Il Garante per la protezione dei dati personali ha reso noto un proprio provvedimento, con il quale si è pronunciato in tema di cronaca giudiziaria vietando ad un quotidiano online la diffusione di un avviso di conclusione di indagini preliminari, pubblicato in forma integrale a corredo di un articolo riguardante le indagini stesse. Il documento, oltre a contenere dati e informazioni eccedenti rispetto al diritto di cronaca, aveva violato il regime di pubblicazione degli atti del procedimento, sancito dal codice di procedura penale. La situazione offre l’occasione per approfondire il rapporto tra privacy e diritto di cronaca.
Sul fatto: avvocati sottoposti ad indagine
L’intervento dell’Autorità ha preso avvio dai reclami e dalla segnalazione di numerosi avvocati, rispettivamente in data 13 dicembre 2018, 22 gennaio e 27 luglio 2019, sottoposti a indagini in quel procedimento, che lamentavano una violazione della disciplina in materia di protezione dei dati personali a proposito della pubblicazione su una testata di vari articoli contenenti informazioni eccedenti che li riguardavano. I professionisti avevano, in particolare, lamentato di aver appreso dell’indagine che li riguardava attraverso la lettura degli articoli in questione, contestando l’avvenuta pubblicazione dei capi di imputazione e del fascicolo di indagine, prima ancora della relativa notifica agli interessati e sostenendo al riguardo l’avvenuta violazione degli artt. 114 e 329 c.p.p..
Il combinato disposto delle predette norme vietano la pubblicazione anche parziale con mezzo stampa di atti coperti da segreto, fino a che non siano concluse le indagini preliminari e sanciscono la segretezza degli atti di indagine non oltre la chiusura delle indagini preliminari. Secondo gli avvocati, la diffusione dei loro nomi, e di altri dati personali, oltre a violare il principio di essenzialità dell’informazione, sarebbe stato lesivo della loro reputazione e della loro dignità professionale e morale.
Il ruolo del Garante in ambito giornalistico
Da rilevare che, come rappresentato già nel 2007 da Mauro Paissan, in Italia il Legislatore ha attribuito al Garante un ruolo forte sul delicato versante della protezione dei dati in ambito giornalistico; un potere il cui esercizio richiede equilibrio, senso della misura, adesione profonda allo spirito della Costituzione, “anche perché c’è sempre il rischio di apparire come dei censori”. Tale potere è stato confermato anche con la riforma del Codice privacy ai sensi del D.lgs 101/2019. Difatti il Regolamento UE 2016/679 (GDPR) nell’invitare, nel considerando n. 153, gli Stati membri ad adottare misure legislative che consentano di conciliare la protezione dei dati personali con il diritto alla libertà d’espressione e di informazione, incluso il trattamento a scopi giornalistici, ha sancito, nel Capo IX, art. 85 che gli Stati membri possano prevedere esenzioni o deroghe alla normativa sulla protezioni dei dati, qualora siano necessarie per garantire libertà d’espressione e di informazione. Tali esenzioni e deroghe sono state identificate con gli artt.136 e 137 del codice privacy, nonché con le Regole deontologiche relative al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica allegato 1) del Codice.
L’essenzialità dell’informazione
Nel citato Provvedimento l’Autorità ha precisato che il requisito dell’essenzialità dell’informazione è richiamato anche con riferimento alle cronache relative a procedimenti penali (art. 12 delle regole deontologiche cit.) e, alla luce di esso, la pubblicazione dei dati identificativi delle persone a carico delle quali il procedimento è instaurato non è preclusa dall’ordinamento vigente e va inquadrata nell’ambito delle garanzie volte ad assicurare trasparenza e controllo da parte dei cittadini sull’attività di giustizia. Quanto sopra deve però essere temperato dal principio della proporzionalità, difatti l’Autorità nel motivare il Provvedimento rappresenta che una testata giornalistica, allorché si limiti a riportare una notizia di interesse pubblico, anche fornendo alcuni dati identificativi dei presunti responsabili nell’ambito di cronaca giudiziaria, si muove nei confini consentiti dall’art. 12 delle regole deontologiche, ma una diversa valutazione richiede la diffusione dell’avviso integrale ex art. 415-bis c.p.p., riportato come link all’articolo pubblicato nel quale sono stati pubblicati, in corrispondenza a ciascuno dei nomi degli avvocati indagati, i dati relativi all’indirizzo di abitazione, al numero di telefono dello studio legale, e in alcuni casi anche al telefono cellulare. Tali dati sono, infatti, eccedenti rispetto all’esigenza informativa che caratterizza la notizia.
Ma cosa si intende per “essenzialità delle informazioni” nel giornalismo? Nell’eterno contrasto tra privacy e libertà di informazione, ciò che va trovato è il giusto equilibrio tra diritto di cronaca e i fatti di interesse pubblico. Una condotta deontologicamente corretta impone al giornalista di operare sempre un’attenta valutazione – prima della pubblicazione – alla luce del principio della proporzionalità, dando prevalenza alla posizione giuridica destinata a subire un sacrificio ingiusto (perché sproporzionato) ove si prediligesse l’altra. In estrema sintesi, il giornalista dovrebbe trovare una soluzione di compromesso tra il danno derivante alla testata giornalistica dalla mancata completa informazione e il danno all’interessato derivante dalla pubblicazione integrale della notizia.
A tale riguardo possiamo fare riferimento a quelli che sono stati ritenuti i tre principi-cardine di un corretto esercizio del diritto di cronaca: verità (anche solo putativa), continenza della forma espositiva, pertinenza o interesse sociale alla notizia. Dall’insieme di questi tre elementi si ricava un concetto di essenzialità dell’informazione, al quale il giornalista deve attenersi, sia con riferimento ai contenuti sia con riferimento allo stile di esposizione dei fatti. L’essenzialità della informazione viene violata “quando il giornalista divulga dati sovrabbondanti rispetto al fatto di cronaca in se: come nel caso di specie.
Le conclusioni dell’autorità
A termine di questo commento non possiamo omettere le misure che l’Autorità ha disposto nel caso di specie, rappresentando che l’Autorità ha preferito adottare la misure correttiva, della limitazione del trattamento, da ritenersi riferita all’ulteriore diffusione del link con la pubblicazione del fascicolo; nonché l’avvertenza che il mancato riscontro alla richiesta è punibile con la sanzione amministrativa di cui all’art. 83, par. 5, lett. e), del Regolamento (UE) 2016/679 ovvero fino a 10.000 euro.