Può essere una buona idea fare ricorso al prefetto contro le tante sanzioni per violazione delle misure sul coronavirus. Anche per chi non si sarebbe mai sognato di fare ricorso contro una normale “multa” per violazione del codice della strada. La situazione è particolare, infatti.
In questi lunghi mesi di pandemia, caratterizzati dalle limitazioni alla circolazione delle persone operata dai Decreti governativi, innumerevoli sanzioni per centinaia di euro, palesemente irrituali, a volte percepite come sproporzionate e punitive, sono andate a colpire una popolazione già pesantemente afflitta da una perdita di reddito senza precedenti, che dovrebbe spendere altri soldi per impugnarle con uno spazio di difesa ridotto.
Ma se si è stati fermati in strada e sanzionati dalle Forze dell’Ordine per motivi ritenuti non validi si può inoltrare un ricorso al prefetto in carta semplice chiedendo l’annullamento del verbale e l’archiviazione di ogni sanzione pecuniaria.
Il ricorso non costa nulla e non vi è bisogno neppure dell’assistenza di un avvocato. Per inoltrarlo bastano anche una mail certificata pec o una semplice raccomandata. Nel corso del procedimento, peraltro, si può anche chiedere di essere sentiti davanti al Prefetto di persona per illustrare meglio la documentazione prodotta in allegato al ricorso.
Attenzione però: la multa si raddoppia nel caso in cui il ricorso venga respinto. Il che, a conti fatti, equivale a passare da 400 a 800 euro.
Al di là delle spesso sacrosante ragioni di molti cittadini, a cui è stato elevato il verbale per aver violato il Decreto in parola con un presunto “allontanamento arbitrario” dal proprio domicilio, esiste tuttavia un problema di fondo più generale che dobbiamo inquadrare a seguito dei provvedimenti legati al Covid-19.
Le multe comminate, qualche esempio “ingiusto”
Con verbale redatto in data 25 aprile 2020 e notificato alla stessa data è stata contestata dalle Forze dell’Ordine, ad un padre che cercava un farmaco per il figlio di 3 mesi la violazione dell’allontanamento dal proprio domicilio a piedi senza un motivo di necessità ritenuto attendibile in violazione al Decreto-legge n. 19 del 25 marzo 2020 articolo 2 comma 2 lettera a).
Per effetto della medesima norma si è anche elevato verbale nei confronti di un cittadino che aveva superato di poco il limite massimo di distanza consentito dal proprio domicilio per la passeggiata serale con il proprio cane.
Non sono stati nemmeno rari i fermi di persone che si recavano all’edicola, attività peraltro dichiarata essenziale dalle norme restrittive del su citato Decreto-legge.
Molteplici i casi segnalati nei quali l’applicazione della norma restrittiva è apparsa assolutamente rigida e contestabile. È stato elevato verbale anche a chi si recava in ospedale a riprendere la moglie infermiera, a chi passeggiava non distante dal proprio domicilio, a un rider in bicicletta che lavorava. È stata addirittura interrotta la celebrazione di una Santa Messa.
L’esecuzione e di fatto l’interpretazione delle misure restrittive è stata affidata alle Forze dell’Ordine, che hanno svolto il compito con modalità particolarmente aggressive, anche quando non si ravvisava alcuna offesa al bene giuridico tutelato in un vuoto giurisdizionale. Ne sono scaturiti troppi casi di interpretazione estensiva di norme vaghe e mal redatte che si riconducevano a restrizioni della libertà personale da parte di coloro cui è stata deputata la sorveglianza.
Peraltro, la sorveglianza è risultata estesa anche nei confronti di persone assolutamente sane che non presentavano alcun rischio di contagio di terzi, diversamente da quanto invece prevedeva il Decreto di cui si tratta.
La radice del problema
Tutto ciò evidenzia non solo un atteggiamento colpevolizzante rispetto a una popolazione che ha mostrato in tutto questo lungo periodo un sostanziale senso di responsabilità ma anche il rischio che la restrizione dei diritti della persona potrebbe creare ingenerando un pericoloso precedente.
Invero, il problema non sta nelle Forze dell’Ordine: la normativa è stata resa confusa e contraddittoria dai troppi DPCM per l’urgenza di emanare provvedimenti, risultati poi di difficile interpretazione per tutti.
Né le varie Forze dell’Ordine hanno avuto modo e tempo di interfacciarsi con le Autorità preposte per l’applicazione delle necessarie e doverose linee guida, preliminarmente o in costanza di controllo.
E anche nel caso fosse stato necessario limitare diritti costituzionali, si sarebbe dovuta garantire comunque la certezza del diritto senza affidarne l’interpretazione, in modo peraltro frammentato, a soggetti attuatori o deputati alla sorveglianza, apprestando strumenti di controllo anche giurisdizionale (cioè con Provvedimento del Giudice) su attività di sorveglianza e controllo esperite di converso di autorità.
Conclusivamente, possiamo affermare che con il Decreto-legge su richiamato si è prestato il fianco ad una libera interpretazione dei singoli e, quindi, a contestazioni eccessive e spesso fantasiose.
Queste multe, seppure accettate perché inserite in un provvedimento volto a tutelare la salute pubblica, sono a poco a poco divenute intollerabili perché gravemente restrittive della libertà personale.
E proprio riflettendo sui troppi episodi accaduti che ora il cittadino, se vorrà, potrà tutelarsi attraverso gli strumenti che la legge offre (Ricorso al Prefetto, Ricorso al Giudice di Pace, ecc…).
L’autocertificazione e il fermo da parte delle Forze dell’Ordine
Secondo il Decreto n. 19 del 25 marzo 2020 lo spostamento effettuato dalla persona deve essere realmente supportato da un’idonea motivazione (lavoro, situazioni di necessità, salute, conforme alla Direttiva 8.3.2020, n. 14606).
Diversamente male interpretando la norma, “la motivazione in ordine allo spostamento” viene richiesta dall’Autorità con la produzione di un’autodichiarazione, reperibile sul portale del Ministero dell’Interno (allo stato ne sono state varate almeno 5).
Infatti, in caso di fermo, le Forze dell’Ordine chiedono perché ci si sta spostando unitamente all’autocertificazione.
Secondo le leggi vigenti le Forze dell’Ordine dovrebbero invece:
- chiedere alle persone di identificarsi;
- chiedere di esibire un documento;
- fornire il motivo del fermo;
- non richiedere l’autocertificazione.
L’autocertificazione è, infatti, su base volontaria secondo l’art.46 e 47 del DPR 28 dicembre 2000 n. 445 e non può essere coercitiva e, soprattutto, non può essere resa attraverso la compilazione dei moduli appositamente predisposti in dotazione agli operatori delle Forze di polizia e della Forza pubblica.
Con l’autocertificazione, in sostanza, si chiede al cittadino di esercitare il proprio diritto di difesa al momento della contestazione, in sostanziale violazione dell’Art. 24 Cost. e delle garanzie procedimentali di legge.
Da ultimo è bene evidenziare che comunque l’autodichiarazione può essere ben superata con una falsa autocertificazione. E ciò accade molto spesso.
Come nasce la limitazione alla circolazione in ragione dello “stato di emergenza”
Come noto, con una delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 il Governo ha dichiarato lo “stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario” connesso all’insorgenza del coronavirus.
Ma la nostra Costituzione non conosce alcuno “stato di emergenza”, prevedendo solo lo “stato di guerra” (che, art. 78 Costituzione, va deliberato dal Parlamento e dichiarato dal Presidente della Repubblica). Invero, la delibera del Consiglio dei Ministri invoca una legge ordinaria, segnatamente gli artt. 7 e 24 del D. Lgs. 02/01/2018 n. 1 – codice della protezione civile).
Questa legge, pur non contemplando il caso di pandemie, consente di emanare ordinanze di protezione civile in ambiti del tutto diversi da quelli oggetto delle misure inserite nel Decreto e comunque “nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e dell’Unione Europea”, dunque senza autorizzare chicchessia a comprimere libertà costituzionali che solo la legge (e in casi limitati) può comprimere.
Il Governo si è anche appoggiato alla pronuncia dell’OMS per giustificare lo “stato di emergenza”. Sta di fatto che lo stato di emergenza è stato dichiarato unicamente dall’organo esecutivo, senza alcun vaglio parlamentare e in un completo vuoto costituzionale.
Il successivo Decreto Legge n 19 del 25 marzo 2020 articolo 2 comma 2 lettera a. ha poi arricchito la lista delle misure precedentemente contenute nel D.L. n. 6/2020 prevedendo in totale 29 misure [art. 1 comma 2, lett. a] con impatto sulle persone fisiche e in special modo sulla limitazione della circolazione delle persone, con precisi vincoli alla possibilità di allontanarsi dalla propria residenza, domicilio o dimora, fatti salvi spostamenti individuali limitati per esigenze lavorative, situazioni di necessità o urgenza, motivi di salute o altre specifiche ragioni.
Ma a ben vedere il decreto-legge, contiene misure restrittive della libertà personale non per tutti ma solo per chi ha avuto contatti con contagiati o proveniva da zone a rischio ponendo gli stessi in quarantena obbligatoria
Il divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora è quindi destinato alle persone sottoposte alla quarantena o su persone risultate positive al virus.
E comunque i verbali elevati dalle Forze dell’Ordine sono riconducibili ad una fattispecie assolutamente molto diversa quale è la libertà di circolazione.
L’attuazione di provvedimenti restrittivi con limitazioni delle libertà costituzionali, l’uso di meccanismi di sorveglianza peraltro eseguite con dispiego di mezzi e risorse vistosamente sproporzionate rispetto all’obiettivo (si pensi, tra i tanti, all’inseguimento di un runner con drone e poliziotti o alla signora multata perché sedeva – da sola – su panchina a 200 metri da casa) avrebbero dovuto essere attuati nel rispetto dei diritti della persona e del principio di proporzionalità.
Gli stessi possono considerarsi veri e propri abusi nell’attività di sorveglianza realizzata.
Importo della sanzione (“multa”) amministrativa
Il decreto del 25 marzo ha depenalizzato tutte le violazioni contestate, fissando una sanzionedi 200 euro.
Pertanto se una persona è stata fermata lontano da casa a correre o per altro motivo ritenuto non congruo, la violazione non va intesa come reato ma solo punibile tramite sanzione amministrativa. Per le infrazioni commesse dal 26 marzo in poi, la sanzione amministrativa è stata fissata tra i 400 e i 3.000 euro con lo sconto del 30% se si paga nei 30 giorni.
Come detto però e in analogia alle multe automobilistiche, se si è convinti delle proprie ragioni si può fare ricorso nei confronti di chi ci ha fatto la multa.
Pur ritenendo auspicabile un generalizzato condono delle sanzioni, la paura di sbagliare imperversa da mesi e tutti chiedono informazioni ad Avvocati e ad Associazioni dei Consumatori volendo essere rassicurati sui comportamenti da tenere, sulla interpretazione dei DPCM emanati e sui relativi rischi a cui si incorre se si impatta nelle diverse pattuglie delle Forze dell’Ordine.
La procedura di contestazione al verbale delle Forze dell’Ordine in pillole
Chi riceve una multa per essersi spostato dalla propria abitazione senza le motivazioni previste dalla legge ha due alternative:
- paga, allora il ricorso è automaticamente nullo e potrà beneficiare di uno sconto del 30%;
- non paga, allora alla multa deve seguire una precisa procedura. Inviare all’autorità competente indicata sul verbale (generalmente al Comune o alla Provincia, a seconda se a verbalizzare siano stati i Vigili Urbani o la Polizia Provinciale, al Prefetto se a verbalizzare sono stati esponenti di Polizia di Stato, Carabinieri o Guardia di Finanza) una memoria entro 30 giorni dal momento in cui si riceve il verbale all’autorità competente. Con detta memoria vanno spiegate chiaramente le ragioni secondo le quali la multa è ritenuta illegittima, per vizi di procedura o di merito della contestazione elevata.
L’autorità interpellata ha 5 anni per rispondere accogliendo lo scritto difensivo oppure rigettandolo.
Il ricorso al prefetto contro il verbale
In particolare, il ricorso al Prefetto è un ricorso avverso il verbale delle Forze dell’Ordine, mediante il quale si attiva una forma di tutela amministrativa. Può presentare ricorso esclusivamente il soggetto destinatario dell’obbligo al pagamento della sanzione, in qualità di autore della violazione che abbia interesse all’annullamento del verbale.
Si ricorre al Prefetto del luogo della violazione.
Il ricorso deve essere presentato nel termine perentorio di 60 giorni, decorrente dalla data di contestazione o notifica della violazione. Decorso predetto termine per proporre ricorso, il verbale diventa titolo esecutivo per una somma pari alla metà del massimo della sanzione
Come detto, se la multa viene pagata il procedimento si estingue.
Se si è convinti delle proprie ragioni, si può fare ricorso e non occorre l’avvocato.
Il ricorso viene presentato:
- depositando l’atto direttamente all’Ufficio o Comando da cui dipende l’agente accertatore, che ne rilascia ricevuta;
- a mezzo posta elettronica certificata pec, ai sensi dall’art. 48 D.Lgs. 82/2005, sottoscritta con firma digitale autenticata dalla persona legittimata (cfr. Ministero dell’Interno, circolare n. 17166, dell’11/11/2014);
- a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, la cui data di presentazione è quella di spedizione (art. 388 Reg.), indirizzata all’Ufficio o Comando da cui dipende l’agente accertatore, oppure direttamente al Prefetto.
C0sto del ricorso
Il ricorso è assolutamente gratuito. Salva la possibilità di farsi assistere da un avvocato. Nei costi bisognerebbe comunque mettere in conto che la multa raddoppia nel caso in cui il ricorso venga respinto.
Cosa scrivere nel ricorso contro la sanzione ritenuta illegittima
Il ricorso deve essere redatto per iscritto su carta libera e contenere:
- l’intestazione, con indicazione della competente autorità prefettizia cui è diretto;
- l’epigrafe, con indicazione del nome, cognome, residenza e domicilio del ricorrente;
- gli estremi del verbale impugnato, con la data della sua contestazione o notificazione;
- i motivi per i quali si propone il ricorso e cioè i vizi di legittimità o di merito su cui si fonda;
- le conclusioni;
- la sottoscrizione del ricorrente.
Al ricorso possono essere allegati documenti quali ricevute di pagamento, copia di autorizzazioni, testimonianze scritte, ecc. Il ricorrente ha anche facoltà di fare istanza di audizione personale.
Il ricorso è deciso dal Prefetto con ordinanza.
La decisione del Prefetto
La decisione, che risolve il ricorso può riguardare questioni pregiudiziali o di merito:
La decisione questioni pregiudiziali:
- d’irricevibilità, quando il ricorso sia stato presentato da soggetto non legittimato;
- d’improcedibilità, quando il ricorso sia stato presentato fuori termine;
- d’inammissibilità, quando sia stato effettuato il previo pagamento in misura ridotta.
La decisione di merito, ritenuta la fondatezza o meno dei motivi addotti nel ricorso, può essere:
- di accoglimento, nel caso in cui d’ufficio o tramite le difese svolte dagli interessati, il verbale delle Forze dell’Ordine venga ritenuto infondato;
- di rigetto, a seguito dell’accertata fondatezza del verbale. In tal caso, l’autorità emette ordinanza/ingiunzione di condanna ad una sanzione, per l’ammontare di una somma non inferiore al doppio di quella irrogata in fase di accertamento (minimo edittale previsto) più le spese, da pagare entro 30 giorni dalla notifica.
Avverso l’ordinanza di rigetto al Prefetto si può presentare opposizione all’Autorità Giudiziaria (Giudice di Pace).
Conclusioni
L’articolo si prefigge di fornire informazioni utili ai cittadini a tutela dei propri diritti ma non mira in alcun modo a criticare lo sforzo compiuto dalle preposte Autorità finalizzato alla tutela della salute pubblica, in una situazione di assoluta gravità ed emergenza che ha richiesto decisioni difficili in tempi decisamente contratti e caotici.
Non si intende criticare l’opera eccezionale svolta dalla Forze dell’Ordine, chiamate a operare in condizioni estreme mettendo a repentaglio la stessa loro incolumità e, conseguentemente, quella delle proprie famiglie. L’approccio nei confronti di chi ha contestato un nostro atteggiamento non deve essere rancoroso ma di rispetto per chi opera quotidianamente per il bene pubblico ed ha inteso applicare nel modo ritenuto a lui più giusto le norme che egli è chiamato a far rispettare.
Purtroppo, quando si lasciano spazi di interpretazione troppo ampi è facile incorrere in errori o differenziazioni di trattamento difronte ad analoghe situazioni.
Non deve ritenersi un’offesa a nessuno quella di rivolgersi alle Autorità preposte presentando Ricorso in quanto si ritiene di essere stati ingiustamente penalizzati. È la base su cui si fonda la nostra democrazia.
Sfruttiamo il nostro diritto di ricorrere, se siamo sicuri di aver ragione, senza indugio e utilizziamo gli strumenti offerti per formulare nei modi e nei tempi previsti, anche attraverso l’agevole opportunità offerta del Web con la semplice trasmissione dell’atto con posta certificata.