Molti hanno additato la PEC – Posta Elettronica Certificata – come uno strumento del passato, desueto, non utilizzato negli altri Paesi europei. Tutto vero, ma la PEC ha contribuito in modo decisivo alla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione italiana.
La PEC tuttavia è uno strumento transitorio che, nel tempo, sarà superato dalla diffusione delle piattaforme di condivisione e di interoperabilità.
Stiamo infatti attendendo ormai da tempo la definitiva regolamentazione e attuazione di quanto previsto dall’articolo 3 bis del Codice dell’Amministrazione Digitale, ovvero il diritto per ogni cittadino di eleggere un proprio “domicilio digitale”. Il CAD prevede infatti che, assieme al domicilio tradizionale, il cittadino possa eleggere un proprio domicilio digitale dove ricevere dalla PA notifiche, atti, corrispondenza. Il tutto con valore legale.
Tale domicilio, inevitabilmente, oggi sarà una sorta di PEC del cittadino.
I meriti della Pec
Nel frattempo, soffermiamoci sulla tanto “vituperata” Pec: se una parte rilevante dei flussi documentali trattati dalla Pubblica Amministrazione è oggi in formato digitale ciò è infatti per merito della posta elettronica certificata.
O meglio, il merito della progressiva dematerializzazione è della legislazione che impone che, la corrispondenza tra le Pubbliche Amministrazioni, tra le imprese e le Pubbliche Amministrazioni, tra i professionisti iscritti all’INI PEC e le Pubbliche Amministrazioni avvenga esclusivamente utilizzando le piattaforme digitali o, appunto, la PEC.
Purtroppo, ciò non avviene omogeneamente, non tutte le Pubbliche Amministrazioni, non tutte le imprese e i professionisti utilizzano la PEC o le piattaforme digitali per corrispondere con le Pubbliche Amministrazioni.
Spessissimo sono le Pubbliche Amministrazioni (a partire da chi amministra la giustizia, le Prefetture e le Forze d’’ordine) a richiedere di ricevere la documentazione attraverso i supporti cartacei. In questi casi si confondono le copie di cortesia -che possono essere cartacee- con gli originali degli atti che devono essere rigorosamente in formato digitale.
In tutti i casi, oggi, tra il 70 e l’80% delle istanze e delle missive in entrata nei Comuni (nel restante della PA non siamo molto distanti da queste percentuali) è in formato digitale. Come dirò più avanti, la diffusione di SPID tra i cittadini e le imprese potrebbe ancora aumentare la percentuale delle istanze e dei documenti “nativamente” digitali.
Meno carta più trasparenza
Non è superfluo ricordare che non si tratta di fare qualche crociata contro la carta -assimilata alla burocrazia- quanto piuttosto affermare che la diffusione della gestione della Pubblica Amministrazione attraverso piattaforme digitali, rafforza la trasparenza dei processi e degli atti, concorre a realizzare una maggiore efficienza, consolida i rapporti con i cittadini.
La mia opinione è che questo domicilio dovrebbe essere “agganciato” ad ANPR (Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente).
Difficilmente si potrà obbligare il cittadino a dotarsi di una PEC, in tutti i casi, come SPID, il rilascio della “PEC del cittadino” dovrebbe essere gratuito.
Ricordo, che il dettato legislativo, a differenza di quanto previsto per le imprese e i liberi professionisti, non prevede un obbligo per il cittadino a dotarsi di un domicilio digitale. Il CAD afferma invece il diritto per il cittadino a dotarsi di un domicilio digitale.
In sintesi, parallelamente all’albo INI PEC alimentato dagli Ordine professionali e alla PEC rilasciata alle imprese, dovrebbe realizzarsi un albo PEC del cittadino agganciato ad ANPR.
I benefici per la Pubblica Amministrazione sono evidenti a tutti, a partire dall’ottenimento di un risparmio economico e di un miglioramento dei flussi lavorativi nelle notifiche degli atti.
Tutt’oggi, come è noto, le raccomandate con ricevuta di ritorno costituiscono il peggiore e costoso strumento burocratico per le notifiche di tutta la Pubblica Amministrazione ai cittadini.
La raccomandata con ricevuta di ritorno è, spessissimo, il presupposto per una gestione analogico/cartacea dei flussi documentali.
Un errore fermarsi alla Pec
Il mondo naturalmente non deve fermarsi alla PEC, sarebbe un errore gravissimo. Se, in alcuni casi, la PEC ci aiuta a risolvere alcuni problemi inerenti ai processi di dematerializzazione nei rapporti tra P.A. e cittadini (le notifiche ad esempio), le piattaforme di condivisione, strategicamente, sono il “luogo virtuale” dove condividere “legalmente” le istanze e gli atti.
L’esempio più evidente è lo sviluppo e la diffusione delle piattaforme SUAP (Sportello Unico attività produttive).
Oggi le imprese per avanzare le proprie istanze ai Comuni (ma non solo) utilizzano questa piattaforma messa a disposizione dalle Regioni, da imprese private, dalle Camere di Commercio.
La piattaforma SUAP (alla quale l’impresa si logga con SPID o, nel passato con altri strumenti come FEDERA in Regione Emilia-Romagna) è il “luogo” dove si perfeziona un rapporto tra le imprese e i Comuni. La PEC resta uno strumento utilizzato comunemente anche per le notifiche, ma è il SUAP, una piattaforma digitale, il luogo delle transazioni.
La diffusione dell’utilizzo di SPID (spinto in queste settimane dall’emergenza coronavirus) ha dato al cittadino la possibilità di inoltrare istanze in formato digitale alla PA. Egualmente, già oggi, si possono firmare digitalmente atti pubblici (con i cittadini e i liberi professionisti) utilizzando SPID (art. 22 del CAD).
I nodi da affrontare
Restano due giganteschi nodi da affrontare: la diffusione delle piattaforme di interoperabilità tra Pubbliche Amministrazioni e la dematerializzazione del flusso documentale, ovvero il modo con cui le PA. “lavorano” le istanze e i diversi procedimenti.
Ritengo che il Governo debba accentuare, anche in modo impositivo, l’unicità delle piattaforme digitali nei rapporti tra le PA.
Un esempio semplicissimo è quello di ANPR. La mancata adesione di un numero cospicuo -anche se in progressiva diminuzione- di Comuni ad ANPR fa si che procedimenti semplicissimi (ad es. il cambio anagrafico) avvenga utilizzando la PEC e non direttamente sulla piattaforma. Si tratta di un aggravio inutile di carichi di lavoro e la burocratizzazione di attività anagrafiche assolutamente semplici.
La diffusione -l’obbligo- di adottare piattaforme di interoperabilità e la condivisione delle banche dati porterà al superamento dell’utilizzo della PEC nella relazione tra le diverse Pubbliche Amministrazioni. La PEC, piaccia o no, rappresenta una forma di rottura nella condivisione di un flusso documentale digitale.
Ogni ritardo è ormai intollerabile poiché consolida atteggiamenti burocratici non più accettabili.