionare il destinatario che si rifiuti di eseguire spontaneamente l’ordine.
Quello che l’Autorità, ora, chiede al legislatore è di integrare il dettato dell’art. 1 della legge 31 luglio 1997, n. 249 e di rendere maggiormente effettiva la funzione deterrente della sanzione, innalzandone il massimo edittale: in particolare, si propone di portarlo fino al due per cento del fatturato realizzato nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notifica della contestazione.
Per quanto riguarda l’ambito soggettivo di operatività, Agcom propone di estenderlo a quei fornitori di servizi della società dell’informazione, ovunque ubicati, che utilizzino, anche indirettamente, risorse nazionali di numerazione: è facile scorgere in siffatta descrizione i servizi di messaggistica interpersonale, come Telegram.
La proposta dell’Autorità, nel suo complesso, è di sicuro dirompente e rappresenterebbe un ulteriore tassello nel rafforzamento dei poteri in materia di diritto d’autore che l’ordinamento, comunitario e nazionale, ha attribuito ad Agcom negli ultimi anni.
Come si potrebbe concretizzare la riforma voluta da Agcom
Allo stato ci sono almeno due percorsi legislativi che potrebbero facilitare l’introduzione di una simile disposizione: da un lato, infatti, entro dicembre dovrà essere recepito nel nostro ordimento il codice europeo delle comunicazioni elettroniche (la legge di delegazione che include il recepimento della relativa direttiva comunitaria è stata incardinata al Senato lo scorso febbraio), dall’altro, inizierà a breve il percorso di attuazione della direttiva copyright (che dovrà chiudersi entro giugno del 2021), le cui disposizioni ben potrebbero giustificare una norma nazionale come quella proposta.
In questi anni, Agcom ha dato prova di una gestione equilibrata e accorta del regolamento in materia di diritto d’autore online: chi scrive può dirlo con cognizione di causa essendone stato un fiero (ma, mi auguro, leale) oppositore prima della sua entrata in vigore, temendone effetti collaterali indesiderati (ed indesiderabili) sulla libertà di circolazione dei contenuti.
La nuova consiliatura che a breve prenderà il via si troverà a gestire un potere ancora più ampio (e non solo in materia di copyright): l’auspicio e l’augurio è che chi assumerà un ruolo così importante, sarà pienamente consapevole delle responsabilità che ne conseguono e le sappia esercitare sempre con equilibro e moderazione, contemperando gli interessi di parte in funzione della stella polare del bene della collettività.