Sarà stata una quarantena diversa per ciascuno, ma la maggior parte di noi l’avrà vissuta senza dubbio in gran parte online. Passata l’emergenza, e assodato che molte delle abitudini di questo periodo è destinata a durare, è ora necessario fare un ragionamento sistematico che tenga in considerazione la necessità di ridurre il carico sia in termini di tempi e modi di utilizzo delle tecnologie, sia in termini di usabilità degli strumenti.
Quello che serve è una formazione alla cultura del digitale che possa conciliare le esigenze tecnologiche con quelle psicologiche creando una continuità tra esperienza on e off line, così da ridurre il peso cognitivo connesso all’incremento delle tecnologie.
Facciamo il punto. sui diversi aspetti del problema.
Emergenza digitale
Negli ultimi mesi passati in casa per l’emergenza covid-19 il digitale è stato un grande protagonista delle nostre giornate, nelle interazioni private e nella comunicazione pubblica.
Videoconferenze, smart working, esami e lezioni online, live streaming, videogiochi, delivery ed e-commerce: il nostro tempo di lockdown è stato in gran parte scandito da queste attività.
Lo è stato a tal punto che Facebook, la piattaforma leader delle nostre interazioni sociali, ha pensato di introdurre il Quiet Mode per aiutare i propri iscritti a gestire meglio il tempo speso sul social, avere traccia dell’attività, selezionare i contenuti prevalentemente di amici selezionati e famiglia, ma soprattutto dormire senza ricevere notifiche e gestire al meglio tempo trascorso a casa.
Filantropia? Non del tutto. Zuckerberg sa che il carico cognitivo può indurre ad un burnout per cui, troppa informazione si traduce in nessuna informazione e non essendo più giovanissimi i suoi utenti, la semplificazione diventa un modo per fidelizzarli ulteriormente.
Un dato di fatto è che durante il lockdown, gli strumenti digitali che fino a ieri erano ancora oggetto di dibattito intellettuale, hanno fatto irruzione improvvisamente assumendo un ruolo importante nel mantenere vivo un aspetto fondamentale della nostra esistenza da animali umani: le interazioni. Quello che impropriamente viene chiamato distanziamento sociale è stato più tollerabile grazie alla presenza di smartphone, tablet e pc e della possibilità di fare videochiamate: si pensi che le chiamate di gruppo effettuate su Facebook Messenger risultano aumentate del 1.000%, così come l’uso dell’ormai celebre Zoom che ha aumentato di 20 volte i suoi utenti e meet di Google che vede crescere di 140 volte il numero di persone che utilizzano l’app Meet.[1]
Dall’oggi al domani la costrizione domiciliare ha unito la maggior parte della popolazione dietro ad uno schermo, nonostante le connessioni traballanti e le competenze insufficienti ed a prescindere dall’età, dalla professione e dall’orientamento personale all’uso dei device.
Di necessità, virtù.
Nuove abitudini destinate a durare
Durante l’emergenza la percentuale di persone che in Italia ha utilizzato almeno un servizio digitale è arrivata al 95% ed ogni utente ha ampliato del 53% il range di settori fruiti online. (Report McKinsey). [2]
Andando a vedere nel dettaglio l’incremento della fruizione di contenuti online ha coinvolto il 64% degli italiani mentre l’aumento dell’uso dei videogiochi e delle chat ha interessato il 62% dei connazionali. La necessità di studiare e lavorare da casa ha fatto sì che il 57% della popolazione approcciasse per la prima volta agli ambienti per la didattica a distanza e il 42% si avvalesse di videoconferenze per uso professionale senza averlo mai fatto prima. Per non parlare del delivery e dei supermercati che hanno visto aumentare dal 50% al 200% il proprio servizio. [3]
Senza dubbio c’è da aspettarsi con la progressiva riapertura un decremento d’uso, ma stando alle prime analisi, le nuove abitudini sviluppate durante il lockdown sembrano essere destinate a durare: “Il 69% dei nuovi utenti ha ammesso che continuerà a utilizzare il canale digitale con la stessa frequenza anche ad emergenza finita”. [4]
Se pur è vero che il digitale ha avuto da subito, ha ed avrà, un ruolo da protagonista in questa emergenza, l’effettiva implicazione d’uso necessita di riflessioni accurate.
Andando oltre i dati, ricorderemo questo periodo (oltre la sua drammaticità) per le videochiamate da casa, con una violazione improvvisa di quella separazione tra pubblico e privato, su cui si basa la differenza tra la nostra identità individuale e quella sociale. Se da una parte questo ha umanizzato molte dinamiche, dall’altra ha generato una continuità tra privato e pubblico difficile da gestire per chi non è abituato dal lavoro da remoto.
Smart working e didattica a distanza
Un altro memento sarà sicuramente proprio per il lavoro da remoto, chiamato indiscriminatamente ed erroneamente Smart working. Lavorare da casa implica molte complessità, dalla gestione di spazi, tempi, connessioni, tools ed altro che non possono essere date per scontate, ma richiedono una educazione specifica ed un differente mindset.
Ancora, memorabile sarà la questione della didattica a distanza. L’Istruzione non si fermata, ma ci si è resi conto di quanto fosse arrivata nell’era del web 4.0, nella maggior parte dei casi, senza le competenze necessarie da parte di docenti e studenti e con strumenti inadatti.
Tranne poche fortunate situazioni, in più contesti si è andato semplicemente replicando il modello analogico, caricando incredibilmente le nostre quotidianità di digitale, senza un reale riscontro in termini di efficacia.
Molte famiglie si sono ritrovate ciascuno dietro al proprio schermo, tutti connessi ad uno stesso Wi-Fi a pregare che la connessione reggesse e che nessuno si accorgesse della compresenza di “mondi” nella stessa stanza.
Questo nelle situazioni più fortunate. Perché non sono mancati gli effetti del digital divide: molti si son trovati a gestire questa emergenza senza gli strumenti conoscitivi e tecnologici necessari per non essere “fuori dal gruppo”.
I genitori che lavorando fuori casa non hanno potuto assistere i figli nell’accesso alla didattica online o quanti non avevano sufficienti computer per far studiare tutti i figli contemporaneamente.
Perfino i medici hanno lavorato a distanza: usando nei casi più zelanti WhatsApp per fare diagnosi e le videochiamate per fare visite.
Le tecnologie spesso hanno garantito un contatto o perfino l’ultimo saluto ai familiari di degenti in isolamento, ma anche in questo caso, le opportunità sono stata affidate al caso ed alla discrezionalità degli operatori, senza creare dei protocolli utili ed efficaci.
Un mondo nello schermo, dove i più fortunati sono quelli che hanno avuto a disposizione risorse umane a cui aggrapparsi (si pensi invece a chi è rimasto chiuso in casa in situazioni di tensione) e risorse materiali, potendosi permettere acquisti a distanza, anche se più costosi, o disporre di risparmi in assenza di altre entrate, solo per fare un esempio.
Il carico cognitivo
Con ogni probabilità in questo scenario da digital overload molti avranno subìto il peso del carico cognitivo che l’iper-connessione comporta, senza averne esattamente una piena consapevolezza di quanto incida l’uso del digitale sul funzionamento della nostra mente nella nostra quotidianità.
Per valutare il peso di questo processo è necessario comprendere cosa si intenda con l’espressione carico cognitivo[5] (cognitive load): si tratta del carico di lavoro mentale necessario per l’esecuzione di un compito, con particolare riferimento all’utilizzo della memoria di lavoro, per intenderci, quella che ci serve per portare a termine le attività.
Per quanto l’esperienza non sia la stessa in tutti gli individui, un carico cognitivo troppo pesante può avere effetti negativi nel completamento di un’attività: in sostanza ci rende meno performanti.
Per valutarlo è necessario distinguere tra carico cognitivo intrinseco, estraneo e pertinente.
Il carico cognitivo intrinseco riguarda le caratteristiche proprie dell’informazione da processare. Ci sono comunicazioni oggettivamente più semplici o di routine che non occupano uno spazio rilevante della nostra memoria di lavoro ed altre più complesse che richiedono più attenzione. Va da sé che le competenze, le esperienze e le abitudini di ciascuno di noi incideranno sulla valutazione del peso intrinseco.
Per quanto concerne il carico cognitivo estraneo, faremo invece riferimento al modo in cui l’informazione viene organizzata e condivisa. In tal senso un’informazione intrinsecamente impegnativa può avere un basso carico estraneo se ben organizzata e viceversa, una informazione intrinsecamente leggera, se mal organizzata divenire un peso insostenibile. Pensate ad esempio la frustrazione di non riuscire a concludere un acquisto, oppure inviare una email o un’altra azione molto comune per qualche difficoltà d’uso dello strumento: è il caso in cui un’azione semplice diventa mentalmente stressante.
Infine, abbiamo il carico cognitivo pertinente che si riferisce ad un equilibrio in cui si investe un lavoro corretto rispetto all’impegno necessario ad elaborare l’informazione.
Un effetto interessante è quello dell’attenzione condivisa (slip attention): nelle situazioni in cui la nostra attenzione è costretta a dover gestire molteplici fonti che richiedono di essere integrate si genera un carico estraneo negativo.
Di per sé l’utilizzo delle applicazioni digitali comporta un carico cognitivo estraneo notevole, ma ancor di più se ci troviamo a dover gestire molteplici tool nuovi e più intensamente, in un periodo già di per sé cognitivamente ed emotivamente impegnativo.
In aggiunta al carico dovuto all’uso simultaneo e massivo di più strumenti è necessario considerare l’interazione dell’utente con ogni singolo sito o applicazione: l’user experience design concorre in termini di usabilità dell’interfaccia e semplicità della navigazione a pesare in modo importante sul nostro funzionamento cognitivo. Al fine di non gravare in modo disfunzionale sul carico cognitivo diviene necessario per i progettisti lavorare sull’equilibrio tra la complessità dell’informazione e l’usabilità dell’interfaccia.
In tal senso il carico cognitivo intrinseco riguarda lo sforzo che l’utente compie per elaborare le informazioni che sta ricercando, e carico cognitivo estraneo, che fa riferimento alla presenza di barriere che rendono infelice l’esperienza di usabilità. Chiaramente più un sito è usabile meno peserà il sovraccarico cognitivo, per questo l’obiettivo di una buona progettazione della comunicazione è ridurre il carico estraneo e consentire un’esperienza più semplice ed immediata.[6]
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- We are social, Digital 2020, i dati di Aprile: URL ↑
- Rapporto McKinsey, Survey: Italian consumer sentiment during the coronavirus crisis ↑
- Vincos, Come il virus ha cambiato le abitudini digitali degli Italiani ↑
- Rapporto McKinsey, Op. cit ↑
- Generalmente associato alla teoria di Swllener per l’apprendimento: Chandler P. , Sweller J. (1991), Cognitive Load Theory and the format of instruction (PDF) ↑
- Moreno, R., & Mayer, R. E. (1999). Cognitive principles of multimedia learning: The role of modality and contiguity. Journal of Educational Psychology, 91(2), 358–368. https://doi.org/10.1037/0022-0663.91.2.358 ↑