Una situazione emergenziale come quella causata dal Covid-19 sta facendo emergere riflessioni e suggestioni rimaste in disparte negli ultimi mesi di normalità italiana. Una di queste è il tema del futuro del lavoro e dell’occupazione che oggi viene identificato con una formula generica: smart working.
La questione si rivela molto più complessa e non comprende solamente il lavoro da remoto, ma inciderà significativamente sul concetto di produttività, sulle traiettorie degli investimenti aziendali e sulla riorganizzazione stessa del sistema economico.
In tutto questo, lo Stato è chiamato ad avere un ruolo nuovamente centrale. Non solo per la gestione della crisi e i suoi postumi, ma anche per la fase nuova. Ammesso che vi sia. Le aspettative su chi è chiamato a governare sono elevate. Riuscirà la politica ad essere all’altezza delle trasformazioni in atto, accelerate dall’emergenza sanitaria ed economica?
Lo scenario
Innanzitutto, è necessario ragionare sullo scenario. Un questionario pubblicato dal GeoTech Center dell’Atlantic Council, rivolto a 100 esperti di tecnologia per registrare le loro aspettative sull’impatto del COVID-19 sull’innovazione, mostra che uno degli effetti primari della pandemia è l’accelerazione dei processi innovativi. Questa dinamica colpisce particolarmente la questione del lavoro (Future of Work) e il settore medicale e delle biotecnologie, mediamente le supply and trust chain e il settore Data e Artificial Intelligence, quasi per nulla le tecnologie spaziali.
L’Europa rispetto agli altri continenti (eccetto Africa e Sud America) subirà un avanzamento rapido, ma di portata inferiore. Tuttavia, sul piano dei cambiamenti legati all’organizzazione del lavoro, per gli stati membri dell’UE ci si aspetta un’evoluzione più veloce rispetto alle altre realtà geo-economiche globali.
Covid-19, sviluppo tecnologico accelerato e occupazione: i 4 macro-trend
Ancora più dettagliato è il report del Massachussets Institute of Technology (MIT) che non solo certifica il massiccio ricorso al remote working negli ultimi due mesi (80% della forza lavoro attiva), ma mostra le connessioni tra Covid-19, sviluppo tecnologico accelerato e occupazione. Sono quattro i macro-trend che derivano dall’analisi MIT.
- In primo luogo, la quantità dei posti di lavoro sempre più assistiti dalla tecnologia per salvaguardare i potenziali rischi derivanti dal contatto umano e mantenere elevati livelli di produttività aumenterà a dismisura (tra i 32 e 50 milioni solo negli Stati Uniti).
- L’impatto della doppia emergenza, sanitaria ed economica, avrà come effetto uno spostamento degli investimenti verso le tecnologie di automatizzazione e intelligenza artificiale (i robot non si ammalano e possono far risparmiare, due cose utili in una crisi economica collegata a un problema sanitario).
- Quest’ultima produrrà effetti diversi a seconda delle tipologie di occupazione. In generale, le aziende saranno portate a cercare di automatizzare mansioni precedentemente considerate a basso rischio di sostituzione per scongiurare rischi sanitari e produttivi. Al contempo dovranno fare maggiore ricorso alla formazione interna supportando trasferimenti di ruolo potenzialmente rapidi e/o assumere personale sempre più specializzato e in grado di integrarsi con tecnologie AI.
- Infine, il ruolo delle policy sarà fondamentale per creare condizioni adeguate ad agire con tempestività e reagire ad eventuali situazioni di emergenza.
Capacità di adattamento a futuri scenari (anche di pandemia)
Per quanto riguarda i cambiamenti nell’organizzazione del lavoro sicuramente sì. Ed è auspicabile che incrementi il livello di automatizzazione e di sviluppo delle tecnologie AI. L’economia italiana, infatti, è ancora piuttosto sbilanciata verso la manifattura dove risiede circa il 25% dell’occupazione nazionale. Se si continuerà a seguire la storica vocazione manifatturiera, sarà necessario accelerare la fase di rapido adattamento agli scenari futuri. Che comprenderanno l’eventualità di una nuova pandemia. E questo coinvolgerà anche il futuro del lavoro.
È a questo livello che le policy diventano fondamentali e il ruolo del pubblico può tornare ad essere centrale. A lungo termine, i governi dovrebbero impostare lo sviluppo delle nuove politiche industriali basate sul sostegno al cambiamento tecnologico e alla creazione di nuove competenze che accompagnino tale processo e ne facilitino la penetrazione nel tessuto produttivo.
Tutto ciò non significa auspicare la creazione di nuovi carrozzoni statali, ma semplicemente che il sostegno dello Stato non deve fermarsi al mero tamponamento dei danni. Iniziative come fondi per il finanziamento delle imprese e delle start-up innovative sono sicuramente un punto di partenza valido. Non sono però sufficienti.
Il ruolo strategico della governance pubblica
La governance pubblica dell’innovazione, che non deve invadere la sfera del privato sia chiaro, comprende strumenti più ampli ed ha un ruolo strategico, non solo di finanziatore. In primo luogo è necessario che agisca con rapidità al cambiamento.
La crisi Covid-19 ha mostrato scarsa reattività istituzionale e amministrativa. Se una politica industriale volta all’innovazione fosse stata impostata e condivisa ai vertici di governo prima dell’emergenza le risposte sarebbero state più immediate e la strategia adattata alla situazione.
Ora si starebbe parlando di come e dove investire nei prossimi anni. Invece siamo ancora fermi al quando. I casi delle politiche innovative del Giappone (SIP) e Sud Coreana (è stato creato un Presidential Advisory Council on Science and Technology) parlano chiaro. Una volta passata la fase critica, si inizia a pianificare il futuro.
Il coinvolgimento di tutti gli attori
In secondo luogo, è indispensabile coinvolgere tutti gli attori e stabilire una situazione di costante confronto tra pubblico e privato.
Il governo norvegese, ad esempio, organizza annualmente incontri per discutere dell’evoluzione dell’attuazione del Piano (industriale) a lungo termine (LTP). Il National Science and Technology Council negli Stati Uniti coinvolge le parti interessate in consultazioni e tavole rotonde periodiche dedicate a diversi aspetti delle politiche tecnologiche. All’interno di questi consessi nascono le principali partnership pubblico-private. Così vengono create le policy più adatte alle dinamiche innovative. L’organizzazione del lavoro sta mutando rapidamente, in modo accelerato a causa di un fattore imprevisto come il virus. La politica deve comprendere il fenomeno e valutare insieme all’industria le soluzioni migliori. Siano incentivi fiscali alla formazione dei dipendenti o sostegno agli investimenti in nuove tecnologie come l’IoT o l’automatizzazione 4.0 nel suo complesso.
Il ruolo della ricerca è fondamentale. Servono maggiori legami tra quella prodotta da istituzioni pubbliche e organizzazioni private. I benefici collettivi derivanti dallo scambio e dal trasferimento tecnologico sono ampiamente dimostrati dalla quotidianità. Non è sufficiente l’investimento se non è chiaro quali sono gli obiettivi e se non c’è un luogo in cui possano incontrarsi le esigenze collettive e quelle delle imprese.
Le sfide per l’Italia
Oggi l’Italia si trova impreparata ad affrontare un’improvvisa accelerazione tecnologica da parte dei suoi potenziali competitor. L’esempio dello smart working è significativo. Mentre altre realtà lo praticavano con successo e su larga scala oppure avevano automatizzato i processi produttivi, investendo nelle competenze, noi abbiamo dovuto rincorrere l’innovazione. Con il risultato di avere policy frammentate e spesso non armonizzate da esecutivo a esecutivo. Senza dimenticare che tutto questo comporta a livello legislativo degli adattamenti alle nuove situazioni e può avere risvolti sul piano della sicurezza.
Queste sono le condizioni fondamentali per governare i processi del cambiamento e impostare un intervento dello Stato efficace e non invasivo. Senza di esse si rimane nel limbo del potenziale inespresso. E dopo una crisi sanitaria ed economica non ce lo possiamo permettere.